La pesca a Capraia dal Cinquecento ai giorni nostri

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La motta delle acciughe

Intorno alla metà del Cinquecento gli abitanti dell’isola di Capraia non avevano una grande dimestichezza con il mare che li circondava. La piccola popolazione di quei tempi, non più di duecentocinquanta abitanti, sopravviveva grazie alla coltivazione dei piccoli appezzamenti di terreno, ricavati tra le rocce con terreno di riporto, dove coltivavano l’orzo e la vite. La produzione di vino era tale da permetterne la vendita specialmente in Maremma dove potevano barattarlo con del grano con cui sfamare le loro famiglie. Il poco bestiame, essenzialmente caprini e bovini, che riuscivano ad allevare forniva loro della carne e dei latticini per integrare la loro magra alimentazione.

Solo pochi abitanti si dedicavano alla pesca con dei piccoli leudi[1] e il poco pesce che arrivava alla loro mensa preferivano acquistarlo, quando ne avevano la possibilità, dai pescatori di Alassio che sostavano nella spiaggia – il porto – dove sorgeva la piccola chiesa dedicata alla Madonna.

Nel 1549 il pescatore Manuello, che possedeva una rete da pesca, inviò una supplica ai Protettori delle Compere di San Giorgio per lamentarsi che il podestà gli impediva di mandare a vendere il pesce, da lui pescato e fritto, a La Spezia. Era questo l’unico modo di guadagnare i pochi soldi necessari a sfamare le sue nove figlie. Il podestà gli aveva imposto di venderlo sull’isola al prezzo di un denaro la libbra per i pesci piccoli e di due denari la libbra per i pesci più grossi. Nel 1554 lo stesso Manuello si fece portare a Capraia un carico di sale, evidentemente da impiegare per la salatura del pesce.[2]

Nel lungo periodo che va dal 1554 al 1639 i documenti finora esaminati non accennano all’attività della pesca nelle acque dell’isola. Ma qualcosa era cambiato nella vita degli isolani. La popolazione che nel 1557 era di 237 abitanti stabili, nel 1620 era di 322 unità, e salì a 482 unità nel 1644 con un rapido accrescimento, che determinò lo spostamento della popolazione dalle case all’interno del Forte alle case che vennero  costruite all’esterno di esso, a costituire il primo nucleo dell’attuale paese. L’accrescimento della popolazione si può attribuire allo sviluppo della pesca e della vendita del pescato, sia fresco che conservato, principalmente nel mercato di Livorno.

Come afferma Giuseppe Doneddu a partire dal secondo Cinquecento una sempre maggiore attenzione venne riservata al consumo del pesce con la penetrazione dei dettami del Concilio di Trento nelle popolazioni dell’Europa meridionale in gran parte cattoliche. Il principale sbocco della vendita del pesce per i Capraiesi  era il porto di Livorno dove confluivano tra Seicento e primo Settecento insieme ai Liguri anche Catalani e Provenzali attirati nell’Arcipelago Toscano dalle difficoltà di approvvigionamento di Firenze e del suo territorio per la scarsa presenza di pescatori locali sul litorale toscano. … Del resto gli stessi pescatori di Capo Corso, oltre quelli di Capraia, erano presenti spesso in questo importante porto tirrenico.[3]

Nel 1639 sei padroni di Capraia, che possedevano delle reti, si lamentarono perché il munizioniere vendeva ai pescatori forestieri gran quantità di sale a lire 8 la mina mentre ai Capraiesi lo vendeva a Lire 4.16 la mina, secondo la particolare concessione che la Repubblica aveva fatto ai Capraiesi. Essi temevano che il grande consumo costringesse la Camera ad alzare il prezzo da loro pagato.[4] Il sale era l’elemento essenziale per la conservazione della maggior quantità del pescato, in genere acciughe e sardine.[5] I pescatori di Capraia impiegavano anche altre tecniche per la conservazione del pesce: il pesce in sciabecco (pesci fritti e marinati) generalmente acciughe e sardine, o pesci di murta (fritti e conservati tra strati di mirto) essenzialmente zerri.[6]

In una lettera del 1645 il Commissario di Capraia affermava: tutti i Capraiesi, eccetto quelli che facevano parte della guarnigione, erano pescatori e dovevano stare fuori dell’isola per accudire alle loro reti, ed erano così numerosi che nei giorni festivi veniva celebrata per loro e i pescatori forestieri una speciale messa nella chiesa della Madonna del Porto; i pescatori capraiesi possedevano venti leudi che avevano pescato centocinquanta barili ognuno; la pesca si svolgeva anche nel tardo autunno e ogni sera c’erano almeno 40 rubbi di pesce da salare.[7]

A metà del Seicento lo sviluppo della pesca tra la Corsica e Capraia e il commercio del pescato  attirarono l’attenzione della Camera del Magistrato di Corsica che necessitava di nuovi introiti per coprire le spese delle due isole.[8] A tal fine nel 1654 il Magistrato di Corsica chiese al Governatore di Corsica, Gio Matteo Durazzo, di effettuare un indagine sul pescato nelle varie giurisdizioni alle sue dipendenze. Per Capraia l’indagine venne affidata ad Antonio Foglietta, che in precedenza era stato Commissario e Capitano di Capraia. Questi nella sua relazione al Governatore evidenziò che i Capraiesi pagavano il sale Lire 4.4 la mina, mentre i forestieri lo pagavano a Lire 8 la mina, prezzo nettamente inferiore a quello che avrebbero pagato in Gorgona dove il sale veniva venduto a Lire 18 la mina con l’aggravio del pagamento di un giulio per ogni barile di pesce salato che portavano via dall’isola. Aggiunse che si confezionavano anche molti barili di pesci scabecci e cestini di morta. Inoltre i Capraiesi avevano costruito al porto, senza richiedere alcun permesso, numerosi magazzini che affittavano annualmente ai pescatori e mercanti forestieri. Quindi il Foglietta proponeva che venisse applicata una gabella di soldi 10 per ogni barile di pesce salato che veniva estratto da Capraia, gabella che assumendo una produzione di 4000 barili all’anno avrebbe potuto rendere alla Camera del Magistrato Lire 1500 ogni anno se ne fosse stata appaltata la riscossione. Per i pesci scabecci la gabella doveva essere di soldi venti per ogni barilone da sette rubbi in peso e  di soldi  dieci per ogni cestino di pesci di morta da tre a quattro rubbi in peso. Inoltre si sarebbe potuto imporre una tassa di uno scudo per ogni magazzino affittato ai forestieri.[9]

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1695 – I magazzini del porto di Capraia (particolare)

Prese ulteriori informazioni, il 29 agosto, il Governatore inviò la sua relazione al Magistrato, ed in essa così parlava della pesca a Capraia: “…per quello tocca a pessi salati sarà l’estrazione da barili 4500 in 5000 al più e per quello che tocca alli scabecci e di morta che sono poca cosa atteso che solo 5 o 6 gondole pescano alli zerri in tutta l’Isola, e che il loro valsente non passerà de L. 2000 in 2500 al più e che per detta estrazione non pagano al pubblico cosa alcuna …”.[10]

Nel luglio del 1656 il Magistrato di Corsica fece la proposta definitiva sulla gabella dei pesci per Capraia, proposta che venne approvata dai Serenissimi Collegi il 24 luglio e che così stabilì:

Considerando il Magistrato di Corsica l’affetto che in ogni tempo VV.SS. Serenissime han dimostrato a suoi sudditi di Capraia nel beneficarli sempre non solo con farli esenti da tasse, e da qualonque altre gravezze, ma anche con dare stipendio a essi stessi per guardare quell’Isola, cioè le loro case e famiglie ricevendo dalla Camera molte commodità nei prezzi dell’oleo, e sale, e nella provigione dei grani, e sapendo che essi sudditi sono molto giusti et ossequenti come è ragione alla Republica e pronti a corrispondere quello puonno in solievo della Camera di detto Ufficio, che è tanto agravata di spese, la quale per conto di detta Isola paga ogn’anno somma rilevante, mentre essi con la Gratia del Signore e di VV.SS. Serenissime hanno guadagni di considerazione nella pesca che si fa in quel mare di gran quantità de pesci, che salano, e vendono alla quale pesca anche concorrono forastieri in gran numero, che godono di detti guadagni.Ha stimato il Magistrato che si possa con l’estrazione di essi pesci sovenire in qualche parte la Camera in tutto come in appresso. Cioè che per ogni rubbo de pesci salati, scabecci e di morta che si estrarà da detta Isola di Capraia si paghi alla Camera di detta Ufficio soldi sei. Che ogni persona che vorrà fare estrazione da detta Isola di Capraia di detti pesci salati, scabecci e di morta, debba inanti che far l’estrazione, darne notitia fedele, leale e senza frode al Commissario di Capraia, o al Deputato che fosse eletto per detto conto e nell’istesso tempo debba pagarli quello sarà debitore per detta estrazione come sopra sotto pena della perdita di detti pesci e di altretanta somma, quanta importerà la valuta di essi, e per la seconda et altre volte oltre la perdita sudetta sotto ogni altra pena arbitraria a detto Ufficio, applicate dette pene alla Camera dell’istesso Ufficio. Il Commissario di Capraia pro tempore, o altro deputato debba con puntualità e di presenza asistere al peso et estrazione che si farà di detti pesci salati, scabecci e di morta et il Cancelliere di esso Commissario debba tenere il libro distinto nel quale descriva fedelmente tutti li pesci salati di morta, e scabecci, che si estrarranno da detta Isola di Capraia, con distinguere i tempi, le persone, la quantità e l’introito, e commettendo esso Commissario o altro deputato e cancelliere in detta pratica alcun mancamento o frode a giudizio di detto Magistrato cada ognuno di loro in pena di scuti cento argento privazione dell’Ufficio, et anche pene anco corporali a giudicio di detto Magistrato, e per la seconda et altre volte in pena di scuti duecento simili oltre che alle pene e privazioni, e corporali dette sopra a giudicio di detto Ufficio. Possa il Magistrato di Corsica, così parendole, assignare al detto Commissario, o altro deputato, e Cancelliere qualche ricompensa in riguardo delle fatiche che per detto conto averanno. Sia anche lecito a detto Magistrato (quando conosca essere di maggior servizio publico) vendere all’incanto detto introito una, e più volte per quel tempo e sotto quei modi, forme e cautele che le pareranno; Habbi anche per la direttione et esecutione l’autorità necessaria.”[11]

La gabella entrò in vigore con un decreto dei Serenissimi Collegi del 7 novembre 1656.

Il 4 dicembre del 1656 il Governatore di Corsica indisse la prima gara per l’appalto della gabella di Capraia per due anni a partire dal 1 aprile 1657. Il bando di gara venne affisso in Corsica e a Capraia.[12]

Anche i pescatori di Capraia volevano partecipare alla gara d’appalto per la gabella e i Padri del Comune, il 19 aprile 1657, inviarono la loro richiesta al Governatore e al Magistrato:

Perchè questa Comunità di Capraia è stata e sarà sempre serena nella devozione che deve al Suo Principe e desiderosa d’incontrare la sua volontà in tutto quello che dalla molta prudenza di VV.SS.Ser.me viene e verà ordinato; e se bene è parso a prima faccia a questo Popolo intollerabile il peso della Gabella imposta in quest’Isola sopra i pesci per essere il loco sterilissimo più di quanto si vogli’altro che sia nel Dominio di questa Serenissima Republica nulla di meno perché son certissimi che tutto quello vien ordinato da VV.SS.Ser.me è fatto con somma prudenza, e con ogni affetto più che Paterno tutto indirizzato al ben publico, quella conviene a tutto questo Popolo e fedelissimo al suo Principe laudarla. Solo VV.SS.Ser.me per mezzo di questa humilmente suplichiamo volere aggratiare a tutti quelli che nel foglio allegato sono notati di affitarli l’istessa gabella per il medesmo prezzo di L. 2000 che da altri li è stato offerto, offerendosi di accantellare la Camera Serenissima  con tutti li obblighi in solidum che da VV.SS.Ser.me verà ordinato; questi tali non sono tutta la Comunità, ma sono tutta la forza della Comunità e sono quelli che di questo Popolo pescano e per conseguenza hanno da subire il peso della gabella, et il fine loro non è indrizzato ad altro, che a non essere vessati da Collettori forastieri e quelli non possono apportare che disturbi si a questa Comunità che ad ogni forastiero che nell’isola volesse pescare, oltre l’incomoddità che risulterebbe a pescatori se fosse il Collettore della Bastia o d’altro loco fuor dell’Isola …. Gio q. Gregorio, Gio Sussone e Bartolomeo Prencivalle PP. Del Comune.

 Nota di quelli che sono per obligarsi per l’affitto della Gabella imposta sopra i pesci salati, morta e scabechi da pescarsi bell’Isola di Capraia

 Bartolomeo Princivalle, Gio q. Gregorio, Gio Sussone q. Leonardo, Giustiniano Solaro, Antonio Tarascone, Luca Casinello, Gio Batta q. Emanuelle, Damiano Morgana, Pasqualino Solaro, Domenico Bargone q. Steffano, Pietro Battista da Nove, Gio Bargone q. Steffano, Domenico di Raffaelino, Angiolo Maria Zarzana, Gio Francesco q, Emanuelle, Bastiano Tarascone, Domenico Compiano , Giacinto Princivalle, Lorenzo Olivero, Andrea q. Francesco, Giacomo Gallittino, Anton Giacomo Tomeo q. Gio, Nicoloso Oliveto q. Domenico, Bartolomeo Morgana, Domenico Terami q. Gio, Simone Cunio, Gio Subrero di Steffano, Paolo Costanzo, Pietr’Antonio Grimaldo, Gio Ferando, Domenico Morgana, Gio Solaro q. Michele, Geronimo Oliveto, Steffano Compiano q. Steffano, Damiano q. Gregorio, Filippo Sabadino, Bartolomeo Chiama, Giacomo Sabadino, Steffano Subrero, Simone Chiama, Bernardo Chiama, Antonio Ramarone, Giuseppe Cunio, Bartolomeo Peirano, Domenico Olivero, Bernardino q. Michel’Angelo, Domenico Cunio di Giuseppe, Andrea Bargone , Gio Domenico q. Paoulo per … .”

La gara venne vinta da Giulio Cesare Doria che si impegnò a pagare Lire 2500 l’anno.[13]

Il Doria cedette la riscossione della gabella al  bastiese Bernardino Biguglio che solo il 23 ottobre 1657 si presentò a Capraia per rendere esecutivo il contratto. Nel frattempo il Commissario di Capraia con il suoi delegati aveva riscosso la gabella con un introito di Lire 608.10. Il Commissario nel darne comunicazione a Genova fece notare che nell’anno la pesca del pesci da salare era stata soltanto un ottavo di quella degli anni precedenti.[14]

Non passarono molti mesi e i Capraiesi incominciarono a lamentarsi per le angherie  che dicevano di subire da parte del gabelliere; per l’unità di peso che veniva usata (il peso genovese invece di quello corso normalmente usato a Capraia); perché il gabelliere esigeva che la vendita delle acciughe da salare venisse fatta entro le ventiquattro ore dall’arrivo del pescato a Capraia quando loro erano costretti a pescare a oltre  venticinque miglia lontano dall’isola e rientravano verso mezzo giorno e dovevano ancora smagliare i pesci, mangiare, rassettare le reti, e salare il pesce; inoltre il gabelliere pretendeva di far pagare una gabella sugli zerri, che non venivano salati,  di soldi sei il rubbo quando loro ne ricavavano solo dodici soldi e che usavano vendere in Corsica barattandoli con fichi, cipolle, agli, e castagne; aggiungevano infine che i Corsi  sono peggio che lupi rapaci, massime questo, alludendo al Biguglio.[15]

Nell’ottobre del 1659 i Padri del Comune, Gio Lamberti, Giuseppe Cunio, e Gio Bargone,  scrissero a Genova per chiedere uno sconto su quanto i capraiesi dovevano pagare per il grano affermando che la campagna di pesca dal mese di giugno sino alla metà di agosto era stata impedita dalla presenza delle galere dei turchi che per ben quattro volte erano sbarcati nell’isola senza causare danni, ma che con la loro presenza avevano terrorizzato i pescatori locali a tal punto che avevano disarmato le loro imbarcazioni che normalmente, ogni notte, solevano prendere dai quindici ai venti barili di pesce per barca.[16]

In questo periodo gli introiti derivanti dalla pesca dovevano essere notevoli poiché i Capraiesi si impegnarono a costruire la chiesa di S. Antonio con relativo convento e a mantenervi dodici frati.[17]

Quando ai primi di luglio 1661 stava per scadere per  il contratto d’appalto il Biguglio aveva un debito con la Camera di lire mille e per questa ragione il contratto non gli venne rinnovato e gli venne imposto di versare come cauzione oggetti d’oro e d’argento per un valore equivalente.[18] Il 3 luglio 1661il Governatore di Corsica, Francesco Maria Lomellino, decise di affidare la riscossione della gabella al bastiese Gio Andrea Astima e per suo conto al capitano Giuliano Fatio della Bastia ma, quando il decreto del Governatore fu affisso in Corsica e Capraia, si aprì  il 21 luglio 1661 a Capraia una nuova gara di appalto al rialzo  tra il detto capitano Fatio e Cristoforo Belgodere della Bastia. La spuntò il capitano Fatio che si aggiudicò la gara promettendo di pagare Lire 3600 annue per tre anni. [19]

In questi anni numerosi vascelli forestieri provenienti dalla riviera Ligure di Levante venivano a pescare nelle acque di Capraia ed approfittavano dei vantaggi fiscali dell’isola per salare il loro pescato. Sappiamo che nel 1665, tra il mese di maggio e la metà di luglio, arrivarono a Capraia venticinque vascelli di pescatori forestieri di cui sedici di Sestri Levante, otto di Moneglia e uno di Camogli.[20]

Alcuni di questi pescatori forestieri (principalmente provenienti dalla Riviera di Ponente) frequentavano l’isola anche per nelle sue acque potevano pescare il corallo: tra il 1664 e il 1664 il diritto di pesca del corallo, esercitata da 51 imbarcazioni tra forestieri e capraiesi, aveva dato un entrata di Lire 1040 pari a quaranta Lire per imbarcazione. Il diritto fisso per la pesca del corallo di quaranta Lire per barca si applicava in tutto il territorio del Regno di Corsica e quindi anche in Capraia  e doveva essere riscosso a cura del Giusdicente del luogo. Questo tipo di pesca nelle acque dell’isola, però non durò a lungo, probabilmente per la sua scarsa resa.[21]

Alla scadenza del contratto con il capitano Fatio, invece di applicare la solita gabella dei pesci salati, scabeccio e murta,  si applicò per alcuni anni la gabella del pescaggio che era pagata annualmente al Commissario in ragione di dieci scudi o quaranta lire per barca da pesca. L’innovazione fu molto gradita dai pescatori capraiesi in quanto eliminava i serrati controlli dei gabellotti. Solo nel maggio del 1669 i pescatori si lamentarono in quanto il Commissario pretendeva di applicare il pescaggio non annualmente ma in modo stagionale facendo pagare alle stesse gondole il pescaggio per la pesca con gli spioni  in estate e per la pesca col rastello in inverno. A causa della scarsità di pesci molti pescatori furono costretti ad andare a pescare in Corsica e anche a Pianosa con molto rischio. Viste le lamentele dei capraiesi e il ridotto introito del pescaggio, il Magistrato decise di tornare ad imporre la vecchia gabella.[22]

Il 24 agosto 1669 venne quindi indetta una nuova gara d’appalto che venne vinta con una offerta di Lire 2750 moneta di Camera, pari a Lire 2818.15 moneta corrente, annue per cinque anni da Domenico Solaro q. Nicolao, in solido con i capraiesi Stefano Compiano q. Stefano, Gio di Gregorio, Bernardo Chiama, Lorenzo Olivieri, Giustiniano Solari, Luca Cassinelli, Domenico Morgana, Domenico Bargone di Andrea, Natale Ghio, Nicolosio Sobria, Tomeo Colombano, Bartolomeo Chiama, Damiano q. Gregorio, Filippo Sabadino, Damiano Morgana e Grimaldo Gallettino. Il contratto di appalto venne steso in Genova il 6 agosto 1670, con la garanzia di nove bastiesi, con validità a partire dal 9 maggio 1670. Il contratto prevedeva inoltre che il pagamento annuale venisse fatto ogni anno nel mese di ottobre.[23]

Ma subito ripresero le lamentele dei pescatori capraiesi in quanto il Commissario, per evitare che i pescatori non denunciassero integralmente il quantitativo pescato impose una pena di Lire venticinque a quanti non si presentassero giornalmente al Commissario per dichiarare sotto giuramento la quantità del pescato.[24]

Come era prevedibile il ritorno alla vecchia gabella suscitò la reazione negativa dei pescatori capraiesi sia per la diminuzione del prezzo di vendita del barile che, deducendo tutte le spese, sale, trasporto, gabella e altro, dava ormai un ricavo netto di meno di quattro Lire a barile, sia per le angherie dei gabellotti corsi, sia perché avrebbe fatto scemare l’interesse dei pescatori forestieri di venire a salare a Capraia, attività che permetteva ai poveri di ottenere in cambio del loro lavoro nella salatura due o tre barili di pesce ed assicurava alla Camera un notevole introito con la vendita del sale. [25]

Il 20 dicembre 1674 dieci pescatori di Capraia che avevano sottoscritto in solido il contratto d’appalto si rivolsero al Governatore di Corsica per lamentarsi del fatto che il Domenico Solaro non aveva soddisfatto ai patti, si era intascato quasi tutto il provento della gabella che alla stessa data ascendeva a lire 18.700,  ed era finito in carcere a Bastia per non aver versato regolarmente quanto dovuto alla Camera. I soldi riscossi come gabella venivano custoditi in una cassa con tre chiavi, una del Commissario di Capraia pro tempore, una da Domenico Solaro e la terza da Filippo Sabatini per se e per i suoi colleghi.

La somma incassata di Lire 18.700, nel periodo dal 11 agosto 1670 al 20 dicembre 1674, corrispondeva a un quantitativo di pesce pari a circa 3000 ton. e ad un guadagno di circa il 50% sul valore annuo da pagare alla Camera.[26]

Una nuova gara d’appalto, indetta nell’ottobre 1674, venne vinta dal capraiese Bartolomeo Princivalle di Domenico con una offerta di Lire 3310 di moneta di Camera per anni cinque a partire dal 9 maggio 1675, e pagamento anticipato. Il contratto venne stilato in Genova il 8 aprile 1675. Nove bastiesi si resero garanti, in solido, dei pagamenti che Bartolomeo Princivalle doveva effettuare ogni anno.

La campagna di pesca del 1679 andò molto bene ma i prezzi sul mercato di Livorno erano scesi a Lire sette per barile. Il castellano di Gorgona si recò a Capraia per comprare da diversi padroni 300 barili ma non li volle pagare a più di Lire 6.5 a barile. Il Commissario di Capraia, che sperava che i Capraiesi potessero rimborsare il prestito di 4000 Lire per l’acquisto di grano, chiese al Magistrato di Corsica di vedere se non sarebbe stato possibile vendere il pesce a Genova o nelle Riviere, ma ricevette una risposta negativa.[27]

Nel 1680 la gara venne vinta dal Magnifico Marc’Antonio Centurione con una offerta di Lire 3100 annue sia per la gabella dei pesci che per quella dell’ancoraggio, che fino ad allora veniva riscossa dal Commissario di Capraia pro-tempore. Il contratto fu stilato a Genova il 14 marzo 1680.[28] Il Centurione si obbligò a dare una garanzia di Lire 3000 sui luoghi di San Giorgio. Al Centurione venne anche riconosciuta la concessione del porto delle armi, compresi gli archibugi a fucile, a tre suoi uomini limitata al territorio di Capraia e del Capocorso. Il Centurione nominò come suo esecutore il bastiese Giuseppe Marinetti q. Gerolamo al quale però succedette il bastiese Simon Gio Durante.[29] Nel 1681 per evitare ulteriori disordini e liti tra i pescatori di Capraia per l’ora di uscita per la pesca e per la distanza da tenersi tra le reti di ciascun pescatore il Governatore di Corsica fu costretto ad intervenire, chiedendo al Commissario di Capraia di emettere una grida che regolasse i due aspetti della pesca. Il Commissario Ottavio Reggio il primo settembre 1681 emise una grida in cui si stabiliva che non si dovesse uscire a pescare prima delle ore venti della sera per la pesca al largo e delle ore ventidue  per la pesca sotto costa e solo dopo il suono del tamburo  e che la distanza minima tra due barche non dovesse essere inferiore ad un quarto di miglio. Ai contravventori sarebbe stata applicata una pena di due tiri di corda o di venti lire da destinarsi alla Camera.[30]

Nel 1684 Simon Gio Durante, dichiarò di non poter  pagare l’affitto dell’ultimo anno del contratto in quanto, a causa della guerra con i francesi, parte dei pescatori capraiesi avevano dovuto trasportare truppe dalla Corsica a Genova, mentre altri non erano usciti a pescare in quanto preoccupati di una probabile incursione dei Francesi nell’isola.[31]

Per il periodo 1690-1695 l’appalto della pesca e dell’ancoraggio venne affidato, ancora una volta, a Simon Gio Durante che offrì Lire 4100 per anno ed ottenne per se e per quattro suoi uomini la patente per il porto di armi bianche e archibugio a fucile.[32]

Nell’agosto del 1691 i Padri del Comune scrissero a Genova per ottenere la facoltà di vendere liberamente i loro pesci in tutto il Regno di Corsica in quanto non erano riusciti a venderli nel di la de Monti e nelle Maremme e perfino nelle città di Roma, e di Livorno non avevano potuto ricavare che un poco di biscotto marcio e panno a carissimo prezzo con le acciughe calcolate a mezza pezza a barile.[33]

Nell’agosto del  1694 il Padrone Agostino Sabadino, un pescatore di acciughe, possedeva anche una corallina che affidò a due suoi marinai affinché andassero alla pesca del corallo. Ma, poiché i due marinai erano debitori con la Camera di Lire 25, il Commissario Domenico Gallo impose al Sabadino di trattenere tutto quello che guadagnavano i suoi marinai. Ma i due marinari si fermarono a Livorno dove lasciarono nelle mani dei mercanti il corallo che avevano pescato in modo che potesse essere venduto. I due marinari poi non ritornarono direttamente a Capraia in quanto occupati nel disbrigo di loro affari in terraferma. Il Commissario, pretese che il Sabadino saldasse il debito dei suoi e lo fece sequestrare per due settimane nel Forte in attesa del ritorno dei due marinai che al loro ritorno saldarono il debito. Il Sabadino ebbe a lamentarsi coi Sindacatori contro il Commissario perché aveva perso il guadagno di  due settimane di pesca alle acciughe.[34]

Nel 1695 Lorenzo Schiaffino di Pelegro, sicuramente un camoglino, ottenne dal Magistrato di Corsica l’affitto per pesca dei tonni nei mari di Capraia con un Instrumento stilato a Genova e che doveva presentare al Commissario di Capraia prima di iniziare la sua attività. Di questo tipo di pesca esercitato a Capraia non si hanno altre notizie.[35]

Per il periodo 1700-1705 l’appalto della gabella dei pesci e dell’ancoraggio venne affidato a Gio Domenico Sabbadino. Ma nel dicembre del 1700 il Sabbadino fu costretto a ricorrere al Governatore di Corsica per far presente che nel periodo quaresimale  molte feluche napoletane arrivavano a Capraia dove compravano dai Padroni locali di reti non solo una grande quantità di pesci piccoli per innescare i loro palamiti ma anche, alla sera, pesci freschi che andavano a vendere a Livorno senza pagare la gabella. Il cinque gennaio 1711 il Governatore ordinò al Commissario di Capraia di intervenire in modo che i napoletani non si sottraessero all’obbligo di pagare la gabella.[36]

Nel dicembre del 1710 il Governatore di Corsica segnalò al Magistrato di Corsica le frodi commesse da diversi pescatori capraiesi: alcuni di loro erano stati scoperti dai mercanti livornesi a vendere barili di acciughe alle quali non era stata tolta la testa e le interiora; altri avevano riempito i barili di sale coperto con quattro dita di acciughe. Dopo la scoperta il prezzo del barile era crollato da L. 9 a L. 5 o 6 con grave danno per la reputazione di tutti i pescatori capraiesi.[37] Il 19 gennaio del 1711 Il Magistrato decise di informare i Collegi di quanto era accaduto mettendo in risalto che “esser questo riuscito in pregiudicio grande di quel credito in cui hanno mantenuto finora si in Livorno che in altre parti, questo negozio, unico capitale che possa continuare a quella gente la forma di sostenersi in quella picciola sterilissima Isola spugliata di ogni cosa …”.. [38] Il 17 marzo i Collegi demandarono al Magistrato l’incarico di determinare le pene contro quanti avessero commesso delle frodi e il 31 marzo il Magistrato decise di “imporre a i rei delle trasgressioni e frodi la pena di due fino a quattro mesi di carcere formale secondo le circostanze più o meno gravanti delle medesime trasgressioni e frodi, a giudicio di quel Magnifico Capitano e Commissario …”[39]

Nel 1716 i Padri del Comune scrissero al magistrato di Corsica, a nome dei Padroni e marinai dell’isola, per lamentarsi delle angherie che subivano da parte dell’attuale  Commissario Cattaneo Maria Bargagli che chiedeva che gli fosse consegnato un barile di acciughe a gondola senza considerare la scarsità della pesca e il basso prezzo di vendita del barile sceso a Lire  undici, tanto da essere appena sufficiente a pagare le spese. I precedenti Commissari si accontentavano, quando la pesca era scarsa, di chiedere chi Lire due, chi quattro, chi cinque, e chi addirittura niente. Vista la poca resa della pesca il Vescovo di Massa Marittima, da cui dipendeva Capraia, aveva emesso un decreto sinodale con cui autorizzava la pesca anche nei giorni di festa purché si pagassero lire otto per gondola alla Chiesa parrocchiale di S. Nicola. Il tributo negli ultimi tre anni era stato ridotto a Lire 5, tenuto conto della scarsa pesca.[40]

Per il periodo 1720-1725 la gabella dei pesci e dell’ancoraggio venne appaltata ad Anton Domenico e Gio Leonardo Bargone. Il Commissario di Capraia, Gio Batta Di Negro, in data primo agosto 1720, emise una grida per ribadire le regole relative alla denuncia del pescato e al pagamento dell’ancoraggio.[41]

Ma con il passare degli anni la pesca delle acciughe intorno all’isola divenne sempre meno proficua e i pescatori capraiesi furono costretti a spostarsi nelle acque delle isole vicine: Gorgona, che apparteneva al Granducato di Toscana, Pianosa e Montecristo, che appartenevano al Principe di Piombino. Per potere esercitare la pesca nelle acque di queste isole era necessario ottenere un permesso. La pesca a Pianosa e Montecristo era molto pericolosa poiché le due isole erano disabitate ed erano divenute un covo di corsari. Per i pescatori capraiesi non rimaneva che effettuare la pesca nelle acque di Gorgona, che per l’abbondanza del pescato – da anni si sapeva che nelle acque dell’isola nei mesi estivi vi era il passaggio delle motte di pesce azzurro – era diventata anche la meta dei pescatori di acciughe della Riviera Ligure di Levante, in modo particolare dei camoglini.

I Capraiesi, vedendo diminuire il pescato, il 28 giugno del 1721, decisero di fare un voto a Sant’Antonio, elevandolo a loro protettore, come risulta dal seguente verbale dell’Assemblea della Comunità:

Li nominati Antonio Chiama, Gregorio Ramarone, e Giuseppe Biagini Padri del Comune di Capraja riguardando con grave loro sentimento le calamità, e miserie di detta Isola, e popolo di Capraja fatte ora più gravi dalla presente sterilità della pesca delle alici, con la quale tutto questo Comune va procacciandosi il necessario sostentamento, hanno deliberato di movere il predetto popolo a porgere voti particolari a Sua Divina Maestà col mezzo del molto Illustre, e molto Reverendo Signor Pievano, e Reverendi Padri di questo Convento per impetrare dalla divina Clemenza il provvedimento di pesca sufficiente a sostenere con decoro il loro povero stato mediante l’intercessione de Santi Avvocati, e Protettori del luogo, e specialmente di Sant’Antonio di Padova, …”

 Passano pochi giorni e il 6 luglio, alcuni bastimenti di pescatori capraiesi di acciughe si presentarono nelle acque di Gorgona, ma subito provocarono il malcontento dei pescatori toscani che già vi stavano pescando: la scusa fu che i capraiesi, i corsi e in genere i genovesi non hanno la libera pratica, il permesso cioè di scendere a terra e di commerciare con gli altri bastimenti per il pericolo di contagio, rischiando di essere messi in quarantena in caso di trasgressione del divieto. Nel 1721 l’isola di Gorgona pur facendo parte del Granducato di Toscana era in possesso dei frati della Certosa di Pisa che vi erano ritornati dopo tre secoli in base ad un contratto stipulato nel 1704 con il Granduca Cosimo III de Medici. La difesa dell’isola era assicurata da un castellano di nome Moretti, che dipendeva direttamente dal Granduca. I frati e il castellano potevano entrambi rilasciare dei permessi di pesca ai forestieri, con il diritto di scendere a terra a far asciugare le reti e utilizzare i magazzini per la salatura: al castellano spettava il pescato di uno spigone (rete da pesca di 23 metri circa) per ogni barca che avesse fatto preda, ai frati spettava un quartarolo (5 chili) di acciughe salate per ogni barca, per ogni anno. Domenica 13 luglio dopo aver ascoltato la Santa Messa a Capraia, le gondole capraiesi, in compagnia di qualche imbarcazione di Camogli e di Moneglia, presero il largo dirette verso le acque della Gorgona per pescare le acciughe perché intorno a Capraia non se ne erano ancora viste. Il lunedì, due ore prima dell’alba, a causa di una burrasca le imbarcazioni furono costrette ad avvicinarsi alla Gorgona dal lato più deserto, e quando furono ad una distanza di un tiro di schioppo, furono scorte dal figlio del castellano, Gorgonio Moretti, che guidava una pattuglia di sei o otto soldati, i quali, senza alcun avvertimento, spararono contro le imbarcazioni con i loro archibugi, ferirono mortalmente un capraiese e un camoglino, forarono le vele di molte imbarcazioni e ne spezzarono parecchi remi. I bastimenti, nonostante la burrasca che continuava ad imperversare, rientrarono la sera dello stesso giorno a Capraia tutti strapazzati.[42]

Quando nel 1725 scadde il contratto di Anton Domenico e Gio Leonardo Bargone, il Commissario di Capraia chiese al Magistrato come si doveva comportare circa la riscossione della gabella dei pesci salati, scabeccio e morta. Alla richiesta del Commissario così rispose il Magistrato:

… vi significhiamo a risposta che abbiate esigere l’introito di detta gabella et ancoraggi per conto della Camera Nostra, come avrà fatto la Vostra attenzione dal primo del corrente mese d’Agosto, in cui restò invenduta, con regolarne la scossione da tutti indistintamente secondo gl’ordini, et adebitarvene con distinzione al Libro di vostra Massaria per rendercene conto al vostro ritorno, accertendovi che li Patroni, che hanno pescato ne mari della Toscana, o altrove e passati inmediatamente a Livorno a farne vendita di pesci salati, col sale da Voi, o venduto secondo gl’ordini, o loro dato a credenza sono niente meno tenuti al detto pagamento, come quelli, che havessero estratto, o estraessero in avenire alici o altre pesce salato o reso scabecio, o morta da cotesta Isola sopra di che è nostra mente che invigiliate con tutta la premura. …. vi imponiamo per tanto a rimetterci prontamente le liste della quantità di sale da voi venduto, o accredenzato si in l’estate passata come della corrente, un’ anno distinto dall’altro, co’ la specificazione de Patroni e quantità del sale loro venduto, o accredenzato per Nostra regola …[43]

Nella lettera del Magistrato si può notare la preoccupazione che via sia un riscontro tra la quantità di pesce estratto dall’isola con la quantità di sale consumato, subodorando un tentativo dei pescatori  di Capraia di acquistare nell’isola il sale e poi utilizzarlo direttamente sulle loro imbarcazioni per andarlo a rivendere a Livorno senza pagare la gabella, approfittando del minore interesse del Commissario nel riscuotere la gabella la cui riscossione non era più sotto il rigido controllo degli appaltatori. Preoccupazione che aumentò quando, nel mese di gennaio del 1726, il Padrone Anton Matteo Compiano arrivò a Genova con un carico di 40 barili di pesce scabeccio, senza avere con se la ricevuta del pagamento della gabella. Al Compiano venne sequestrata la merce e dovette sottoscrivere una promessa di presentare la ricevuta o in alternativa di pagare il valore della merce pari a Lire 400 più la gabella. Il 16 febbraio il Commissario di Capraia comunicò che il Compiano al suo ritorno aveva pagato la gabella dovuta. Il Magistrato però ricordò al Commissario:

… che in coerenza degl’ordini dativi, siate tenuto, e dovete scuodere detto dritto dovuto alla Camera nostra al tempo, et avanti l’estrazione da ogn’uno indistintamente; con fare a chi estraerà, il ricapito del pagamento; distinguendo il genere, e somma pagata, con addebitarvene al libro di Massaria, sevendovi, che il Magistrato nostro starà in attenzione, per venire in cognizione, se si ritrovassero facilità accertate, anco rispetto a bastimenti si portassero in Livorno, e Roma; per il che siete in obligo di star con vigilanza, ed attenzione al riparo de pregiudicij camerali.”[44]

Nell’agosto del 1727 i Padri del Comune di Capraia inviarono una supplica al Governatore di Corsica per lamentare il fatto che negli ultimi tre anni i pescatori napoletani avevano calato nelle cale dell’isola, dove i pescatori di Capraia solevano mettere le loro sciabiche, un ingegno di bogare con quel rumore che fa fuggire i pesci con grave pregiudizio dei pescatori locali che vi ricavano il loro vivere. La presenza dei pescatori napoletani intorno all’isola risaliva a molti anni prima quando però si limitavano a pescare con i palamiti. I Padri del Comune denunciarono altresi il fatto che alcuni capraiesi proteggevano i pescatori napoletani nelle loro pratiche in quanto ne traevano un beneficio.

Il 30 agosto il Governatore decretò che ai pescatori napolerani venisse interdetta la pesca nei mari e nelle cale dell’isola se praticavano il nuovo tipo di pesca.[45] Poco dopo arrivò a Bastia una nuova supplica dei padroni capraiesi Anton Matteo Compiano e Benedetto Chiama, proprietari di bastimenti e reti, che  prendevano la difesa dei pescatori napoletani confutando le affermazioni dei Padri del Comune e chiedevano di lasciar pescare i napoletani fino a quando non avessero estinto il loro debito di L. 216. Il 20 settembre il Governatore emise un nuovo decreto con il quale consentiva ai pescatori napoletani la pesca nelle cale e nei mari di Capraia per giorni diciotto a partire dal giorno in cui iniziava la pesca.[46] Il 29 settembre 1728 il nuovo Governatore di Corsica, Felice Pinello, su istanza del padrone capraiese Antonio Chiama, promulgò un nuovo decreto che accordava ai capraiesi l’esclusiva sulle bogare nelle cale dell’isola dietro pagamento di Lire 150/anno per cinque anni, oltre al pagamento della gabella dei pesci.[47] Ai primi di dicembre dello stesso anno cinque pescatori napoletani, Lorenzo Calello, Nicola Maldacco, Antonio Maldacco, Carlo Spina e Filippo Castagno, si rivolsero, ancora una volta, al Governatore affermando che essi avevano insegnato ai capraiesi come usare le bogare e gliene ne avevano anche vendute; ciò nonostante i capraiesi volevano scacciarli dall’isola mentre loro erano accettati in tutti i porti della costa toscana dove comandava il re di Spagna. Ribadirono anche che con la loro pesca davano un contributo alla Camera pagando la gabella dei pesci. Il governatore in un suo memoriale del 12 dicembre confermò che la pratica della pesca era libera purché non si utilizzassero attrezzi proibiti. Il 7 gennaio 1729 il Governatore Felice Pinello convocò a Bastia i Padri del Comune di Capraia, Giuseppe Sabadino, Giuseppe Cuneo e Pietro Antonio Costantio (Costanzo), al fine di sedare le dispute tra i Capraiesi e i pescatori napoletani, e con loro concordò che la pesca nelle acque dell’isola rimaneva libera ma che nessuno poteva calare nuove reti nelle cale e nei seni dell’isola dove  i capraiesi, sia di giorno sia di notte, avessero già calato le loro sciabiche.[48]

Tra il 1726 e il 1730 la gabella non venne appaltata ma diede un introito di L. 1057 mediamente per anno.

Il 21 maggio 1731 l’affitto delle due gabelle venne assegnato a Gio Domenico Sabbadino q. Francesco e a Benedetto Chiama q. Giuseppe, a partire dal 5 maggio 1731 per cinque anni per lire 1600 annue. Con il contratto venne concesso agli affittuari di aver a disposizione tre uomini con licenza di porto di armi bianche con esclusione di armi da fuoco.[49] La sola gabella dei pesci diede un introito medio per anno di L. 711.

La stessa gabella non appaltata tra il 1736 e il 1743 diede un introito medio anno di L. 597.[50]

Probabilmente la gabella dei pesci dopo il 1736 non fu più appaltata. La riscossione fu affidata dal Commissario a dei collettori di gabella capraiesi, che venivano compensati tramite il prelievo del 5% sulle somme incassate. Anche la forma di pagamento fu cambiata per facilitare la riscossione: la tassa venne stabilita in soldi 10 per barile e in L. 2 per barilone.[51]

Dai dati finora esposti risulta chiaramente che la pesca delle acciughe non era più redditizia sia perché il passo delle acciughe nei pressi dell’isola era molto calato sia perché occorreva recarsi a pescare in zone lontane dall’isola, quali il tratto di mare tra la Gorgona e la costa tirrenica, dove pullulavano le barche dei pescatori di Camogli e Rapallo, e le isole di Pianosa e Montecristo che non solo appartenevano ad altri stati ma erano anche infestate dai corsari barbareschi.

In realtà i marinai capraiesi avevano scoperto poco alla volta una attività più redditizia: il trasporto delle merci e il commercio. Queste attività subirono un  rapido sviluppo quando nel 1729 scoppio l’annosa rivolta dei Corsi contro Genova. Le imbarcazioni capraiesi, che rimasero fedeli a Genova, assunsero di fatto il monopolio dei trasporti di merci e mercanzie tra la Corsica e Genova e tra la Corsica e il litorale tirrenico, in modo particolare il porto di Livorno. Le barche da pesca non erano più sufficienti per le nuove attività e in poco tempo i capraiesi riuscirono ad acquistare delle imbarcazioni di maggior portata, come i grossi leudi e le feluche.

Nel 1756 il Brigadiere Antonio Federico Flobert in una sua relazione su Capraia affermò che “Tutti li uomini dedicati alla marina fanno il loro commercio con 34 barche più grandi, 12 mezzane, 10 piccole. le grandi portano 300 cantari, le mezzane 100, le piccole servono per pescare… .” [52]

In pochi decenni si passò dalle 45 imbarcazioni da pesca nel 1670, numero che si mantenne costante almeno fino al 1712, a 10 nel 1756. [53]

La situazione della pesca certamente non migliorò nei decenni successivi. Ormai la flottiglia capraiese aveva ridotto notevolmente il suo interesse per l’industria della pesca. La pesca però non venne abbandonata: una analisi dei movimenti delle gondole capraiesi nel periodo 1721-1767 mostra chiaramente che nei mesi estivi, dedicati alla pesca, vi era una flessione degli arrivi  rispetto al resto dell’anno.[54]

Nemmeno dopo la dopo la cessione della Corsica alla Francia da parte della Repubblica, non si ebbe un sostanziale ritorno alla pesca considerata ormai una attività troppo aleatoria anche per la sempre più aggressiva presenza delle feluche napoletane e delle loro attrezzature più moderne.

Nel 1772 i Padri del Comune si rivolsero al Commissario, Tenente Colonnello Belengero, per far allontanare dall’isola le feluche napoletane che secondo loro pescavano con ordigni proibiti. Il Commissario nominò allora due patroni, periti alla pescaggione, in specie di retti, acciò vedutoli dovessero rifferire il vero. I due periti, che erano Giovanni Bargone q. Giuseppe Maria e Giovanni Bargone q. Antonio, si recarono ad ispezionare le feluche e riferirono che i napoletani non impiegavano rastelli o tartaroni bensì sciabiche che non erano proibite. La stessa istanza fu di nuovo presentata al Commissario Carlo Staglieno nell’ottobre del 1774. Si arrivò addirittura ad uno scontro tra i Padri del Comune e il Commissario che voleva attenersi al regolamento, che proibiva solamente i rastelli e il tartarone, mentre i Padri sostenevano che ad ogni modo dovesse allontanare i Napoletani dall’isola forti dei loro privilegi affermando con molta arroganza che sono essi quelli che comandano in Capraia, e  per tal motivo i Napoletani non ne li vogliono. I Padri del Comune dopo qualche giorno si scusarono con il Commissario ed accettarono che egli nominasse due periti per ispezionare le feluche napoletane. Il 22 ottobre il Commissario fece pubblicare una sua grida atta ad costringere i pescatori a dare la precedenza alla vendita del pescato alla popolazione capraiese prima di andarlo a vendere a Livorno:

Per parte, e comando dell’Illu.mo Signor Carlo Staglieno Capitano e Comissario di Capraia per la Serenissima Repubblica di Genova unitamente a Signori Censori

Si ordina e comanda che irremissibilmente ogni giorno  irremissibilmente si debbano portare al luogo indicato li pesci si prederanno con le boghare, nasse e palamiti per ivi prendere la meta e vendere al Popolo quelli pesci le abbisogneranno secondo vi sarà data la meta, e detto luogo è fissato al Pontetto, che è alla fine della strada che conduce alla chiesa, nel qual luogo sarete obbligato tenerci detti pesci fino che li abbiate venduti, e dopo un’ora di tempo posiate portarli via, e venderli dove vi pare e piace, bensi alla meta fissata, e quando contraveniate a detti nostri ordini per ogni volta sarete condannati nella pena di lire sei, applicabili un terzo alla Camera Serenissima, un terzo all’Illustrissimo Signor Comissario, e l’altro terzo alla nostra Comunità, come ordinano i Decreti; come altresi vi proibiamo il prendervi ardire di calare il rastello per essere questo un’ordigno proibito, e contravenendo pure  cascherete in detta pena, parimente vi proibiamo il vendere sorte alcuna di pesce al vostro bordo sotto la sopra segnata pena. Quando poi prendeste gran quantità di boghe siete obbligato portarne sulla Chiappa solamente rubbi due quali pesci devesi dai Signori Censori far la divisione per la porzione spetta alla Fortezza. Inoltre proibiamo a tutti li Padroni delle sciabiche di vendere pesci al loro bordo sotto pena parimente di lire 6 applicabili come sopra, e che siano obbligati portare tutti li pesci al luogo destinato per rivenderli secondo la meta, e anche i pesci alla mattina debbano portarli sulla Chiappa all’ora di terza ed alla sera a ore 22, e detta Piazza è il Pontetto di sopra segnato, e detti Padroni tutti li giorni  irremissibilmente porteranno un rubbo di Pesci per cadauno in Fortezza, e contravenendo cascheranno nella pena di Lire 6 applicabili come sopra.”[55]

Nel 1792, in una sua Nota, il Colonnello Belengero, che era stato per due volte Commissario di Capraia, scrisse:

Il pesce vicino all’Isola pescato è di poco valore, cioè zeruli, e bughi. Eranvi in passato 16 in 18 sciabeghe, in oggi ridotte a due sole, e fuorché nasse altri ordigni non hanno li Caprajesi. Così pure alla Quadragesima venivano feluche napoletane in n° di 8, 12 e fino a 20, che pescavano co’ palamiti 20 miglia lungi da Terra, e il pesce lo mandavano a Livorno, ove avevano li mercanti con li quali erano appaltati per li prezzi a tanto il cento, ed essi lor davano il pane a mantenersi. La pesca delle alici da salare si principia da Caprajesi da Montagna, grossa spiaggia Toscana passano alla Gorgona ove pure sono tenuti a comprare il sale, e dopo S. Antonio vengono nelle acque di Capraja ove riportano tutta la pesca, e quando si estraggono le alici si paga di Gabella soldi 40 per ogni barilone, soldi 10 per ogni bariletta. Se la pesca abbonda qua corrono pescatori forestieri, e qua dovrebbero provedersi di sale e li uni, e li altri ma non vi essendo un Famiglio forse vi sarà accaduto del disordine. Se fossero esperti li Caprajesi nella pesca e avessero palamiti, e altri ordigni potriano andare in Corsica, ove il pesce naturalmente deve anche più abbondare, ma … invece essi lo portano per conto de mercanti a Genova, Livorno, Napoli secondo il tempo favorevole.”

Dalla stessa Nota si evince che nel periodo 1782-1791 erano state versate alla Camera per le gabelle del pesce e dell’ancoraggio mediamente lire 685 per anno. In questo periodo si sviluppò a Livorno tra i pescivendoli (mercanti di pesce) la pratica di contrattare con i padroni dei pescherecci l’acquisto del pescato, rilasciando loro sul futuro dovuto un anticipo, che permetteva ai pescatori di acquistare i loro attrezzi e di sfamare le loro famiglie.[56]

Una Nota dei Deputati all’Isola di Capraia dell’aprile 1797, dopo la breve occupazione di Capraia da parte degli Inglesi del 1796, analizza ancora una volta la situazione dell’isola e delle sue risorse. Per quanto riguarda la pesca si osserva:

 “La poca industria de Caprajesi nella pesca non può d’altronde procedere, che dal poco profitto che dà la vendita del pesce in paese, e dal non esservi Mercanti che anticipino la sussistenza come fanno i Livornesi coi pescatori Napoletani. Ecco pertanto il caso di un Monopolio che saria di più utilità che lo Stato di Libertà. Una pesca che domanda denaro anticipato, compra di bastimenti, di reti ecc. non fiorirà mai in mano di gente povera. Conviene anzi appaltare il Dritto di pescare in alto mare ad una Compagnia che lasciando ai locali il pescare come ora fanno li escluda da ciò che non fanno alfine di allontanare i forestieri, che non vi si annideranno se li Magazzeni saranno preoccupati dal proposto appaltatore del Gius Privativo. S’egli vorrà usare de quei bastimenti usati nell’Oceano a conservare a bordo vivente il pesce potrà provvedere la Chiappa di Genova con la pesca di Corsica”[57]

Queste proposte non ebbero alcun seguito perché l’antica Repubblica di Genova fu travolta nel mese di maggio dello stesso anno dalla rivoluzione giacobina. Nel 1803 Capraia, per volontà di Napoleone Bonaparte fu integrata nella Repubblica Francese fino al 1815 quando con il trattato di Vienna l’isola venne assegnata al Regno di Sardegna. Nel 1806 il prefetto del Golo, Petri, in una sua Statistica così scriveva a proposito della pesca a Capraia:

Questo ramo dell’attività industriale è quasi scomparso, si contano appena 5 battelli che pescano le acciughe i quali durante l’ultima stagione non hanno preso nulla. Per altro la diminuzione dei battelli da pesca, a detta degli abitanti, deriva dall’aumento delle grosse barche per il cabotaggio.”[58]

Nel luglio del 1875, al comandante D’Albertis, che con il suo cutter Il Violante sta visitando l’isola di Capraia, venne mostrata la cosiddetta grotta della Foca Monaca, come riportato nelle memorie del suo viaggio, dove descrisse un nuovo tipo di pesca:

Qui gli viene mostrata una delle diverse grotte scavate dai flutti, detta il Nido della Foca, dove se n’eran già prese delle vive, chiudendone l’angusta entrata con una forte rete a sacco e sparando poi uno schioppo per farle fuggire al mare. L’animoso capitano fa star pronti i suoi con ramponi, nel caso uscisse la foca al colpo della sua carabina e, nulle vedendo comparire, penetra nell’antro a nuoto tenendo fra i denti una candela accesa. La grotta ha una cinquantina di metri di profondità e termina con una piccola spiaggia; il D’Albertis non vi ha osservato alcunché di rimarchevole.” [59]

 La cattura della foca monaca continuò a Capraia fino agli anni trenta dello scorso secolo. Una famiglia capraiese, i Cuneo del porto, si erano specializzati in questo tipo di pesca, e le loro prede finivano nei più importanti zoo d’Europa. L’ultimo pescatore di foche di questa famiglia fu Alfredo Cuneo, con i figli Antonio Giuseppe (Beppone), Domenico, e Tullio.[60]

La situazione della pesca non migliorò nei decenni successivi tanto che, nel 1891, il capraiese Lorenzo Lamberti così scriveva al suo amico Pasquale Rinesi, emigrato a Bella Vista, Argentina:

I negozi poi vanno di male in peggio non abbiamo più un Bastimento ne piccolo ne grande, il nostro Porto è sempre polito neppure ci è più un pescatore Caprajese, sono venuti qui dei pescatori gorgonesi che altrimenti si patirebbe anche un pesce che anche i pesci non è più come avanti”.[61]

Fino alla Seconda Guerra Mondiale la pesca  a Capraia non ebbe un rilievo commerciale e si limitò a soddisfare le necessità dei pochi abitanti che erano rimasti nell’isola. Dopo la guerra alcuni giovani capraiesi, sperando in un facile guadagno, decisero di ricuperare la polvere delle mine che la Marina Tedesca aveva collocato intorno all’isola. Un maneggio maldestro di una di queste mine causò nel 1948 uno scoppio con la morte di  undici persone e il ferimento di altre quattro: alcuni di loro erano pescatori di frodo  e altri abitanti della casa nel cui magazzino a piano terra veniva maneggiata la mina.

Negli anni cinquanta arrivarono a Capraia dall’isola di Ponza alcune famiglie di pescatori che vendevano agli abitanti e più ai primi turisti quanto prendevano con i loro tremagli.

Negli anni sessanta la Colonia Penale di Capraia venne dotata di un peschereccio con scafo di ferro, il Barracuda, che oltre ai trasporti, nei mesi estivi si dedicava alla pesca delle acciughe che venivano poi salate nel cortile della cosidetta Salata al Porto. Le acciughe salate venivano poi vendute in latte da un chilo e da dieci chili. L’equipaggio del Barracuda era formato da detenuti e due guardie di custodia.

Negli ultimi decenni diversi giovani si sono dedicati alla pesca con l’impiego di imbarcazioni e attrezzature moderne. Il pescato viene venduto durante i mesi estivi ai ristoranti e ai turisti, mentre nel resto dell’anno viene venduto a Livorno. Una barca si è specializzata nella pesca al pesce spada e al tonno con l’impiego di palamiti di fondale che vengono calati anche a decine di miglia dall’isola. Un altra attività di carattere industriale che si sta rapidamente sviluppando è quella dell’allevamento di orate e spigole nella cala di Portovecchio. Il pesce, quando ha raggiunte le dovute dimensioni,  viene poi inviato alle grosse catene di distribuzione, specialmente in Toscana.

Barche da pesca

 La prima testimonianza delle barche da pesca utilizzate a Capraia la troviamo in una lettera del Commissario e Capitano di Capraia Genesio da Quarto del 1540 dove parla del leudo picolo de nostri piscatori. I leudi erano piccoli scafi dotati di remi e di un albero a vela latina.[62] Ancora nel 1645 i pescatori capraiesi usavano i leudi per la pesca e ne possedevano una ventina.[63]

A partire dalla metà del Seicento la flottiglia da pesca dei Capraiesi subisce una evoluzione in modo particolare nelle imbarcazioni per la pesca d’altura, acciughe e sardine. Si passa dai leudi alle più capaci e veloci gondole.[64]

Nel 1692 in un disegno, probabilmente eseguito dal Commissario di Capraia per illustrare un progetto di ampliamento del porto, viene riprodotta una serie di imbarcazioni attraccate nel porto.

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1692 – Barche nel porto di Capraia (particolare)

Il disegno è piuttosto schematico, ma interessante per alcuni dettagli. Le imbarcazioni hanno un albero centrale diritto dotato di vela latina, e un albero inclinato a proravia dotato a sua vola di vela latina con l’antenna fissata al bompresso dell’imbarcazione.

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1692 – Barca nel porto di Capraia (dettaglio)

A terra sulla spiaggia è rappresentata un’imbarcazione non alberata dotata di quattro coppie di remi. Non sappiamo quale tipo di imbarcazioni sia stato rappresentato nel disegno. Siccome siamo in un periodo in cui inizia la transizione da una economia basata principalmente sulla pesca a quella basata sui trasporti e il commercio si può ritenere con buona probabilità che la serie di barche ormeggiate rappresenti delle gondole. Tra l’altro la forma dello scafo è molto simile a quella delle due gondole corse rappresentate in un quadro del 1737 dove si può vedere che esse erano dotate di alberatura a vela latina e da quattro coppie di vogatori. [65]

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1737 – Gondole della Corsica (dettaglio)

Gli scafi sono molto simili con una prua molto slanciata ed una poppa rialzata quasi a formare un cassero, ma differiscono nell’alberatura in quanto quelle di Capraia sono dotate di due alberi mentre quelle corse possiedono uno solo albero centrale a vela latina. Uno schizzo di alcune barche in un disegno del Commissario di Capraia del 1766 ritroviamo la stessa tipologia di alberatura e vela di quelle corse.[66] È probabile quindi che vi sia stata una evoluzione nelle imbarcazioni capraiesi per quanto riguarda l’alberatura e le vele.

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1766 – Barche al largo (dettaglio)

Le gondole venivano usate non solo per la pesca ma anche per i trasporti e il commercio che nel Settecento diventarono la principale attività dei Capraiesi.

Nel Settecento alcuni pescatori capraiesi armarono delle coralline per partecipare alla proficua pesca del corallo che si svolgeva nelle acque della Corsica e della Sardegna. Le coralline erano molto simili ai leuti.

Attrezzi per la pesca

 Gli attrezzi per la pesca usati dai capraiesi vanno divisi in due categorie: la prima riguarda gli attrezzi impiegati per la pesca di altura, acciughe e sardine, mentre la seconda riguarda quelli impiegati nella pesca sotto costa.

Per la pesca di altura, acciughe e sardine, venivano impiegati gli spioni o spigoni, reti quadrate composte di fili molto sottili e delicati, e per il medesimo caso si pagano a prezzo molto rigoroso. Esse venivano messe ad asciugare sulla spiaggia e nel piazzole che si trovavano intorno alla spiaggia. Nel 1705 il numero di reti ad asciugare era talmente aumentato che fu chiesto al Magistrato di costringere i proprietari delle piazzole a venderle alla Comunità.[67]

Per la pesca sotto costa, nel 1669, si usavano nei mesi invernali il rastello, il cui impiego venne presto proibito per il danno che recava alla fauna marina, e le sciabeghe  o sciabiche,  rete a strascico a maglie larghe lunga circa 100 metri, che veniva tesa da quattro pescatori su un battello al largo e poi tirata a terra. Nei primi decenni del Settecento i capraiesi impararono ad usare anche le bogare, rete molto lunga. Questa rete che veniva impiegata nelle cale dell’isola, principalmente per la pesca delle boghe, fu importata a Capraia dai pescatori napoletani. Nella seconda metà del Settecento i capraiesi incominciarono ad usare per la pesca le nasse e i palamiti, pesca quest’ultima introdotta nell’isola dai pescatori napoletani. È in questo periodo che i pescatori capraiesi si dedicarono anche alla pesca delle aragoste che rivendevano sul mercato di Genova e che, probabilmente, veniva effettuato con le nasse.

Per dare la tinta alle reti esisteva al porto, nel 1694, una fornace di Agostino Sabadino dove si si faceva bollire del legno per estrarne il tannino, e poi con il liquido si tingevano le reti per immersione. Non sappiamo quale legno venisse impiegato nella cottura, ma probabilmente si usava una pianta locale, quale il mirto, o scaglie di scorza di pino.[68]

Il pescato: pesci, conservazione e vendita

Tra la seconda metà del Cinquecento e la prima metà del  Settecento il pesce più pescato dai pescatori capraiesi è stato senz’altro l’acciuga (Engraulis encrasicolus), inizialmente abbondante al largo dell’isola.

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Banco di acciughe

Più tardi, probabilmente a causa di una migrazione dei banchi o motte delle acciughe, fu necessario spostare la pesca specialmente tra la Gorgona e la costa maremmana dove il passo estivo delle acciughe era più abbondante. Era una pesca di altura che veniva fatta con gli spioni. Assieme alle acciughe venivano anche pescate le sardine (Sardina pilchardus).

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Sardina (Sardina pilchardus)

Entrambi questi pesci dopo essere stati privati della testa e delle interiora venivano salati  disponendoli a strati alterni con del sale in barili e bariloni, o fritti e poi marinati (pesce scabeccio) sempre conservati in barili e bariloni. Le operazioni di salatura  e la preparazione dello scabeccio avvenivano al porto. Erano gli stessi pescatori con il loro equipaggio ad occuparsi queste operazioni, ricorrendo nella stagione di pesca, che si svolgeva normalmente tra maggio e settembre, all’aiuto dei poveri del paese che venivano compensati in natura. Il barile di acciughe salate pesava 3 rubbi (~24 kg) e il barilone quattro volte tanto. Al porto esistevano dei magazzini dove venivano stivati i barili e i bariloni. Questi magazzini venivano anche affittati ai pescatori forestieri, specialmente della Riviera Ligure e ai mercanti che venivano ad acquistare il pesce conservato direttamente nell’isola. A questo proposito abbiamo una nota del 1669-1670 dalla quale risulta che il 20 luglio 1670 il patron Pelegro Pellagallo di Camogli comprò da 17 pescatori capraiesi 779 barili di pesce di cui ben 564 da soli tre individui.[69]

Nei mesi invernali venivano pescati anche gli zerri (Spicara smaris) e le boghe (Boops boops), che, dopo essere stati ripuliti, venivano fritti e poi conservati tra rami e foglie di mirto e adagiati in cesti.

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Zerri (Soicara smaris)

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Boga (Boop Boops)

Il porto più importante per la vendita del pesce conservato era quello di Livorno che riforniva non solo l’entroterra toscano e Firenze, ma veniva anche utilizzato per l’esportazione e il rifornimenti di navigli stranieri che numerosi facevano scalo in quel porto. Per la vendita del pesce conservato i pescatori capraiesi si recavano anche a Genova, nei paesi della costa della Corsica e della Maremma, spingendosi talvolta fino a Roma.

Quando i pescatori capraiesi incominciarono ad usare nasse e palamiti, il prodotto della pesca, dopo aver soddisfatto i bisogni della popolazione dell’isola, veniva portato fresco a Livorno, che con il tempo buono potevano raggiungere in giornata.

Roberto Moresco                                                                            24 Novembre 2016

 

[1] ASGe (Archivio di Stato di Genova), S. Giorgio, Cancellieri, n. 194, lettera del Commissario ai Protettori delle Compere del 31 ago. 1540

[2] ASGe, S. Giorgio, Cancellieri, n. 222, supplica del pescatore Manuelo ai Protettori delle Compere del 21 febbraio 1549. Il pesce fritto da Manuello probabilmente veniva conservato in scabeccio. Ibidem, n. 235, lettera del Commissario ai Protettori delle Compere del 3 febbraio 1554.

[3] G. Doneddu, La pesca nelle acque del Tirreno ( secoli XVII-XVIII), Sassari 2002, p. 10 e p. 46.

[4] ASGe, Corsica, n. 569, lettera dei pescatori di Capraia del 9 nov. 1639. Il munizioniere del Forte aveva il compito di gestire i magazzini della guarnigione, compreso quello del sale.

[5] R. Moresco, 1683 – La distribuzione del sale e i “fuochi” di Capraia, in www.storiaisoladicapraia.com.

Camera, con questo termine si indicava la tesoreria della Repubblica di Genova e quella delle diverse Magistrature della Repubblica di Genova.

[6] P. Massa, L’economia della Repubblica di Genova e la pesca, in G. Doneddu,  M. Gangemi ( a cura di), La Pesca nel Mediterraneo occidentale, secoli 16.-18, Bari 2000, p. 97.

[7] ASGe, Corsica, n. 575, lettere del Commissario Girolamo Spinola del 6 set. 1645 e del del 4 gen. 1646. Il rubbo equivale a Kg 7,94.

[8] Il Magistrato di Corsica era una speciale magistratura della Repubblica di Genova che aveva il compito di sovraintendere agli affari del Regno di Corsica e di Capraia. Da lei dipendeva il Governatore che risiedeva a Bastia e nominava i Commissari delle principali piazzeforti della Corsica e di Capraia. La Camera del Magistrato era la tesoreria della magistratura.

[9] ASGe, Corsica, n. 403, relazione di Antonio Foglietta, già Commissario e Capitano di Capraia n.d. (giu. 1654?).

[10] Ibidem, relazione di Marcello Durazzo, Governatore di Corsica al Magistrato di Corsica del 29 ago. 1654.

[11] Ibidem, proposta di decreto del Magistrato di Corsica approvato dalla Camera il 24 lug. 1656. Le spese per Capraia sostenute dal Magistrato di Corsica ammontavano a Lire 10000  l’anno come si evince da una tabella preparata dallo stesso Magistrato. I Serenissimi Collegi costituivano l’organo di governo della Repubblica di Genova

[12] ADCS (Archives Départementales de la Corse-du-Sud) , Camerali, n. 114, bando di gara per appalto del 4 dic. 1656.

[13] ASGe, Corsica, n. 587, lettera dei padri del Comune del 19 apr. 1657, con allegata nota datata 23 apr. 1657.

[14] Ibidem, lettera del Commissario Oberto Castiglione del 20 gen. 1658.

[15] Ibidem, lettera dei PP. Del Comune del 28 ago. 1658.

[16] ASGe, Corsica, n. 588, lettera dei PP. del Comune del 6 ott. 1659..

[17] R. Moresco, I francescani a Capraia, in http://www.storiaisoladicapraia.com.

[18] ADCS, Camerali, n. 114, lettera del Governatore di Corsica del 3 lug.1661. Probabilmente  nel 1659 il Biguglio aveva ottenuto un rinnovo del contratto d’appalto della gabella, ma sia di questo contratto, sia di quello precedente, vinto da Giulio Cesare Doria non abbiamo trovato nessuna copia.

[19] Ibidem, lettera con allegati del Commissario di Capraia Nicolò Soffia del 22 lug. 1661.

[20] ASGe, Corsica, n. 613, lettera del Commissario Nicolò Oderico del 23 lug. 1665.

[21] ASGe, Corsica, n. 430, “Provvedimenti da stabilirsi per la Capraja” del Commissario di Capraia Gio Batta Belengero, del 1773.

[22] ASGe, Corsica, n. 625, lettera dei PP. del Comune del 28 mag. 1669.

[23] ADCS, Camerali, n. 114, contratto di appalto del 6 ago. 1670. La moneta di camera era la moneta di conto usata nei libri contabili della Repubblica.

[24] ASGe, Corsica, n. 625, lettera dei PP del Comune del 15 nov. 1669.

[25] Ibidem, lettere dei PP del Comune del 13 mar. e del 16 mag. 1670.

[26] ADCS, Camerali, n. 114, lettera di dieci contraenti al Governatore di Corsica del 20 dic. 1674.

[27] ASGe, Corsica, n. 613, lettera del Commissario Gio Batta Spinola del 18 ago. 1679.

[28] ADCS, Camerali, n. 114, contratto di appalto del 14 mar. 1680.

[29] Ibidem, contratto di appalto del 14 mar. 1680. Il luogo di S. Giorgio era il titolo del debito pubblico gestito

dalle Compere di S. Giorgio, del valore di lire 100.

[30] Ibidem, lettere del Governatore del 14 set.? 1681 e del Commissario di Capraia del 4 set. 1681.

[31] Ibidem, lettera del Magistrato di Corsica al Governatore di apr. 1684. Si allude qui alla breve guerra tra la Francia e la Repubblica di Genova, che culminò nel bombardamento della città  da parte di una potente squadra navale francese nel maggio del 1684.

[32] Ibidem, nota del 10 giu. 1789. Per il periodo 1685-1690 non abbiamo trovato nessun contratto.

[33] ASGe, Corsica, n. 611, lettera dei Padri del Comune del 10 ago. 1691. Di la de Monti è la zona occidentale

della Corsica. Il di la de Monti è la parte occidentale della Corsica.

[34] ASGe, Corsica,n. 244, supplica di Agostino Sabadino ai Sindacatori del lug. 1696.

[35]  ASGe, Corsica, n. 464, lettera al Commissario di Capraia del 27 apr. 1695

[36]  ADCS, Camerali, n. 114, lettera del Governatore di Corsica al Commissario di Capraia del 5 gennaio 1701, e memoriale di Gio Domenico Sabbadino del dicembre 1700.

[37] ASGe, Corsica, n. 407, lettera del Governatore di Corsica ai Serenissimi Collegi del 18 dicembre 1710.

[38] Ibidem, nota del Magistrato di Corsica ai Serenissimi Collegi del 19 gen. 1711

[39] Ibidem, nota del Magistrato di Corsica del 31 mar. 1711.

[40] ASGe, Corsica, 617, lettera dei Padri del Comune del 28 set. 1716.

[41] ADCS, Camerali, n. 114, grida di Gio Batta di Negro, capitano e commissario di Capraia del 1 ago. 1720

[42] Su questo episodio e le sue conseguenze v, R. Moresco, La guerra delle acciughe, in

http://www.storiaisoladicapraia.com.

[43] ASGe, Corsica, n. 481, lettera del magistrato di Corsica al Commissario di Capraia del 17 ago. 1725. Il libro di Massaria è il libro delle entrate e delle spese del Presidio di Capraia ed era tenuto dal Cancelliere.

[44] Ibidem, lettere del Magistrato di Corsica del 30 gen. 1726 e 22 feb. 1726.

[45] ADCS, Camerali, n. 114, lettera dei Padri del Comune di Capraia dell’agosto 1727 e decreto del Governatore di Corsica del 30 ago. 1727.

[46] Ibidem, lettera dei padroni Anton Matteo Compiano e Benedetto Chiama e decreto del Governatore di Corsica Alessandro Saluzzo del 20 set. 1727.

[47] Ibidem, decreto del Governatore di Corsica Felice Pinello del 29 set. 1728.

[48] Ibidem, decreto del Governatore Felice Pinello del 7 gen. 1729.

[49] Ibidem, contratto  del 7 maggio 1731 redatto a Genova nella cancelleria del Magistrato di Corsica nel Real Palazzo di Genova..

[50]ASGe, Corsica, n. 430, Relazione de i redditi e spese della Capraia, fatta probabilmente dal Colonnello Gio

Batta Belengero, Commissario di Capraia nel 1773.

[51] Il barile di pesce pesava 60 libbre, circa kg 19, mentre il barilone pesava 4 volte il barile.

[52]ASGe, Corsica, n. 427, lettera del Brigadiere Flobert ai Serenissimi Collegi del 19 mag. 1756 da Bastia. Il cantaro equivale a kg 47,6.

[53]ADCS, Camerali, n. 114, lettere del Commissario di Capraia Oberto Castiglione del 13 lug. 1670  e di Gio Domenico Sabadino dell’ago. 1712.

[54] R Moresco, La marineria Capraiese nel XVIII secolo, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, Studi in memoria di Giorgio Costamagna, vol. II, 2003, p. 604.

[55] ASGe, Corsica, n. 430, lettere ai Deputati della Capraia del Comissario Carlo Staglieno del 23, 25, 28 ott. 1774, con allegata grida del 22 ott. 1774. Il Magistrato di Corsica fu sciolto dopo la cessione della Corsica alla Francia e gli affari di Capraia vennero affidati a due Deputati per l’isola. I Censori, in numero di due, venivano eletti ogni anno dall’assemblea della comunità ed avevano il compito di fissare il prezzo di vendita al minuto, la meta, delle principali derrate alimentari. La Chiappa a Genova era la pubblica pescheria dove doveva essere portato il pescato, a Capraia lo stesso termine indica il Pontetto. L’ora di terza corrisponde alle nove del mattino. Il tartarone o tartanone era una rete a strascico simile alla sciabica ma più fine e più piccola per prendere piccoli pesci.

[56] ASGe, Camera, Finanze, n. 2788, Nota del Colonnello Belengero scritta nel 1792.O Vaccari, Livorno: un osservatorio mediterraneo per l’approvvigionamento ittico, in V D’Arienzo, B. Di Salvia (a cura di), Pesci, barche pescatori nell’area mediterranea dal medioevo all’età contemporanea, Milano 2010, pp. 307-308.

[57] ASGe, Camera, Finanze n. 2788, Nota dei deputati all’Isola di Capraia inviata ai Serenissimi Collegi il 26 apr. 1797.

[58] R. Moresco, G. Santeusanio, L’isola di Capraia sotto la Francia: una statistica del prefetto del Golo, in http://www.storiaisoladicapraia.com

[59] P. Pavesi, Le prime crociere del Violante comandato dal capitano-armatore Enrico D’Albertis, Annali del Museo Civico di Storia Naturale di Genova, VIII, 1876, pp. 407-409.

[60] R. Moresco, 1766 – Una foca monaca catturata a Capraia, in http://www.storiaisoladicapraia.com.

[61] M. Contu, R. Moresco, Da Capraia al Cono Sud: profilo dell’emigrazione capraiese in America Latina tra Ottocento e Novecento. In M. Contu, L’emigrazione in America Latina dalle piccole isole del Mediterraneo Occidentale. Villacidro, Centro Studi SEA, 2012, pp.17-57.

 [62] L. Gatti, Navi e cantieri della Repubblica di Genova (secoli XVI – XVIII), Genova 1999, pp. 201-211.

[63] ASGe, Corsica, n. 575, lettera del Commissario Girolamo Spinola del 6 set. 1645.

[64] ASGe, Corsica, n. 625, lettera dei PP del Comune del 28 mag. 1669

[65] R. Moresco, L’isola di Capraia, carte e vedute tra cronaca e storia, Secoli XVI-XIX, Livorno 2008, p. 87. A.M. Salone – F. Amalberti, Corsica immagine e cartografia, Genova 1992, p.193, scheda 421.

[66] R. Moresco, L’isola di Capraia… cit., p. 120.

[67] ASGe, Corsica,n. 617, lettera dei Padri del Comune del 16 ago. 1705.

[68] ASGe, Corsica, n. 613, giudizio su disputa tra Agostino Sabbadino e i Padri del Comune di Capraia del 11 gen. 1695

[69] G. Doneddu, La pesca nelle acque del Tirreno…, cit., p. 53.

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1756 – Una relazione su Capraia del Brigadiere Antonio Federico Flobert

piano-del-forte-di-capraia-1790

Pianta del Forte di Capraia – ~1790

 

Nel 1755 la Repubblica di Genova decise di riformare e rafforzare il suo Corpo di Ingegneri Militari che aveva il compito di progettare e sovraintendere alla costruzione delle opere militari della Repubblica. A questo scopo, nell’ottobre, l’ambasciatore genovese a Parigi, Ranieri Grimaldi, contattò il colonnello francese Antonio Federico Flobert, ingegnere militare. Questi, benché prossimo alla partenza per la Spagna, fu convinto ad assumere un incarico a termine presso la Repubblica per un periodo di due anni, con il grado di Brigadiere degli ingegneri e delle truppe e uno stipendio mensile di Lire cinquecento.[1]

Il Flobert prese servizio a Genova il 6 aprile 1756. Una delle sue prime missioni fu una visita alle fortificazioni del Regno di Corsica, dove la Repubblica stava fronteggiando la ribellione dei Corsi. Una delle sue prime missioni fu la visita alle fortificazioni della Corsica dove era in corso da diversi anni un sollevamento della popolazione contro il dominio genovese.

Il 13 maggio, verso sera, mentre era in navigazione verso la Corsica in compagnia del capitano degli ingegneri della Repubblica Michele Cordiviola, il forte vento costrinse la sua imbarcazione a fermarsi a Capraia. Su questa visita il Flobert stese la seguente relazione, che seppur concisa, dà una rappresentazione della situazione dell’isola in quel periodo:[2]

“Serenissimi Signori

 havendo mi portato i venti sul fine del giorno tredici al porticino di Caprara, ho stimato che no sarebbe cosa dispiacevole a VV. SS. Serenissime mettere a profitto quella occasione di visitare il forte colle tre torri accessorie di cotesta isola come le sue parti interiori, ed altri accessi maritimi, per prenderne una suficiente cognizione, e farla presente a VV. SS. Serenissime.

La isola di Caprara tiene 5 miglia da levante a ponente, 8 dal norte al mezzogiorno e 15 di circuito. La sua situazione quasi in mezzo della Corsica e dell’isola di Elba è vantaggiosa alla Corsica, a cui potrebbe servire come di antemurale al meno di vedetta col mezzo di un ciabecco armato per osservare ed impedire la navegazione e commercio di contrabande e diserzioni tanto favorite da ribelli e cosi utili a loro come dannose al Ser.mo Servizio.

La isola tutto un scoglio montuoso ed asperissimo no tiene ne puo tener altre abitazioni di quelle che si trovano sottoposte al forte. Si compongono di 400 fuochi, che fanno 2400 anime.[3] la maggior parte è di donne che prendono al suo carico tutti i lavori del poco di campo che hanno, e della casa, essendo le più laboriose che io creda essere nel mondo. Tutti li uomini dedicati alla marina fanno il loro commercio con 34 barche più grandi, 12 mezzane, 10 piccole. le grandi portano 300 cantari, le mezzane 100, le piccole servono per pescare.[4]

A forza di lavoro non lasciano di raccogliere 2000 mine di orzo e 2000 bote di vino.[5]

Benchè distinta dalle mie imcumbenze non ho creduto indifferente a VV. SS. Serenissime questa piccola descrizione di un paese del quale io stimerei si potrebbe cavare non mediocre utilità, per l’assoluto dominio di questo tratto di mare, e costa orientale di questo Regno, armando a poco costo tre ciabecchi con 20 soldati, e quatro piccoli pezzi di cannone, l’uno sempre pronto in Caprara e li altri due in questa capitale alla intiera disposizione di cotesto Ecc.mo Sig.re Comisario.

Rimetto a VV. SS. Serenissimeme le note aggiunte dello stato dell’artiglieria di Caprara, e torri adjacenti come anche delli lavori che ho stimato più indispensabili no per migliorarle si bene perchè non peggiorandosi col tempo, venisse ad esiggere spese assai piu gravi. passato il giorno catordici in quella ricognizione ed esame, son partito ed arrivato il quindici in cotesta Capitale. …

Bastia Maggio 19.1756/ Humilissimo Servitore/ Flobert”

Il 15 maggio il Flobert fu in grado di ripartire per Bastia dove arrivò lo stesso giorno.

Gli allegati alla relazione divennero un utile documento quando nell’ottobre dello stesso anno la Repubblica decise di incrementare il potenziale difensivo dell’isola per timore di un attacco da parte dei Corsi.

Ci sembra interessante dare qui uno stralcio della relazione tecnica, limitata però all’artiglieria di bronzo, preparata dal Capitano Codiviola.

1756 Maggio 14 – Stato delle Monizioni da Guerra che si ritrovano nel Forte della isola di Caprara, e Posti dipendenti 

Forte di Caprara

 1 Mezzo cannone del diametro di oncie 32

1 Coluvrina del diamentro di oncie 30

1 Mezza coluvrina del diametro di  oncie 22

1 Mezza coluvrina del diametro di oncie 18

1 Sagro del diametro di oncie 10

1 Altro sagro del detto diametro più corto

1 Falcone del diametro di oncie 6

1 Falcone del diametro di oncie 5 ½

1 Falcone del detto diametro, più corto

1 Falconeto del diametro di oncie 10

1 Falconeto del diametro di oncie 1

1 Quarto cannone del diametro di oncie 14

 Torre del Porto

 1 Sagro del diametro di oncie 10

1 Falcone del diametro di oncie 5 ½

Petriero di bronzo a braga senza mascolo

 Torre delle Barbici

 Falconetto del diametro di oncie 10

 Torre del Senopito

 1 Sagro del Diametro di oncie 10 crepato nella gioia (inutile)

1 Sagro del Diametro di oncie 7

 

Il capitano Codeviola preparò anche una “Nota dei lavori che si devono fare” sia per il Forte che per la Torre dello Zenobito nella quale in dettaglio vengono indicate le spese stimate, che risultarono di Lire 824 per il Forte e 574 per la Torre dello Zenobito.

Roberto Moresco                                                                 Settembre 2016

Note

[1]P. Pescarmona, Note e documenti sul Corpo degli Ingegneri Militari a Genova alla metà del Settecento, Studi in memoria di T. Ossian De Negri, Genova 1986

[2] ASG, Corsica, n. 427, lettera del Brigadiere Flobert ai Serenissimi Collegi del 19 mag. 1756 da Bastia. Allegati alla lettera vi sono anche lo Stato delle munizioni e le Nota delli Lavori preparati dal capitano ingegnere Michele Codeviola e vistati dal Brigadiere Flobert in data 19 mag. 1756.

[3] Mentre il numero di fuochi corrisponde a quanto indicato in altri documenti coevi, il numero di abitanti sembra essere estrapolato da quello dei fuochi. Documenti coevi indicano il numero degli abitanti tra 1800 e 2000.

[4] Il cantaro equivale a kg 47,6.

[5] La mina di granaglie equivale a kg 90,9, il che per 2000 mine equivarrebbe a una produzione di circa 1800 quintali, mentre fonti coeve parlano di una produzione di 400-700 mine, v. ASG, Corsica, n.640, lettera del Commissario di Capraia del 24 lug. 1707. Lo stesso vale per la produzione di vino: non è chiaro a quale unita di misura si riferisca il Flobert. Sappiamo però che la produzione di vino variava, a seconda degli anni tra i 500 e i 700 ettolitri.

[6]

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Inaugurazione dei lavori di restauro della facciata della chiesa di S. Antonio

S.Antonio_Invito

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Migration of fishermen, seamen and merchants from the Island of Capraia to Latin America in the XIX century

Migration of fishermen, seamen and merchants from the Island of Capraia to Latin America in the XIX century 

*Roberto Moresco

Indipendent researcher

The insular migration in the Western Mediterranean in Latin America from the 19th century up to the present time

Work prepared for its presentation in the 8th European Council for Social Research on Latin America Conference, organized by the Instituto de Iberoamérica, University of Salamanca, to be held in Salamanca from the 28th June to 1st July 2016

ABSTRACT: Since the middle of the 16th century the Island of Capraia, located between the Island of Corsica and the coast of Tuscany, has been part of the Republic of Genoa. In the 17th century the inhabitants became fisherman, selling their catch as salted fish in Genoa, Corsica and Leghorn. In the first half of the 18th century with their small boats, called gondola, they developed an intensive mercantile traffic among Corsica, Genoa and Leghorn. Fishing and mercantile traffic brought to the island a sustainable economy with a growth of the population.

Starting from the French revolution the inhabitants of Capraia were forced to leave their island due to the slowdown of the sea traffic and commerce with Genoa, Corsica, and the Tuscany coast.

In the first migration wave, between 1805 and 1820, the islanders moved first to Corsica and from there to France and Central America. A small group settled in the Island of Puerto Rico where from seamen they became small landowners.

A second wave of migration, starting from the middle of the 19th century, was directed to South America, mainly Argentina, where they could make their living as seamen and merchants.

Keywords: Migration, Capraia, Corsica, Puerto Rico, Latin America

Island of Capraia ~1800

Capraia, a small and rocky island situated between the Island of Corsica and Tuscany in the Tyrrhenian Sea (see image Island of Capraia~1800), since the middle of the 16th century has been part, with Corsica, of the Republic of Genoa. In the 16th century the inhabitants of Capraia (Capraiesi) were around 250, mainly peasants, shepherds, and few fishermen. In the 17th century, with the increase of the use of fish in the diet of the Italians the Capraiesi discovered that with fishing they could make a better living. The population started to increase and the inhabitants were able to build an important fleet of small fishing boats called gondolas. The fish, mainly anchovies, salted and pickled, were sold in the ports of Genoa and Leghorn. In the first half of the 18th century, when the Corsicans started a long fight against Genoa, the Capraiesi took advantage of the situation and were able to transform part of their fishing boats in passenger and cargo boats to carry goods and passengers among the ports of Corsica and Genoa and the ports of the northern coast of the Tyrrhenian Sea.  In this activity the inhabitants were carrying not only goods for third parties but also their own goods purchased in the Italian ports and resold in the Corsican ports. The population of the island reached a peak of around 1500 people.

In the second half of the 18th century, when the Republic of Genoa, with the treaty of Versailles, transferred Corsica to the French Kingdom, the activity of the Capraia merchant fleet started to decline as France preferred to use its own merchant fleet to move goods and passengers between the ports of France (mainly Marseilles) and Corsica. Some seaman from Capraia found jobs in the French merchant fleet, transferring their families to Bastia, the nearest Corsica port to Capraia. When in the year 1797, in the aftermath of the French revolution, the old aristocratic Republic of Genoa was transformed by Napoleon in the democratic Ligurian Republic under the strict control of the French Republic, the island become a stronghold of the French corsairs as a safe port for their vessels and as storage of the goods of their seizes. In the year 1800 the French troops occupied the island to stop the English fleet from taking over the island and threaten from there the coast of Northern Italy. In 1802 Napoleon imposed to the weak Ligurian Republic the transfer of the island to the French Republic.

For thirteen years, till 1815, Capraia was part of the French territory, linked administratively to Corsica. Life on the island became very difficult for the inhabitants and many seamen transferred their families to Corsica, mainly to the city of Bastia. When in 1815 with the treaty of Vienna, after the fall of Napoleon, the island was assigned to the Kingdom of Sardinia, the economy of the island deteriorated even further.

In the period 1800-1820 more than 400 people, whole families, left the island to French Corsica looking for a better living. Initially they settled in Bastia but afterwards the majority moved to small villages in the Cap Corse, the northern part of the Island of Corsica, making their living as small merchants or seamen. In the years 1816-1818 some of the Capraia seamen, who in the previous years used to sail in the French merchant fleet, applied to the French government to get the French nationality in order to continue to sail in the French merchant fleet. This was the first step of the decline of the population of the Island of Capraia. As we shall see in more details, the migration to Corsica was not successful for all the emigrants: some of the young Capraiesi after a brief stay in Corsica decided to follow the migration of Corsicans to Puerto Rico in the period 1818-1828.

The economy of Capraia continued to deteriorate even after the big migration to Corsica. During a visit to the island in 1837, Carlo Alberto, King of Sardinia, could realize the level of poverty of the population, but he left only a perpetual small benefit for the poor.  When on march 17, 1861 the kingdom of Italy was established, one of the first acts of the Italian government was to create on the Island of Capraia a plant to manufacture cigars to alleviate the poor conditions of the inhabitants. The cigar plant was established on December 1862 and in 1865 was employing more than 100 people, mainly women. But the cigar plant did not last for many years and it was shut down at the end of 1867. In the middle of the century the population of the island dropped to approximately 700 people. Many had already left the island to find a better living in other parts of Italy. Some migrated to Sardinia, Island of Maddalena, Sassari, Cagliari; others to Genoa and Leghorn where they settled their families and could find an employment in the Sardinian merchant fleet. Others, generally seamen, could find a new life in one of the ports of the Mediterranean Sea where Sardinian ships used to harbor, like Istanbul and Izmir in Turkey, and Alessandria in Egypt. As we shall see, a big wave of emigration from the island occurred between 1850 and 1890 when regular shipping lines were established between Genoa and the major ports of South America. The establishment, in 1873, of an agricultural convict colony did not provide any substantial relief to the economy of the island and the population continued to decline and, in 1895, it was of ~280 local people. In a letter from 1891 sent by Lorenzo Lamberti from Capraia to a friend living in Argentina, he said that the living conditions on the island were so pour that in a few years the island would become a desert.

The memory of the emigration from the Island of Capraia in the 19th century was lost after the Second World War. Only in the last few year the request of information on their ancestors coming from descendants of emigrated people brought the interest of some researchers to investigate the story of the hundreds of Capraiesi who were forced to leave their island looking for a better living in far away countries.

This work is based on information coming from different sources: baptism, marriage and death registers from the Capraia parish and town archives, the Historical Records Collection of Familysearch.org, original documents and recollections provided by the emigrants’ offspring.

  1. Migration to Puerto Rico

In the first half of the 19th century Corsica was a poor island and could not offer to its inhabitants many opportunities to make a decent living. Several Capraiesi who had migrated to Corsica in the period 1800-1820 decided to move to continental France, while others decided to follow the Corsicans in their emigration to the Americas. It is the case of a group of young Capraiesi, born in Capraia and linked by family ties, who moved from Corsica to the Island of Puerto Rico in the years 1818-1828. They were seamen who initially continued to sail in the local merchant fleet and later on became small land owners and merchants. They took advantage of the Spanish law of 1815, the Real Cédula de Gracias, which granted foreigners of proved Roman Catholic religion, some arable land (2.4 hectares per member of the family and 1.2 hectares for each Negro slave they owned) and the Spanish nationality after five years of legal residence on the island. It is the case of Andrea Cunio, Giuseppe Filippi, Gio Leonardo Solaro, Giuseppe Sussone, and Natale Luccari, all seamen and sons of seamen, who settled in the western part of the island (today the municipalities of Aguada, Rincón, and Añasco). Till 1873, when the so called Ley Moret, which abolished slavery, was enforced, the Negro slaves were an important component of the Puerto Rico economy. They were the majority of the workers in the sugar plantation. The slave owners were compensated with an indemnity for each Negro freed.

Andrea (Andrés) Cunio (Capraia 1780 – ?), son of a seaman who moved his family from Capraia to Bastia, settled around 1818 in the town of Aguada where, for a while, he made his living as seaman among the Caribbean islands, carpenter and peasant. In 1830 he got the certificate of domicile and some land from the Spanish government and married the local Maria Concepciòn Avilés De Soto. Later on he alternated his activities as seaman, owner of a small boat, and farmer.

Leonardo Solaro[1] (Capraia 1796 – Añasco 1856) in the period 1802-1803 was registered as ship-boy in the port of Capraia but later on he moved with his sister to Bastia, at that time the biggest port of Corsica. He arrived in Añasco in 1820 from Cádiz and there he opened a small general store while he continued to navigate as captain and ship owner among the islands near Puerto Rico. In 1822, he could afford to build his own house in Añasco bringing some construction material from the Island of Saint Thomas. In 1824 he married in Mayagüez the local Magdalena Prats from whom he had nine children. In 1830 he got the naturalization and a piece of land in Añasco from the government. He continued to navigate as captain of sailing-ships which were carrying Negro slaves from the Caribbean islands to Puerto Rico to work in the sugar plantations. He was very active in the local community and with the earnings from his activities he could enlarge his farm. In 1856 he died of cholera which was striking the Island of Puerto Rico in that period.  Leonardo left to his heirs one Negro slave for whom they received an indemnity of 200 pesos when he was freed. He was a sort of elder of the community of Capraiesi who settled in Añasco.

Giuseppe (José) Filippi (Capraia 1788 – Añasco ~ 1868) son of a seaman, in the period 1802-1803 was registered as ship-boy in the port of Capraia but later on he moved to Bastia. He arrived in Añasco in 1820 coming from the Island of Saint Thomas. During the first years of his stay in Puerto Rico he worked as seaman and a peasant. In 1830 he owned a small shop in Añasco and in the same year he applied for the Spanish nationality which he got with some land. In 1845 he married Luisa Solari daughter of Leonardo Solari with whom he had a son. In 1854 he asked his nephew Antonio Filippi, born in Bastia from his brother Stefano, to come to Puerto Rico in order to help him in farming coco-palms and in running his general store. He owned some Negro slaves, most probably imported by Leonardo Solari, whom he left to his wife and son. He was active in the Spanish local community and maintained a strong friendship with Leonardo Solari who named him as one of his testamentary executors. He left to his heirs four slaves for whom they received in 1876 an indemnity of 900 pesos when they freed them.

Giuseppe (José) Sussone (Capraia 1792 – Camuy before 1885) was the son of a captain of small merchant boats registered in the port of Capraia. In 1807 Giuseppe Sussone was embarked in one of these boats with his father. He arrived in Mayagüez in 1821 and there in 1826 he married Bernarda Prats, sister in law of Leonardo Solari who attended the marriage as witness. In 1830 he obtained the certificate of domicile declaring that he wanted to open a general store and build his house in Añasco. Afterwards he moved to the town of Camuy where his four children were born.

Natale (Nadal) Luccari (Capraia 1809 – Rincón before 1885) was the nephew of Leonardo Solari. He was the son of a caulker who moved from Capraia to Bastia in the period 1815-1818 with his wife Maria Domenica Solari, elder sister of Leonardo Solari, and his children. Natale Luccari arrived in Añasco in 1828 and there he opened a small general store. In 1830 he got the certificate of domicile and some land which he ran as a farmer. He married the local Gregoria Carrero from whom he had six children. In 1856, his wife died of cholera and from the same disease he lost three Negro slaves.  After the death of his wife he moved to Rincón and remarried there with the local Francisca Espinet.

In later years, around the middle of the century, some relatives of the first wave of migrants, born in Corsica from Capraiesi parents, reached them in Puerto Rico.

 Antonio Filippi (Bastia 1829 – Añasco 1880) nephew of Giuseppe Filippi arrived in Añasco in 1854 called by his uncle and there in 1869 married Rosa Solaro, daughter of Leonardo Solaro, from whom he had four children. He owned a small farm and a grocery. In 1876 he freed one Negro slave and received an indemnity of 200 pesos.

Giovanni Leonardo Luccari (Tomino, Corsica 1824 – Rincón 1856), brother of Natale Luccari, born in Tomino (Corsica) where his father was working as caulker after the transfer from Capraia. Around 1845 he immigrated to Puerto Rico most probably called by his brother and settled in Rincón where, in 1856, he died of cholera.

Pietro Luccari (Bastia 1818 – ?), brother of Natale Luccari, immigrated to Puerto Rico around 1845 most probably with his brother Giovanni Leonardo. In Añasco he married the local Francisca de lo Dolores. On January 1851 was godfather at the baptism in Rincón of his nephew José Nicodemus, son of Natale Luccari.

As we have seen, the majority of the Capraiesi immigrated to Puerto Rico settled in Añasco where they formed a small community where the bonds between them were strengthened by marriages in their adoptive country. In the first years after their arrival the life of the first wave of Capraiesi was not easy as they could only continue to work in the local merchant fleet, which was moving goods and passengers among the islands surrounding Puerto Rico, or to run small general stores. Later on, when they were able to get some land from the government they could improve their living but, natural events like cholera and frequent earthquakes and hurricanes, had a terrific impact on their family and properties. They were not able to expand their properties in order to be competitive with the local Spanish owners of great properties (Haciendas) and slowly their heirs, between the second half of the 19th century and the beginning of the 20th century, were forced to sell their properties and move to the big cities on the island or emigrate to the United States.

  1. Migration to Argentina and South America

As we have already said, in 1815 the Island of Capraia with the territory of the old Republic of Genoa was assigned to the Kingdom of Sardinia and the island was included in the Duchy of Genoa which, later on, became the Province of Genoa. The Capraiesi maintened a strong link with Genoa where some of them could find a job as seamen on the ships that were arriving there.

In 1818 the Sardinian government abolished the customs barrier between Piedmont and Liguria and applied tariff on the foreigner ships arriving in the ports of Genoa and Savona. This new legislation benefitted the Sardinian merchant navy which started to trade with South America, mainly Argentina with its main port of Buenos Aires. The stream of information, arriving in Genoa from Argentina, on the opportunities offered by this new country, opened the way to a flow of migration from the Sardinian Kingdom of which, as we shall see, a great number of Capraiesi took part. They became part of the first wave of Ligurian emigrants who, after reaching the ports of Buenos Aires, Montevideo, and Rio de Janeiro decided to settle in Buenos Aires and in the villages along the two main rivers Paraná and Uruguay. This wave of emigrants and the increased commercial relations between Argentina and the port of Genoa forced the Sardinian governement to open a Consulate in Buenos Aires in 1836.

One of the first of this wave of Capraiesi emigrants was Antonio Chiama (Capraia1811 – ?), who landed in Rio de Janeiro in 1837 while engaged as seaman on the South American brig Felis. In Rio de Janeiro he joined the expedition organized by the corsair Giuseppe Garibaldi to help the Republic of Rio Grande do Sul which was fighting against Brasil. Antonio Chiama was a member of the crew of the small vessel (sumaca), called Mazzini, which made a long and dangerous navigation along the coast of Brazil and Paraguay till the La Plata River. There Giuseppe Garibaldi, injured in a previous fight with the Paraguayan navy, decided to land in the Argentinian port of Gualeguay. The crew of the Mazzini was jailed and after a short trial Antonio Chiama was relesead and disappeared.

Later on, starting around the year 1860, many Capraiesi arriving from Genoa in the port of Buenos Aires or Montevideo decided to move to other places where they could develop activities linked to their previous experience of seamen and merchants. They moved with their families, wife, children and sometimes elders, thus cutting all bonds with the native island: only the memory of the pleasant place where they have been born was left to their offsprings. Nethertheless they did not forget their parents still living in Capraia sending them, from time to time, some money from their savings in order to provide them with some resources in the last years of their life. In the period of one year between 1855-1856 the remittances collected in the chancery of the Italian Consulate in Buenos Aires to be sent to Capraia amounted to 80 ounces of gold equivalent to 6560 lira of that time. Most probably this amount was only a part of the total remittances, because other ways to send money might have been used like through the seamen of the ships connecting Buenos Aires to Genoa. The remittances of the emigrants where a major resource for the Capraiesi still leaving on the island.

After 1860 the emigration of the Ligurian to South America had a new development with the establishment by the Compagnia Transatlantica of a regular shipping line between Genoa and South America with steam ships to carry goods and emigrants. The Capraiesi settled in villages along the rivers Gualeguay and Parana in the provinces of Entre Rios and Corrientes where they could partecipate in the traffic and commerce that was developping along these two rivers. They sold their properties in Capraia and, with the money they could get and some saving, they were able to pay the cost of the trip and to initiate an activity in South America.

As we shall see the Capraiesi who settled in the new world practised activities which were similar to the ones they and their parents used to practice in Capraia: mainly seamen and merchants.

  • Argentina, Buenos Aires

Among the first wave of Ligurian emigrants there were some  Capraiesi who arrived in Buenos Aires in the period 1840-1850. They made their living as seamen in La Plata River, whalemen[2] or merchants in the town of Buenos Aires.

Giuseppe Princivalle (Capraia 1817 – ?) was patented as first class master in the Sardinian merchant navy when he was eighteen years old. In 1838 being in Genoa with his father Michele, who in the same year had transferred his family to La Maddalena (Sardinia), decided to emigrate to South America and embarked on a vessel to Montevideo. He was sending letters to his parents in which he wrote that he was making good business and money and he was looking forward to caming back to Italy. In his last letter to the family, in 1848, he said that during the war between Buenos Aires and Montevideo he was captured and lost all his possession. From researches organized by his family it appeared that, after the war, he was freed but remained short of any means.

Domenico Gallettini (Capraia 1809 – La Plata River 1848), master and owner (Patrone) of the whaler Clarina, died in 1848 on the shores of La Plata River near Montevideo. In 1843 he married by proxy Santina Sarzana in Capraia, as most probably he was already settled in Argentina. When he died his wife was still leaving in Capraia.

Giuliano Cuneo (Capraia 1809 – ?), resident in Buenos Aires, was master and owner of the whaler Raggio. In 1848 he recovered and buried the body of Domenico Gallettini. In the same year his daugther Caterina Giovanna Domenica married in Capraia, in absence of his father, Gio Batta Costantino Dodero captain of the Sardinian navy and commanding officer of the Island of Capraia and its Fort. His nephew Luigi Francesco Costantino Dodero emigrated to Peru in the mid 1870s, as we shall see later on.

Antonio Padovano Sarzana, (Capraia 1821 – Buenos Aires 1848)  a merchant resident in Buenos Aires, died on  the sardinian schooner Carmen in 1848, while the ship was approching the port of Buenos Aires.

Giacomo Dussol (Capraia 1799 – ?), a merchant resident in Buenos Aires, in 1848 acted as witness for the death declaration of Domenico Gallettini and Antonio Padovano Sarzana.

Pasquale Sarzana (Capraia ~1789 – La Plata River 1849) a ship master, died on board of the Portuguise ship Amazonas which was cruising in the La Plata River in view of Atalaya, near Buenos Aires. In 1816 he married Maria Grimaldi in Capraia. Since 1825 he was living in Montevideo while his wife was living in Capraia where she died in 1870.

Nicola Rinesi (Capraia 1804 – Capraia 1879) a seaman, in 1831 married in Capraia Maria Luisa Morgana from whom he had two sons Pasquale and Giovanni. In 1857 he was resident in Buenos Aires. In his late years he returned to Capraia and there he died.

All these Capraiesi, with exception of Antonio Padovano Sarzana, were married but left their spouses and children in Capraia. Most probably they formed in Buenos Aires a small community where the links of the same native place and common language created, for a while, some strong bonds.

Later on arrived and settled in Buenos Aires Angela Maria Pisani (Capraia 1854 – Buenos Aires 1908), married  to Mariano Venturini. In 1889 she was in Buenos Aires where she died in 1908 of cerebral hemorrhage.

  • Argentina, Entre Rios, Gualeguay

The town of Gualeguay, along the river of the same name, was founded in 1783 and when the Capraiesi settled there, starting around the middle of 19th century, it was still a small town as is reported by William MacCann in his visit in the year 1848: “This town is situated on a river of the same name, but vessels cannot approach nearer than three leagues; it is about the same size as the town last mentioned [Gualeguaychú with about 2500 people], and numbers among its inhabitants three hundred Basques and Italians”. Gualeguay was expanding very rapidly and in 1890 had a population of 11000, expansion mainly due to the arrival of migrants from Europe, the excellent condition of soil for agricultural production and the favorable conditions provided by the government (national and local), to the migrants willing to develop land. The port of Gualeguay, called Puerto Ruiz, was located nine kilometers south of the village.

Simone Chiama (Capraia 1824 – ?) was a seaman embarked on the vessels travelling between Genoa and South America. He married in Capraia Maria Giuseppa Cuneo (Capraia 1827 – ?). He was out of the Island of Capraia when his son Giovanni Vittorio Ognisanti (Capraia 1846 – ?) was born, while he was in Capraia when his daughter Maria Stefana Fortunata was born in 1849. He had one other daughter Maria Chiama (1855?). Around 1854 he settled in Gualeguay  and, in 1860, he transferred from Capraia to Gualeguay his family – wife, three children and his mother in law, Lucrezia Cuneo (Capraia 1795 – Gualeguay after 1862). In Gualeguay he had two other children Mateo (1864) and Adelaide (1866). He established a shipping company which was connecting Port Ruiz (Gualeguay) to Colonia (Uruguay) and Buenos Aires. In 1885 he owned the paddle-steamer Adelina with a tonnage of 32 tons, registered in the port of Genoa. In 1886 he attended in Gualeguay the marriage of his son Mateo.

The oldest son of Simone Chiama, Giovanni Vittorio Ognisanti (Juan) was a very enterprising person taking part in the rapid development of Gualeguay. In the year 1869 Juan Chiama, was a merchant and married Maria Benito Abramor, with his mother as witness of the marriage, in the church of Saint Antony of Padua in Gualeguay. Juan Chiama, being successful in his merchant activities, in 1884 founded a farm which he named Capraia. The farm, five kilometers from the center of the town, had an extension of about 22 hectares, in which he built a dove-cote with 600 nests, a pen with 600 chickens, a warren for 500 rabbits, a shed for 400 beehives, and an modern incubator with alarm-bells to signal high temperature. In the farm there were fruit-trees and a wood. Juan Chiama was also trying to introduce in his farm the cultivation of tobacco, rice, manioc, sunflower, and castor oil plant. He had nine children all born in Gualeguay. He was very active in the local community: on November 23, 1890 he read a toast in verse at the official ceremony  for the arrival of the first locomotive in Gualeguay; on October 6, 1912 he was a member of the jury which assigned rewards for agricultural achievements in the Rural Exhibition in Gualeguay; on April 15, 1917 he was one of the speakers in the meeting organized by the Italian Society of Gualeguay to collect funds for the families of the deceased in the European War; on April 20, 1920 he read a salute to the flag during the celebration of the centennial of the death of General Belgrano in the Constitution square of Gualeguay.

Maria Stefana Fortunata (Estefana) Chiama married in Gualeguay the merchant Miguel Carboni born in Italy and had with him five children, while Maria Chiama married Michele (Miguel) Costa, born in Italy, with whom she had six children.

Emanuele Gallettini (Capraia 1828 – Gualeguay 1902) arrived in Buenos Aires, where he was active as seaman, around the year 1860 with his wife Luigia Cuneo (Capraia1834 – ?), sister of Maria Giuseppa Cuneo, and his daughter Maria Domenica Gallettini (Capraia 1858 – ?). Later on he moved the family to Gualeguay and there, in 1869, his wife was working as dressmaker while he was absent, most probably embarked on a ship. In 1884 he was in Buenos Aires while, in 1895, he was registered in Gualeguay as merchant. They had two additional daughters, Luisa and Manuela, born in Gualeguay. He died in Gualeguay in 1902 of a brain attack. His daughter Maria Domenica Gallettini married an Italian, Eleuterio Casotti in Gualeguay in 1876, and then they moved to Victoria where, in 1895, Eleuterio Casotti was registered as baker.

Francesco Cuneo (Capraia 1823 – Victoria 1897) arrived in Gualeguay around the years 1837-1838. In 1854 he married in Gualeguay the Italian Luisa Antola and there he had four children. After 1862 he moved with his family to Victoria, a city North of Gualeguay on the Paraná River in the same province of Entre Rios. There he had another six children. In Victoria he was a successful merchant and owned a big warehouse. He was an important member of the local Italian community. In 1863 he was one of the founders of the Sociedad Italiana de Socorros Mutuos. Two of his sons were merchants, one was physician, and one became lawyer and judge. Francesco died in Victoria in 1897.

Simone Cuneo (Capraia 1808 – Gualeguay 1879), brother of Lucrezia Cuneo arrived in Buenos Aires on September 4, 1841 and from there he moved to Gualeguay, where in 1842 he married Rosa Perez Bergara and had six children.

Antonio Morgana (Capraia 1818 – ?) was a seaman who married in Buenos Aires, around 1850, Maria Dolores from whom he had a daughter Catalina. Around 1852 he moved with the family to Gualeguay and there he had ten children. Most probably he was embarked in one of the ship which connected Gualeguay with Buenos Aires. He died before 1895 and his wife moved back to Buenos Aires.

Antonio Chiama (Capraia 1851 – ?),  arrived in the agricultural district of Tala in the department of Paraná before 1895 with his wife Edelmira (1854 – ?) and two sons, Luigi (1877 – ?) e Giovanni (1880 – ?), all born in Italy, probably in Genoa. In 1895 he was registered as farmer.

  • Argentina, Corrientes, Bella Vista

Bella Vista, a village along the Rio Paraná, was officially founded in 1825. The natural conditions of its port allowed the docking of big commercial boats, which could benefit of preferential custom duties. The establishment of foreigners opened the way to the development of a diversified agricultural economy. For the Capraiesi the small town was an ideal place to settle, as they could find a job as small merchant, an activity that they and their parents had practiced in their island.

Sussoni Stefano (Capraia 1820 – ?) in 1847 married in Capraia Maria Giuseppa Trama (Cagnano, Corsica 1827 – ?) whose parents were both from Capraia. Stefano moved, with his wife and daughter Maria Paola Sussoni (Capraia 1848 – ?) to Bella Vista around 1850. There Stefano Sussoni was a merchant and he had two other daughters Maria Emilia (1857) and Maria de Los Angeles (1863).

Giovanni Maria Sardi ( Marciana, Elba Island ~1827 – ?) married in 1857 in Capraia, where he was resident, Giuseppa Olivieri (Capraia 1827 – ?). Around 1860 he arrived in Bella Vista with his wife and his mother in law Maria Francesca Ramaroni (Capraia 1805 – ?). In Bella Vista he was registered as carpenter in 1869 and 1895.

Also two brothers of Giuseppa Olivieri left Capraia, most probably with her and their mother, to emigrate to Bella Vista: Lorenzo Olivieri (Capraia 1824 – ?) and Bartolomeo Olivieri (Capraia 1835 – ?).  They married on November 1st, 1868 in Bella Vista: Lorenzo married with Maria Agostina Aglae Cuneo (Capraia 1845 – ?) and Bartolomeo with Maria Agostina Cuneo (Capraia 1852 – ?). In 1869, both brothers were registered with their families in Empedrado, Corrientes as merchants. Lorenzo’s family, after his death (before 1895) remained in Empedrado where his wife was registered as cigar maker. In 1895, Bartolomeo with his family was in Bella Vista and was registered as merchant.

Pasquale Rinesi (Capraia 1832 – ?) arrived in Bella Vista between 1862 and 1864 and there, in 1864, he married Maria Paola Sussoni. Then he moved for a while to Buenos Aires where in 1865 his son Nicola was born. He had twelve children. In 1869 Pasquale Rinesi was registered in Bella Vista as merchant.

Giovanni Rinesi (Capraia 1834 – ?), brother of Pasquale Rinesi, married in 1857 in Capraia Filomena Arnaldi (Cagnano, Corsica 1840 – ?) while his father Nicolò was resident in Buenos Aires. He emigrated to Bella Vista between 1862 and 1864 with his wife and their daughter Felice (Felisa) Rinesi (Capraia 1861 – Capraia 1904). He started to work as shoemaker (1869) and later he became a merchant (1895). They had at least four more children, all born in Bella Vista.

After 1868 Stefano Cuneo (Capraia 1829 – ?) arrived in Bella Vista with his wife Maria Giuseppa Cuneo (Capraia 1827 – ?) whom he married in1851 in Capraia,  and his five children all born in Capraia, Maria Agostina Cuneo (Capraia 1852 – ?), Giuseppe Maria Cuneo (Capraia 1854 – ?), Maria Adelaide Cuneo (Capraia 1860 – ?), Maria Emilia Cuneo (Capraia 1861 – ?), and Ema Cuneo (Capraia ~1868 – ?). In 1885 Ema Cuneo, then dressmaker, married Ricardo Papi. In 1889 Giuseppe Maria (José) Cuneo married in Bella Vista Maria Isabel Amestoy, born in Bragado (Buenos Aires). In 1895 Stefano Cuneo and Giuseppe Maria Cuneo were registered in Bella Vista as merchant.

In 1871 Stefano Lamberti (Capraia 1825 – Bella Vista 1871), died in Bella Vista hit by yellow fever while his wife, Maria Giuseppa Cuneo, was living in Capraia.

Around 1870 the two brothers, Gasparo Cuneo (Capraia 1850 – ?) and Vittorio Luigi Cuneo (Capraia 1852 – ?), arrived in Bella Vista.  In 1875 Gasparo Cuneo  married Felice (Felisa) Rinesi in Bella Vista. He was a very active person and devoted himself to river navigation and commerce. He supplied bricks for the construction of several public buildings in La Plata, new capital of the province of Buenos Aires. He became also agent for several Italian and French companies. In 1893 he returned to Capraia, for a short visit, with his son Esteban who received the first Holy Communion in the church of Saint Nicholas.  On May 1895 he was registered as seaman, passenger on the Argentinian steam ship Centauro in the port of Rosario, province of Santa Fe. In November of the same year, he was captain of the postal steam boat José Gilbert of 402 ton deadweight. He owned houses in the town of La Plata and Corrientes. In 1901 his wife Felice returned to Capraia due to some health problems and there she died in 1904. Gasparo had four children Maria Josepha Fortunata (1877), Luisa (1879) who married a local of Italian origin with whom she returned to Italy, Esteban (1881) who lived in Capraia with his Argentinian wife from 1913 to 1921, and Juan (Giovanni) who returned to Italy  in 1901 with his mother and there he settled, first in Capraia and later in Naples.

Vittorio Luigi Cuneo, after his arrival in Bella Vista, married, in 1876, Maria Lucia Rinesi (Capraia 1859 – ?). In 1882 he was working as merchant with his wife in Caapucú, Paraguay where his son Luis Maria was born. On January 1st he was in Caá Catí, a small town North of Bella Vista in Corrientes Province, with his wife and there his son Luis Maria, was baptized having as godparents Pasquale Rinesi and Colomba Descalzo.

After 1861 Francesco Rinesi (Capraia ~1826 – ?) arrived in Bella Vista with his wife Francesca Cuneo (Capraia ~1828 – ?) his son Pasquale Rinesi (Capraia 1856 – ?) his daughter Maria Lucia Rinesi (Capraia 1859 – ?), his father Benedetto Rinesi (Capraia 1799 – ?),  and his father in law Giovan Battista Cuneo (Capraia ~1795 – ?).  While in Capraia, he was registered as seaman in 1859 and as ship’s master in 1861. In 1869 in Bella Vista he was registered as merchant. Maria Luisa Rinesi, married in Bella Vista in 1876, Vittorio Luigi Cuneo, born in Capraia. In 1869 Benedetto Rinesi owned in Bella Vista a grocery which he was running with the help of his grandson Pasquale Rinesi. Later on Pasquale Rinesi married with Colomba Descalzo and moved to the city of General Paz, Corrientes where both were registered as merchants. In 1892 with his family he moved back to Bella Vista where in 1895 he was registered as owner (most probably landowner).

On January 1865, Domenico Salese (Capraia 1828 – La Cruz, Corrientes 1865) died in the village of La Cruz, Corrientes and was buried in the local cemetery.

Around 1880 Gasparo Stefano Cuneo (Capraia 1852 – ?), a seaman, arrived in Bella Vista where in 1886 married with Geronima Cuneo (Capraia 1865 – ?). In 1895 they were both registered as merchant. Maria Caterina Trama (Capraia 1830 – ?), mother of Geronima, was living with them. They had three children Reinaldo (1889), Juana (1892), and Domingo (1898).

In 1895 Carlo Frangioni (Capraia 1845 – ?), married, was working in the city of Corrientes as seaman.

After 1880 Pasquale Tomei (Capraia 1862 – Bella Vista 1942) arrived in Bella Vista, where he married, in 1889, with Marina Olivieri of Italian origin. In 1895 he was registered as hairdresser. He kept contacts with his family still leaving in Capraia. He died in Bella Vista in 1942.

In Bella Vista settled the biggest number of Capraiesi in South America, as we can see from the following table based on the Argentina National Census of the years 1869 and 1895 for the urban population of the town:

Origin 1869 % of Total 1895 % of Total
Argentina 1446 92.3 3827 93.5
Europe – Other 26 1.7 95 2.3
Italy – Other 77 4.9 151 3.7
Capraia 17 1.1 21 0.5
Total 1566 100 4094 100

From the register of the Argentinian National Census of 1895 in Bella Vista it appears that the families of the Capraiesi were grouped in some particular districts of the town. From the numerous marriages among the Capraiesi living in the town we can assume that strong bonds where maintained among them. The professions of the male Capraiesi, according to the two National Census, were as follows: merchants 10, shop keepers 2, seaman 2, barber 1, carpenter 1, unknown 3. The women generally were working at home growing the numerous children; the few professions registered were merchants 2 (working with their husbands), cigar maker 1, dress maker 1, hairdresser 1.

The Capraiesi were very active in the Italian community and five of them, Stefano Cuneo, Bartolomeo Olivieri, Pasquale Rinesi, Giovanni Sardi and Pasquale Tomei were among the founders of the Società Italiana.

  • Peru

As in other Latin American countries, in the second half of the eighteenth century Peru launched legal provisions to encourage the influx of immigrants to solve the problem of the lack of manpower on the coast and colonize the eastern region of the country, but this effort was not as successful as in Argentina. Only a few thousand Europeans settled in Peru in the 19th century: in 1858 the Italian colony was second (3469) to the German (4472), and ahead of the French (2693), the Spanish (1397), and the English (1041). The majority of the Italian who immigrated to Peru was coming from the Liguria region, seamen and merchants, who initially settled in Callao e Lima. Some of them after the first years of settlement were able to convert themselves to farming with land acquisition: it rarely was a direct acquisition, more often they started as suppliers of existing farmers or as superintendent of the farm. Among the Ligurian who settled in Peru there were at least two Capraiesi.

Simone Cuneo (Capraia 1823 – Lambayeque 1866) on february 1844 arrived in Buenos Aires from Gualeguay with the bilander Cristina. There he became body-guard of Juan Manuel de Rosas, ruler of Argentina. Around 1847 he decided to move to Peru, and in 1849 estasblished himself in Lambayeque, a town in the North-Eastern part of Peru, where he started to work as manager of a farm (Finca). In 1851 he married the local María de los Santos Ureña from whom he got three children. He was rather successful and was able to purchase one of the best colonial houses in Lambayeque which is known till today as Casa Cuneo. He died in Lambayeque in 1866 of a cerebral attack.

Luigi Francesco Costantino Dodero (Capraia 1851 – San Luis de Cañete, Peru, 1904) was the son of Costantino Francesco Dodero, a Genoise captain in the Sardinian Navy, who was the commander of the Island and Fort of Capraia in the years 1846-1850, and there he married, in 1848, Maria Caterina Giovanna Domenica Cuneo, daughter of Giuliano Cuneo who was living in Buenos Aires.  After his birth the family moved to Genoa and there, after finishing school, he went to sea. Apparently he decided that his sailing days were over when he landed in the mid 1870s in Peru’s principal port Callao, where, at that time, many Italian immigrants were living. In 1879 he married the local Margarita Sanches Mugarra in the town of Bambamarca. Then he settled with his wife in the small town of Cañete,  a rich sugar and cotton producing area south of Lima. Chilean troops occupied the area in 1880 during the Pacific war but Dodero’s family house and hacienda escaped major disasters. He became wealthy and was active in developing the town of San Luis de Cañete of which he became mayor in 1900-1904. He had nine children, of whom the oldest, Amadeo, succeed him later on in his job as mayor, whereas a younger son became mayor of the town of Lince, in the province of Lima.

  1. The sad side of emigration

While many Capraiesi were rather successful in their efforts to find a new way of life in Latin America, others ended their lives alone in the new countries far from their families still living in Capraia, as it was the case of Domenico Gallettini, Antonio Padovano, and Pasquale Sarzana who died in the Rio de La Plata, or Stefano Lamberti who died in Bella Vista of yellow fever and Domenico Salese who died in the village of Cruz en Misiones.

Others could not even reach the new countries where they were hoping to find a new way of life, as it is the case of the entire Chiama family – father, mother and one son, who died, in 1870, on the wreck of the brick-bark Manin Barabino, full of emigrants, which caught fire while cruising from Genoa to Buenos Aires.

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[1]   The surname Solaro became Solari in Puerto Rico.

[2] In the 19th century the hunting of whales was very active in the La Plata River primarily for meat, oil, and blubber. Most probably the Capraiesi owned small boats just suited for that purpose.

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