1837 – Antonio Chiama: un capraiese con Garibaldi corsaro riograndense

Fig.1 -ita_uni_top_left_240Negli ultimi mesi del 1835, Garibaldi (1807-1882), con alle spalle una vita di avventure e il peso di una condanna a morte in contumacia, giunse a Rio de Janeiro. Qui entrò subito in contatto con la piccola colonia di italiani, molti i liguri, tra i quali parecchi erano esuli con sentimenti rivoluzionari. Nel 1836, Garibaldi fondò, insieme ad altri esuli, la Giovane Europa ispirata agli ideali mazziniani e che si proponeva l’arruolamento di uomini disposti a combattere per la libertà dei popoli. Uno dei dirigenti dell’associazione, Giacomo Picasso, acquistò una piccola lancia di venti tonnellate, battezzata Mazzini,[1] che mise a disposizione di Garibaldi. Garibaldi da giovanePer tutto il 1836, l’imbarcazione venne utilizzata da Garibaldi per piccoli commerci, lungo le coste del Brasile, che gli garantirono il sostentamento. Ma Garibaldi non era adatto ad una vita tranquilla di commercio. Nel novembre, l’amico genovese Luigi Rossetti gli procurò una Patente di Corsa dalla Repubblica del Rio Grande do Sul. Era questa la regione meridionale dell’Impero del Brasile che si era rivoltata contro la capitale e che stava lottando,  con alterne vicende, contro l’esercito imperiale. Tra i membri più influenti del governo rivoluzionario del Rio Grande do Sul, c’era l’italiano Livio Zambeccari, esule in Brasile ed allora prigioniero dell’esercito imperiale. Nonostante la prigionia, Garibaldi riuscì ad incontrarlo nel febbraio del 1837 e gli dichiarò la sua disponibilità a collaborare per la libertà di quel popolo e a condurre la guerra di corsa a sostegno di quella Garibaldi da giovane                                                  Repubblica.

Il 4 maggio, arrivò a Rio la Patente di Corsa, documento ufficiale sormontato dall’emblemaStemma riograndense della nuova Repubblica. In questa Patente di Corsa erano affermati i principi giuridici e costituzionali che giustificavano la lotta della piccola Repubblica contro l’immenso Impero Brasiliano e veniva ribadito il diritto del corsaro a compiere atti bellici contro navi da guerra e mercantili del nemico. Nella patente erano elencati i nomi e le qualifiche dei quattordici membri dell’equipaggio.[2] Garibaldi raccolse, tra i suoi amici e sostenitori, i fondi per armare il Mazzini e il 7 maggio, dopo aver imbarcato delle armi, che nascose tra la merce, partì per questa sua prima avventura sudamericana. Alla partenza l’equipaggio era così composto:

 1)    Giuseppe Garibaldi, comandante

2)    Luigi Carniglia, di Deiva (Genova), nostromo

3)    Luigi Calia, di Malta, 2° nostromo

4)    Pasquale Lodola, di Genova, pilotino

5)    João Baptista, brasiliano, Capitano d’armi

6)    Antonio Chiama di Capraia (Genova), marinaio

7)    Giovanni Fiorentino, sardo della Maddalena, timoniere

8)    Giambattista Caruana, di Malta, marinaio

9)    Maurizio Garibaldi di Genova, marinaio

10)  Luigi Rossetti di Genova, in missione politica

11)  Giovanni Lamberti, di origine ignota, marinaio

12)  José María, portoghese, marinaio

13)  Un veneziano non meglio identificato[3]

Antonio Chiama, nato a Capraia il 20 marzo del 1811 da Antonio e Maria de Franceschi, era stato battezzato nella chiesa di San Nicola il 13 aprile dello stesso anno dal prete Sabbadini. Al Sacro Fonte Battesimale, aveva avuto per padrino Francesco Pinelli e per madrina Teresa Schiani. Antonio Chiama faceva parte di una delle famiglie di Capraia che nel Settecento possedevano diverse imbarcazioni utilizzate per la pesca, il trasporto e il commercio.[4]

Tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, in modo particolare nel periodo napoleonico, quando l’isola di Capraia venne annessa al dipartimento del Golo, le attività, che avevano portato un certo grado di benessere nell’isola, andarono scemando e la popolazione maschile fu costretta ad abbandonare l’isola, parte emigrando, parte imbarcandosi sulle navi mercantili.

È probabile che Antonio Chiama si fosse trasferito a Genova e lì avesse trovato imbarco su una delle numerose navi mercantili del Regno di Sardegna che facevano la spola tra i porti dell’America del Sud: Cuba, Brasile, Montevideo, Buenos Aires. Probabilmente, durante uno scalo a Montevideo, Antonio Chiama decise di abbandonare la nave piemontese sulla quale era imbarcato e di arruolarsi su un brigantino orientale: il Felis.[5] Con questo brigantino che trasportava carne, Antonio Chiama arrivò a Rio de Janeiro intorno al 24 aprile e qui incontrò il nostromo del Mazzini, Luigi Carniglia, che lo persuase ad abbandonare il Felis e ad entrare a far parte dell’equipaggio del Mazzini, dicendogli che mentre ufficialmente la lancia era diretta a Campos, in raltà stava partendo per andare in corso contro l’Impero del Brasile. Il Chiama si lasciò convincere e abbandonò  il Felis, perdendo tutti i suoi averi che il capitano non volle restituirgli, a causa della sua decisione di abbandonare il brigantino.

Non sappiamo cosa spinse Antonio Chiama a unirsi allo sparuto equipaggio di Garibaldi: la fama del comandante, lo spirito di avventura, la speranza del bottino, o la condivisione degli ideali di libertà. Certo, fu tra i pochi che condivise la sfortunata impresa fino all’ultimo.

Nulla si sa dell’origine del marinaio Giovanni Lamberti: non è azzardato ipotizzare che anche lui fosse nativo di Capraia. Due Giovanni Lamberti nacquero nell’isola all’inizio dell’Ottocento, quasi coetanei di Antonio Chiama, uno nel 1809, l’altro nel 1810.[6] Uno dei due poteva essere stato compagno di viaggio di Antonio Chiama, decidendo quindi di affrontare con lui l’avventura proposta da Garibaldi. Nel Settecento, i Lamberti, come i Chiama, erano piccoli padroni marittimi e commercianti di Capraia.[7]

 Ma ritorniamo alla descrizione del lungo viaggio.

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Bandiera del Rio Grande do Sul

La partenza da Rio de Janeiro ebbe luogo all’alba del 7 maggio, e, forse, nello stesso giorno il Mazzini, che inalberava la bandiera del Rio Grande do Sul, abbordò nei pressi del porto della città una lancia all’ancora presso l’isola Maricá. Sulla lancia catturò un schiavo negro di nome Antonio, e si impossessò di una pompa da acqua e di alcuni viveri. Garibaldi dopo aver lasciato libera la lancia diede la libertà al negro Antonio, primo schiavo a ricevere la libertà da Garibaldi. Quindi, il Mazzini iniziò la sua discesa lungo la costa brasiliana e, l’undici maggio, all’altezza dell’Isola Grande, catturò la sumaca Luisa, carica di caffè. Sulla Luisa, oltre al proprietario, vi era un equipaggio di tre marinai bianchi, quattro schiavi negri ed un passeggero. In un primo tempo, Garibaldi trasferì i prigionieri sul Mazzini ed affidò la Luisa al nostromo Luigi Carniglia e a due marinai. I quattro schiavi negri, subito dopo la cattura, vennero dichiarati liberi. Le due imbarcazioni proseguirono il cammino di conserva fino a che Garibaldi decise di colare a picco il Mazzini e di proseguire il viaggio con la sola Luisa, che era più solida, di maggior tonnellaggio e con un carico molto prezioso.

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      A.H. Brue – Carte du Bresil et d’une partie de pays adjacentes – 1826 (particolare)

 A questo punto, la  sumaca Luisa fu ribattezzata Mazzini.[8]

La sumaca continuò la sua rotta verso S.O. fino all’altezza del Capo Itapocuroi dove, il 17 maggio, Garibaldi decise di rilasciare i prigionieri bianchi e di far sbarcare anche il brasiliano João Baptista, suo capitano d’armi, dopo averli riforniti abbondatemente di viveri ed aver acconsentito che loro trattenessero gli effetti personali. Ai prigionieri venne lasciata l’unica lancia di salvataggio di cui disponeva la sumaca.

La sumaca proseguì il suo cammino in direzione di Maldonado, porto uruguaiano, ma durante la rotta i viveri cominciarono a scarseggiare e Garibaldi fu costretto ad improvvisare una zattera per scendere a terra per rifornirsi di viveri freschi.

Il 28 maggio, il Mazzini giunse finalmente a Maldonado, inalberando la bandiera riograndense [9]: in 21 giorni  i corsari avevano percorso oltre 1000 miglia.

A Maldonado, Garibaldi sperava di rifornirsi di viveri e di trovarvi un’accoglienza amichevole, in quanto, alla sua partenza da Rio, sia il governo uruguaiano, sia quello argentino erano in freddi rapporti con l’impero brasiliano ed appoggiavano i ribelli riograndensi. Ma, durante il viaggio, le alleanze si erano rovesciate e quando la sumaca giunse a Maldonado gli amici dei riograndensi non erano più visti con benevolenza nei due stati. Nel porto, erano alla fonda anche un bastimento della marina militare uruguaiana e una fregata francese da pesca. L’accoglienza delle autorità e della popolazione fu buona e Garibaldi riuscì a vendere parte del carico che aveva sequestrato sulla Luisa: alcuni sacchi di caffè e del legname. Rossetti sbarcò per recarsi a Montevideo, dove sperava di ricevere istruzioni e rifornimenti. Ma dopo pochi giorni, da notizie riservate, Garibaldi apprese che il governo imperiale stava facendo pressioni sulle locali autorità affinchè procedessero al sequestro della sumaca e all’arresto dell’equipaggio. Garibaldi decise, quindi, di partire improvvisamente nella notte fra il 5 e 6 giugno, dopo aver sostato otto giorni a Maldonado, e si inoltrò, nonostante una forte tempesta, all’interno del Rio della Plata. Dopo aver rischiato di finire sugli scogli e superata la tempesta, la sumaca arrivò infine, l’undici giugno, alla punta di Jesus Maria dove Garibaldi sperava di ritrovare il Rossetti il quale, però, era                                        stato arrestato dalle autorità uruguaiane. Con un mezzo di fortuna, Garibaldi e uno dei marinai riuscirono a scendere a terra e a procurarsi della carne. Mentre sostavano all’altezza della punta, scorsero una palandra[10] dalla quale Garibaldi riuscì a comprare una lancia per la sua sumaca, che, come già detto, ne era priva.

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Modello di sumaca

Sparsasi la notizia della fuga della sumaca da Maldonado, da Montevideo partì l’ordine di catturarla. La mattina del 15 giugno la sumaca avvistò due lancioni in avvicinamento: erano due lancioni della marina uruguaiana, i quali, avvicinatisi alla sumaca, improvvisamente inalberarono la bandiera uruguaiana e diedero inizio ad un furioso combattimento a fucilate. Un marinaio della sumaca, Giovanni Fiorentino, venne ucciso mentre Garbaldi ricevette un colpo quasi mortale al collo, con perdita di conoscenza.

Luigi Carniglia, il nostromo, assunse il comando e, insieme a Pasquale Lodola, Antonio Chiama, Maurizio Garibaldi, Giovanni Lamberti e ai due maltesi, rispose al fuoco, mentre il resto dell’equipaggio si riparò sottocoperta.

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V. Martin de Moussy – Carte des Provinces de Entre Rios, de  Santa Fe, et de la  Bande orientale – 1873 (particolare)

Dopo un ora di combattimento, i lancioni uruguaiani si allontanarono e Garibaldi, sebbene tramortito, riuscì ad indicare al Carniglia di fare rotta verso la città di Santa Fe sul Paraná. Giunti alla foce del dell’Ibicuí, Giovanni Lamberti, il veneziano e il portoghese decisero di abbandonare l’avventura e sbarcarono a terra.

La sumaca iniziò, quindi, a risalire lungo il Rio Paraná dove incontrò una goletta argentina che prestò soccorso ai feriti. Il proprietario consigliò a Garibaldi di sbarcare nel porto di Gualeguay nella provincia argentina di Entre Rios, dove il nostro giunse il 26 giugno. Nel frattempo, il governo argentino, informato dei movementi della sumaca, aveva dato ordine di sequestrare l’imbarcazione e di arrestare i membri dell’equipaggio. Tra il 10 e il 17 luglio, una commissione interrogò i membri dell’equipaggio. Tra questi anche Antonio Chiama, che rilasciò una dettagliata descrizione degli avvenimenti ai quali aveva partecipato.[11] Ai membri dell’equipaggio, lasciati liberi di muoversi in città con l’obbligo di presentarsi tutti i giorni alla polizia, venne concesso un sussidio di un peso al giorno da dividersi tra di loro. Ai primi di ottobre, i membri bianchi dell’equipaggio vennero lasciati liberi di partire e di loro non si ebbero più notizie. I cinque negri furono rimessi in schiavitù.

Garibaldi, trattenuto a Gualaguay, tentò di fuggire, ma fu ripreso,  torturato, e messo in prigione per due mesi. Finalmente, nel febbraio del 1838, il governo argentino, non avendo nulla da imputargli, lo lasciò libero di andarsene.

Si chiuse, così, la prima avventura militare di Garibaldi e del suo piccolo manipolo di coraggiosi marinai nell’America del Sud.

Di Antonio Chiama si sono perdute le tracce. Sappiamo, però, che diversi Chiama si installarono in Argentina nell’Ottocento e che tuttora i loro discendenti vivono tra le province di Corrientes e di Entre Rios: ma questa è una storia ancora tutta da raccontare.

  Roberto Moresco                                                                  15 aprile 2011

 Questo racconto è stato tratto dalle seguenti fonti:

– G. Garibaldi, Memorie, pubblicate da A. Dumas, Palermo 1860

– G. Garibaldi, Memorie Autobiografiche, Firenze 1888

– S. Candido, Giuseppe Garibaldi, Corsaro Riograndense (1837-1838), Roma 1964: è un’opera fondamentale per la storia della vita di Garibaldi in questo periodo, in quanto l’autore ha rinvenuto negli archivi sudamericani molti documenti originali.

– A. Scirocco, Giuseppe Garibaldi, Milano 2005

 Appendice

Dichiarazione di Antonio Illama (Chiama)

 «Nella città di Sant’Antonio di Gualeguay il quindici di luglio del milleottocentotrentasette comparve un altro individuo dell’equipaggio e richiesto del suo nome, Patria e professione: disse di chiamarsi Antonio Illama, nato a Capraia nello stato di Genova, professione marinaio. Essendo l’ultimo dei bianchi dell’equipaggio e richiesto del giuramento, promise di dire la verità su quanto gli fu domandato, come ha fatto negli interrogatori preliminari.

Interrogato – Dove era la sua residenza e di cosa si occupava prima di imbarcarsi sul Corsaro Mazzini, con il resto che sapeva di particolare; rispose: che così come quindici giorni dal suo arrivo a Rio de Janeiro, dove era approdato con un brigantino orientale carico di carne, chiamato Felis. Che successivamente pressato dal nostromo del Mazzini, che lo persuase a imbarcarsi sulla sua imbarcazione con destinazione Campos dove riservatamente gli lasciò intendere, che sarebbero partiti per il Rio Grande, per andare in corso contro l’Impero [del Brasile]. Che conformemente a tali prevenzioni, si sbarcò dal Brigantino Felis, perdendo i suoi … e il suo vestiario che il Capitano non gli volle consegnare, a causa del suo sbarco. Quindi si trasferì sul Mazzini, persuaso che sarebbero andati a Campos; ma quando erano già fuori del porto, il comandante Garibaldi, radunato l’equipaggio, lesse la Patente di Corso che aveva ricevuto dal Governo di Rio Grande e comunicò che il loro compito, da quel momento, era di effettuare la guerra di corsa; il dichiarante fu d’accordo con questa spiegazione.

Interrogato – quali eventi occorsero dopo quanto aveva raccontato; disse, che essendo alla fonda, alla vista di una Lancia vi salirono a bordo, essendo Brasiliana e carica di carne per Capo Frio; avevano tratto da essa un negro, una pompa d’acqua, 4 barili di vino, un orologio d’argento del Padrone della Lancia che fu prelevato dal comandante il quale diede in cambio l’equivalente in carne secca che aveva a bordo. Trattennero in loro potere detta lancia fino al mattino del giorno successivo e, poi, la lasciarono libera. Dopo questo navigarono con rotta verso ovest, e quando si trovarono all’altezza dell’Isola Grande catturarono la Sumaca Luisa. Che aveva un equipaggio di nove persone incluso un passeggero e quattro negri, gli stessi  furono imbarcati sulla Lancia con tutti i loro effetti, insieme al Capitano di Bandiera del Mazzini e lasciati andare ad una distanza di una lega e mezza da terra al nord di Santa Caterina; poi dopo aver autoaffondato il Corsaro portarono via gli attrezzi che aveva a bordo.

Interrogato – Che rotta presero successivamente e quale evento notabile accadde, rispose: che si diressero a Maldonado dove gettarono l’ancora innalzando la bandiera della Repubblica, e dopo un po’ ricevettero la visita di un Capitano di un Postale Orientale che stava all’ancora con il gagliadetto issato e che si ritirò senza sollevare alcun problema.

Che lo stesso giorno il comandante andò a dormire a bordo di una Fregata Francese, che stava anch’essa alla fonda, e il giorno dopo con una scialuppa della Fregata scesero a terra diversi membri dell’equipaggio. Che rimasero li per otto giorni durante i quali furono visitati da diverse persone del posto. Che il dichiarante non vide scaricare più che alcuni sacchi di caffè e una quantità di legna a terra ed a bordo di una piccola goletta che, dopo il loro arrivo, si era messa alla fonda in quel porto.

Le cose stavano così quando il comandante giunse a bordo e mostrò una lettera con cui, come l’interrogato potè capire, erano informati da terra che dovevano navigare verso le acque dell’Uruguay e per questo ripresero il largo andando a gettare l’ancora alla punta di Jesus Maria, dopo aver lasciato a terra un uomo che (come sentì dire) avrebbe dovuto occuparsi dell’impresa. Stando presso la punta di Jesus Maria avvistarono una palandra e si diressero verso di essa con l’intenzione di procurarsi dei viveri e di acquistare una nuova scialuppa di cui erano privi; e da essa comprarono la lancia che possiede la sumaca per venticinque patacon. Conclusa questa operazione ritornarono alla fonda e il giorno successivo  avvistarono due lancioni che si dirigevano verso di loro; per cui il comandante diede ordine di issare le vele e di avvicinarsi ai due lancioni, in quanto li ritenne amici. Giunti a portata di voce, da uno dei lancioni fu intimata la resa a nome del Governo uruguaiano. Il comandante, insospettitosi, comandò che si alassero i pennoni della sumaca che trovavasi in panna; si stavano dedicando a dette manovre, quando l’interrogato udì una scarica di fucileria cui fu risposto da parte dell’equipaggio della sumaca. Dopo un breve combattimento, i lancioni si allontanarono, dopo avere ammainato la bandiera uruguaiana che fu issata per pochi istanti nel momento di dare inizio alle scariche di fucileria. Che sfuggiti a questo pericolo presero la direzione dell’Uruguay con un morto e il comandante gravemente ferito; avendo il dichiarante sentito qualcuno dire di andare a Buenos Aires. Che senza … ne conoscere la rotta giunsero fino a Iviqüi dove tre dei suoi compagni scesero a terra di loro spontanea volontà, e di li guidati dalla Goletta Pintoresca arrivarono a questo porto.

Interrogato – se ha qualcosa d’altro da aggiungere a quanto esposto, dice che no, e quanto ha detto è la verità secondo il giuramento prestato, si ratificò letta che gli fu tutta la sua dichiarazione; precisando di avere ventisei anni; e non firmò perché disse di non saperlo fare, e lo fecero i Signori della Commissione».[12]

 [1] Nelle sue Memorie Autobiografiche, Firenze 1888, p. 16, Garibaldi dice che il Mazzini era una garopera, barca destinata alla pesca delle garope, pesce squisito del Brasile.

 [2] S. Candido, Giuseppe Garibaldi, Corsaro Riograndense (1837-1838), pp. 163-164.

[3] Ibidem, p. 79, S. Candido propone quest’elenco, basandosi anche sulla documentazione ufficiale da lui rinvenuta. Il cognome del capraiese è indicato come Illma, mentre nella patente si legge il nome Chiama, che fu spagnolizzato nel documento che riporta la sua testimonianza, resa a Gualaguay il 15 luglio 1837. Purtroppo, non solo nel lavoro di S. Candido ma anche in quello di A. Scirocco, Giuseppe Garibaldi, Milano 2005, viene mantenuto il cognome spagnolo: speriamo che nei futuri lavori a questo valoroso sia reso il cognome originario. Qualche nome di questa lista è diverso da quelli indicati nella Patente di Corsa: sicuramente tra la richiesta del documento e il suo arrivo qualcuno trovò altro ingaggio o ci ripensò e venne sostituito da altri.

[4] Archivio Diocesano di Livorno, Registro dei battesimi di Capraia, p. 74v.

[5] Brigantino Orientale: con questa qualifica si intende “uruguaiano”, in quanto il nome ufficiale dello stato era ed è ancor’oggi República Oriental del Uruguay

 [6] Archivio Diocesano di Livorno, Registro dei battesimi di Capraia: p. 70v., Giovanni di Giustiniano fu Giovanni Lamberti e di Maria Sabatini di Giuseppe; p. 72v, Giovanni di Domenico Andrea q. Giovanni Lamberti e di Maria Francesca Chiama di Antonio.

 [7] R. Moresco, La marineria capraiese nel XVIII secolo, Atti della Società Ligure di Storia Patria, 2003, p. 593.

[8] In G. Garibaldi, Memorie, pubblicate da A. Dumas, Palermo 1860, p. 62, l’autore dice: “Io diedi alla goletta il nome di Scarropilla, derivativo di Farrapos, gente sparsa, nome che l’impero del Brasile dà agli abitanti delle piccole repubbliche dell’America del Sud”. I documenti ufficiali uruguaiani e argentini, stilati dopo la cattura della sumaca, riportano il nome Mazzini, mentre quelli brasiliani il nome Luisa.

[9] Maldonado oggi Punta del Este.

 [10] Palandra: grossa imbarcazione a vela a fondo piatto usata nella navigazione costiera e fluviale.

 [11] Vedi Appendice.

[12] S. Candido, Giuseppe Garibaldi, Corsaro Riograndense (1837-1838), Roma 1964, pp. 221-223: il testo originale è in spagnolo e qui se ne da una traduzione letterale.

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