- Premessa
Agli albori del XVI secolo inizia un periodo di turbolenza per l’isola di Capraia: nel 1504, i suoi abitanti si ribellano a Giacomo De Mari che li assedia e, due anni dopo, essi si affrancano dalla signoria dei De Mari divenendo vassalli delle Compere di San Giorgio.
Nei primi anni del loro dominio le Compere lasciano molta autonomia ai Capraiesi.
Ma sulla popolazione capraiese incombe un nuovo pericolo: nel Tirreno sono arrivati i corsari turchi e barbareschi. Nel giugno del 1540 il corsaro barbaresco Dragut sbarca nell’isola e dopo un furioso bombardamento prende il paese e ne cattura gli abitanti che sono liberati dopo pochi giorni da Giannettino Doria quando nella baia di Girolata sorprende i vascelli di Dragut e lo cattura. I Capraiesi che si sono salvati rientrano nella loro isola e le Compere di San Giorgio inviano a Capraia il Capitano e Commissario Genesio da Quarto con un contingente di uomini per la costruzione di un forte e di una torre. È da questo avvenimento che inizia la storia moderna dell’isola.[1]
Non abbiamo alcuna notizia sull’origine della popolazione dell’isola fino a questa data. È probabile che a partire dal Quattrocento vi siano stati continui scambi di persone tra Capraia e il Capocorso anche se gli abitanti dell’isola devono aver preservato una loro peculiare forma di isolamento, nella quale legami familiari, usi, e costumi, hanno evoluzioni molto lente. Nel 1540 gli abitanti sono circa 230, e l’economia è basata sull’agricoltura e la pastorizia.
Dopo l’attacco di Dragut, prima le Compere e poi la Repubblica consolidano i legami con l’isola tramite la presenza di un Capitano e Commissario, con una sua piccola corte ed una guarnigione di soldati a presidio del Forte e delle torri..
La presenza di questi uomini nell’isola viene a rompere l’isolamento della popolazione e ne altera le caratteristiche: da subito diversi soldati sposano donne capraiesi, che in quel periodo sono maggioritarie nella popolazione locale poichè gran parte degli uomini sono periti nella difesa del paese assediato da Dragut. Sappiamo che nel 1556 tredici soldati si sono stabiliti nell’isola ed hanno sposato donne capraiesi.
In questo periodo le Compere arruolano i soldati da inviare in Corsica e a Capraia principalmente nei paesi della Lunigiana.[2]Da qui deriva probabilmente la tradizione tramandata da alcuni scrittori, che i capraiesi sono originari della Liguria di Levante.
Il 30 giugno del 1562, con il contratto tra le Compere e la Repubblica di Genova “l’Isola di Corsica, di Capraia, e tutti i luoghi di Terraferma” passano sotto il governo diretto della Repubblica di Genova.
Mentre le Compere prima, e poi la Repubblica possiedono l’imperium dell’isola e i Capraiesi si considerano loro sudditi e vassalli, la comunità ha una sua autonomia regolata da dei Capitoli o Statuti che sono riconosciuti dal principe. La comunità è retta da tre Padri del Comune che vengono eletti annualmente dall’assemblea dei capi dei fuochi. In rappresentanza dei soldati, che si erano stabiliti nell’isola dopo aver sposato donne capraiesi, uno dei Padri del Comune viene eletto tra di loro.
2. La lettera del 26 febbraio 1566
Ai primi di dicembre del 1565 arriva a Capraia Jacobo Vassore, nuovo capitano e commissario dell’isola, e subito nella comunità capraiese scoppia il malcontento in quanto vessata dalle angherie che subisce da Francesco Gurlero luogotenente del Vassore. Il 22 febbraio 1566 i Padri del Comune scrivono di nascosto a Genova per lamentarsi delle angherie del Gurlero, citando tre episodi di cui dichiarano essere stati vittime.La lettera è stata scritta da uno di loro e non dal cancelliere della corte o dal pievano, come è uso corrente per le lettere scritte dalla Comunità.[3]
“Jll. e cellentisimi s.rj nuj non potimu manchare che non ve damu avisu de lu covernu e procedere che fanu lj mandati dele Jll. e cellentisime S.rie vostre sobra alj vostri fedeljsimi e poveri suziti al locutenente[4] a prosumito demandare e pijare pallandu con reverencja e onore dele Jll. e cellentissime S.rje de li chapreti ala montaghja de questi vostri poveri suziti senza ordine dal S.re cumesariu e chapetaniu[5] e cusi senza ordine de lj patroni de lj bestiamj: uno suo servitore onde e statu tutu un zornu dove conversavanu diti bestiami e li pasturi lu domandava che fai tu custi lui lj respose che vaj cerchandu certe cose che mea come su meu patrone lj pasturi non poteva manchare de andare deretu alu suo bastiame da poi questi abenu pasatu un pocu de montaghiola overu coljna come ponu comprendre le Jll. S.rie vostre. in questu lu ditu servitore e andatu alu stazu dove stavanu lj chapreti serati e ane pijatu unu delj meliori ghe ci fose perche cusi avja ordine del suo patrone a nuj cj pare che sia come unu la…cju benche er servitore e statu banditu dal S.re capetaniu: et piu vi dicimu che e locutenente si a pijatu di parole con unu omu anticu de la tera e li a dito tute quele velanie che po dire un omu con dilli canaja quanti seti et dicenduli che voleva che lo conosese per patrone metendulj la manu al petu: et lu poveru veghiu li resspuse che non chonose altri patronie che la Jll. S.ria el S.re cumesariu et capetaniu mandatu de le Jll: S.re vostre. El S.re cumesariu seteva gridare e sendu sua S.ra alu restelu de la porta subetu vene jn piazia et je le narmanu: sapia le Jll. e celentisime S.re vostre che ne pareremu atediusi un pocu ma per questu non posimu manchare de dire quelu che presegue ala zornata e sendu una povera orfana in chasa con lu suo barba quale ditu suo barba aconzava el manicu ne la zapa de la povera orfana li scapo la pecoza di manu et dete sobra el sularo disotu al sularo era el S.re locutente subitu se levo jn corera et a dire velanje a quela povera orfana che non se averia detu a una dona di partitu: el barba de la citela respunde al locutenente non diti velania ala zitela per che sono statu iu el locutenente respunde: tu sei veghiu buceron traditore et piu velanie asai et queste cose se la ditu a un uomu anticu da la terra et a nuj ci pare multe stranie queste cose perche le Jll. e celentisime S.re vostre sano come sempre servimu pasati et acusi serimu ala zornata e le Jll. S.rje vostre dormanu con bonisimu animu versu di nuj perche sempre serimu fedelisimi suciti et questu ni dimu a le Jll, S.rje vostre perche simu stati el S.re cumesariu e a lamentarsi et sua S.ria li a datu uno rebufu et non altru. preghamu sempre le Jll. e celentisime S.rie vostre i dia nuque lu remediu che a quelu parera che fu a quele remetimu che el nostru S.re jdiu ne prospera Schrita da Capraja a die 26 frebaru 1566.
Li vostri fideli suziti et patri de cumune”
Da Genova, probabilmente ai primi di aprile, giunge una risposta che viene letta pubblicamente e sembra soddisfare solo in parte i Capraiesi. Il 19 aprile i Padri del Comune inviano una nuova lettera a Genova, questa volta non in modo segreto:
“Habbiamo ricevuto la gratissima di V.S.Illustrissime quale ci è stata di grandissima consolatione per rispetto del bon conto che le hanno sempre tenuto , e tengono di questi suoi poveri vassalli, del quali non eravamo in dubio, quale si è letta in publico et è stato come si suol dire giunger sproni a bon corridore… Ben è vero V.S. Illustrissime di quello e francesco gurlero luogotenente del Magnifico Capitano Giacomo Vassore nostro Commissario, perchè non contento delli mali trattamenti che ci ha fatto per quali siam stati forzati ricorrere da quelli, di nuovo alla gionata persevera in quelli di bene in meglio con minacciarne publicamente tutt’il giorno di volerci a Genova come che la fusse un bosco, e non quella città tanto ben governata e piena di Giustizia che da per tutto si sa. E mirinino V.S. Illustrissime se la malignita sua è grande, che questi giorni si era andato a sotterare una povera donna, è come quelli deveno sapere lontano il cimitero dalla terra un grosso miglio, et egli in piazza publica hebbe ardire di dire, bon turchi siano che me ne paghino siamo ben certi che queste cose dispiaceno a V.S. Illustrissime e che gli darano rimedio, similmente li giorni passati dui gioveni della terra facevano parolle insieme , et uno caporali si gli interpose per pacificarli, et il detto luogotenente il prese per il petto, e disse va in guardia e lassa che si amassino questa canaglia. il nostro reverendo prete uno di questi giorni andava chiedendo elimosina in compagnia di un’huomo antico della terra per certi poverelli e siando andati a casa del detto gurlero a domandargli la elimosina egli disse se credesse che Dio fusse capraiese, mi renegaria cento volte al giorno, et in vero padroni Illustrissimi questa sua è una grandissima malignità e più grande ci pare per conoscere ch’egli non ha occasione alcuna di odiarci tanto, et il peggio di tutti è che va seminando discordie e risse fra noi altri, il che è contra la voluntà di Dio e di V.S. Illustrissime e se fusse bon cittadino di cotesta città como deveria essere, cercaria di quietare e pacificare e non accendere come fà …”
Con questa lettera parte per Genova anche una lettera del Commissario:
“… ho visto la lettera per V.S.Illustrissime mandata a questi padri di comune e, quello che V.S.Illustrissime mi scriveno che faci reprensione al logotenente, quando segui la cosa del capreto all’hora ge la feci e bandi il suo servitore qualle era stato a rubarlo, lui dice averlo pagato soldi dodece a detto suo servitore per essere stato portato in casa sua in uno sacho secreto e, essendo detto locotenente non sollo in mia compagnia quando il pastore si doleva del suo capreto e, non havendomelo rivelato se non quando fu scoperto per questo ge lo fatto pagar soldi vinti; delle altre cose mi par vergogna a farle estender a V.S. Illustrissime se non che li dico che ogni giorno e, a parole con tutta la comunità e, con quanta reprensione li o fatto non a voluto marcare? e si ha havuto tanto asdegno della lettera amndata da V.S. Illustrissime per li padri di comune che in mia presentia di nuovo li a menasati. a me saria bastato l’animo a remediarli percio no o voluto fare niente che prima non ne habbi dato aviso a V.S. Illustrissime. …”
Il 22 giugno il Commissario comunica a Genova di aver licenziato il suo luogotenente Gurlero, obbedendo agli ordini ricevuti. Ma i Capraiesi temono la vendetta del Gurlero quando per i loro traffici debbano recarsi a Genova, e il 20 giugno scrivono:
Pensavamo alla partenza di Francesco Gurlero luogotenente del nostro Magnifico Comissario di stare in pace. Ma a noi pare che siamo piu in ruina che mai havendo il sudetto luogotenente detto che va in Genova dove quelli chi fanno fiustitia sono pari suoi e che in esso luoco ne vuole con mal’animo. Noi siamo poveri marinai e ci bisogna per sustentare le nostre povere famiglie andare in qua e in la con grandissimo pericolo di Mare e de infideli, et hora ci bisogna haver suspetto di lui. Preghemo le S.V Illustrissime voglino essere contenti farne dare bona sigurtà accio possiamo fare li nostri viaggi soliti in Genova senza alcun suspetto di lui. E tutto quello havemo scritto a quelli è l’istessa verità come si farà fede per tutta questa comunità ogni volta che V.S. Illustrissime vorranno saperlo. Il detto luogotenete novamenti ha detto a Mastro Batta Tabacco uno de nostri padri de comune perchè havemo scritto a quelli senza sua saputa che lo vuole amazzare, o far amazzare ad ogni modo di che ci è parso male tuttavolta siamo figlioli e vasalli d’un principe tento giusto …”.
3. Un commento
Non sappiamo chi abbia scritto la lettera del 26 febbraio 1566: i Capraiesi di quei tempi erano del tutto analfabeti. L’unico che può averla scritto è probabilmente Batista Tabachu o Tabacco, che non è un capraiese. Questa ipotesi è suffragata dalla sua firma in una sua lettera posteriore, redatta, però, dal cancelliere del presidio.
Il Tabachu è probabilmente originario della Riviera di Levante o della Lunigiana, territori nei quali venivano arruolati gran parte dei soldati delle Compere.
Non mi addentro in una analisi della lettera non ne avendo la capacità, ma lascio agli specialisti il compito di analizzarla e trovare la giusta risposta su questo documento che è un unicum tra le migliaia di quelli inviati a Genova da Capraia:
è questa veramente la prima testimonianza del dialetto che si usava a Capraia attorno alla metà del Cinquecento?
Se qualcuno è interessato a dare una risposta, può scrivermi e io gli metterò a disposizione i documenti che ho raccolto nell’Archivio di Stato di Genova.
Roberto Moresco, 15 maggio 2019
[1]R. Moresco, L’isola di Caprai dal dominio dei De Mari a quello del Banco di San Giorgio, in Un’isola “superba”, Genova e Capraia alla riscoperta di una Storia comune, Genova 2012 ora anche in: http://www.storiaisoladicapraia.com.
[2]R. Moresco, Gioan Maria Olgiati «ingegnero» in Corsica e a Capraia tra il 1539 e il 1554, in Atti della Società Ligure di Storia Patria, N.S. LIII, fasc. II, 2013, p. 97.
[3]Uno dei Padri del Comune è Gio Tabacco, probabilmente eletto come rappresentante dei soldati che si sono stabiliti in Capraia, in quanto il suo cognome non risulta tra quelli degli abitanti dell’isola nel 1556. Degli altri due non è noto il nome.
Gentile ingegner Moresco, mi fa piacere che abbia pubblicato la lettera. Le scriverò una mail
Annalisa Nesi