
Ginepro sabina marittimo o Ginepro fenicio
Nel mese di luglio del 1697 tre gozzi, dei padroni capraiesi Michele Sissone, Gio Batta Costa e Leonardo Gottuzzo, partirono da Capraia per Marciana nell’isola d’Elba per approvvigionarsi di savine (ginepro sabina marittimo o savina all’isola d’Elba) al fine di preparare il carico di tre gondole, probabilmente destinate a Genova.[1] Dopo pochi giorni il Costa fece ritorno a Capraia in fuga da Campo nell’Elba dove era stato sequestrato e privato dell’ancora e dei remi, dal locale vicegovernatore Simone Lupi con l’accusa di aver rubato nell’isola di Pianosa quaranta savine, già tagliate, di proprietà del Computista di Piombino.[2] Anche gli altri due gozzi vennero sequestrati a seguito della fuga del Costa, anche se dopo qualche giorno il gozzo del padron Sissone venne lasciato partire per Capraia, dopo aver lasciato in cauzione l’ancora e i remi, per portare al Commissario una lettera, datata 26 luglio 1697, del vicegovernatore di Campo. Nella sua lettera il Lupi riassunse la storia del furto e il comportamento del Costa che oltre al furto delle savine aveva pure rubato dei remi ad una imbarcazione locale. Il Lupi chiese inoltre che gli venissero rimborsate tutte le spese sostenute dalla sua corte per il mantenimento dei sequestrati pari alla somma di quattro pezze da otto reali. Il terzo gozzo, quello di Leonardo Gottuzo rimase sequestrato e privato dell’ancora e dei remi. Il commissario di Capraia ricevuta la lettera del Lupi decise di incarcerare Gio Batta Costa, anche se questi affermava di non aver rubato le savine, e decise di inviare a Campo il Padrone Pietro Antonio Sabadino per rimborsare le spese subite dal vicegovernatore e per ottenere il dissequestro del gozzo del Costa, al quale a Capraia sarebbero state addebitate tutte le spese sostenute. Prima della partenza del Sabatino era partito da Capraia, su richiesta del Costa, Antonio Morgana per vedere di risolvere il caso e poter ricuperare le savine. Il Morgana, giunto a Marciana fu catturato insieme al capraiese Antonio Barbasso che ivi si trovava per i suoi affari, ed entrambi furono condotti nelle carceri di Piombino.
Il console genovese a Portoferraio, Paolo Brignole, venuto a conoscenza della cattura del Morgana e del Barbasso si rivolse al governatore generale di Piombino per chiedere le motivazioni dell’arresto dei due capraiesi. Il 9 agosto il governatore rispose al console che nel suo stato si distribuisce la Giustizia con rettitudine e che per i sudditi della Repubblica s’usa ogni attentione, ma che i Capraiesi sono trattenuti con giusto motivo.
Il governatore generale mentre rispose al console, diede ordine che tutte le imbarcazioni genovesi che dovessero arrivare nei porti della sua giurisdizione venissero sequestrate.
Nel frattempo si sparse la voce che uno dei motivi dell’arresto del Morgana e del Barbasso fosse legato al fatto che il padrone capraiese Pier Antonio q. Agostino mentre ritornava dall’isola di Montecristo con un carico di aragoste si fosse fermato a Pianosa e con i suoi marinai avesse preso l’armamento della torre e degli oggetti dalla chiesa, che però insieme alla torre era stata svaligiata da tre caravelle turche il 6 aprile dello stesso anno..
A questo punto, a Genova, il Magistrato di Corsica, che aveva ricevuto relazioni sia dal commissario di Capraia che dal console di Portoferraio, decide, il 21 agosto, di affidare la pratica al Deputato al Criminale perché ne riferisca al più presto.
La relazione del Deputato, approvata il 26 agosto dal Magistrato di Corsica, ammette la colpevolezza del Costa per il furto del savine che però era stato risolto dall’intervento del commissario di Capraia che si era impegnato a risarcire il vicegovernatore di Campo, con il risultato che i gozzi del Costa e del Gottuzzo erano stati rilasciati. Per la cattura e prigionia del Morgana e del Barbasso non vi erano plausibili giustificazioni e che il supposto furto dei marinai di Pier Antonio a Pianosa era stato in realtà un atto di pietà in luogo della barbaria perché avevano raccolto un Crocifisso in abbandono.
Mentre a Genova si preparava la relazione, il 23 agosto, il Morgana e il Barbasso arrivarono a Capraia dopo essere stati rilasciati perché Giacomo Cortini di Campo aver versato una cauzione in loro favore di 200 scudi d’oro. Entrambi confermarono di non sapere la ragione della loro cattura e di non aver potuto prendere visione delle carte delle accuse a loro carico.
Il 30 agosto il Magistrato di Corsica ricevuta la notizia della liberazione dei due capraiesi, chiede alla Giunta di Marina di emettere un avviso affinchè le imbarcazioni genovesi si astenghino di navigare le parti ove è il pericolo di essere trattenuti.
Note:
- Il ginepro sabina marittimo o ginepro fenicio (Juniperus phoenicea) cresce nei litorali delle isole d’Elba, Pianosa e Montecristo. è una specie arbustiva sempreverde (cioè che mantiene le foglie durante tutto l’anno) della famiglia delle Cupressaceae. L’arbusto è generalmente ramificato dalla base, con foglie squamiformi. I semi sono raggruppati in galbuli carnosi e globosi di colore rosso scuro, fino al nero bluastro, dal diametro di 4-8 mm. Il ginepro fenicio è una specie longeva ad accrescimento molto lento e predilige ambienti soleggiati, resistendo a climi aridi. Cresce generalmente su suoli rocciosi calcarei e raramente sulla sabbia. Si riproduce solamente per seme. Queste piante non presentano dimensioni eccezionali (fino a 80-90 centimetri di diametro e 10-12 m di altezza), ma possono essere molto annosi e con legno durissimo. Il legno è duro, compatto, tenace, incorruttibile ed era molto apprezzato in ebanisteria per fare botticelle, bastoni da passeggio, manici per utensili da campagna come aratri e per l’aia come forconi, pale, setacci, balconate, sostegni per i pergolati, solai e correnti di tetti. Il legno veniva anche ampiamente utilizzato per la costruzione di telai, piattaforme lignee per barche, altari, sedie, cassapanche, lavori di intarsio, utensili per la casa.
Bacche di ginepro sabina marittimo
I rametti giovani e i galbuli, trovano largo impiego in diverse pratiche tradizionali (liquoreria come aromatizzante delle acquaviti, medicina come diaforetico, antielmintico e antiodontalgico, inoltre la resina al posto dell’incenso nelle funzioni religiose ed ancora per aromatizzare arrosti, per la produzione di saponi etc.) da soli o con altre essenze. I ramuli giovani in infusione erano utilizzati, fin dai tempi più remoti per pratiche abortive, nonostante i gravissimi inconvenienti. Il ginepro fenicio si ritrova ancor oggi lungo le coste di alcune isole dell’Arcipelago Toscano, Elba, Pianosa, e Montecristo.
Ginepreti costieri
2.Lo Stato di Piombino, o meglio il Principato di Piombino, apparteneva in quegli anni alla famiglia Ludovisi e comprendeva anche l’isola dell’Elba, con l’esclusione di Portoferraio e Portolongone, e le isole di Pianosa e Montecristo. Lo stato era affidato ad un governatore, che risiedeva a Piombino, in quanto i Ludovisi normalmente vivevano a Roma. L’isola di Pianosa, al tempo dei fatti qui descritti era disabitata.
[1] Vedi nota 1.
[2] Computista era il contabile alla corte del governatore di Piombino in quei tempi proprietà dei Ludovisi.
Storia interessante, Mi interessa
se è possibile la descrizione dettagliata delle gondole del epoca
SU questo sito può trovare due articoli sull’argomento. Cerchi con le parole gondola e gondole, uno è in francese.
Grazie dell’interesse e buona lettura