I Corsi occupano Capraia (1767- 1768)

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Fig. 1- F.M. Accinelli, Fortezza di Capraia – 1774

Nella storia dell’isola di Capraia la presa dell’isola da parte dei corsi di Pasquale Paoli è l’episodio che ha avuto più risonanza a livello internazionale in quanto ha rappresentato il guanto di sfida di una piccola nazione, la Corsica, contro un potente “oppressore”, la Repubblica di Genova. Questo episodio ha avuto anche una notevole influenza sulla storia degli abitanti dell’isola in quanto rappresenta la rottura di un ciclo di relativo benessere e l’inizio di un cambiamento delle condizioni economiche che porteranno nel giro di quasi un secolo al lento abbandono dell’isola.

L’origine di questo episodio si può far risalire al 1729 quando inizia la rivolta dei corsi contro Genova, rivolta che con alterne vicende si protrae per circa quarant’anni.

L’economia dell’isola di Capraia, nel 1729, è basata essenzialmente sulla pesca del pesce azzurro e della sua conservazione. Con l’inizio della rivolta, ai Capraiesi, che ormai possiedono una notevole flotta di imbarcazioni, si offre l’opportunità dapprima di impiegarle nel trasporto di merci tra Capraia, la Corsica, Genova e le sue Riviere, e la costa della Toscana, principalmente il porto di Livorno, e poi dedicarsi al commercio, approvvigionando in modo particolare Bastia con prodotti del continente.

Nel 1764 Genova ha ormai perso il controllo di buona parte dell’isola di Corsica: l’interno dell’isola è saldamente nelle mani del governo di Pasquale Paoli, mentre Genova controlla solamente le principali città della costa, Bastia, S. Fiorenzo, Calvi, Aiaccio, Bonifacio.

Nel corso dell’anno S. Fiorenzo viene bombardata dai ribelli e si teme che anche Bastia possa cadere nelle loro mani.

A Capraia, nell’aprile, ripetutamente, giungono voci che i ribelli corsi vogliono tentare di effettuare uno sbarco a Capraia. Allarmati da queste voci il commissario Leandro Lomellino e i Padri del Comune chiedono a Genova di aumentare le provviste e le vettovaglie che sono scarse e di aumentare la dotazione di armamenti dell’isola. Le richieste vengono soddisfatte solo parzialmente.

Genova, stremata finanziariamente dai costi sostenuti per sottomettere i ribelli corsi, chiede insistentemente l’aiuto della Francia. Si arriva così, il 6 agosto 1764, alla firma del secondo trattato di Compiègne con il quale le truppe francesi ritornano in Corsica per presidiare le città costiere di Bastia, Aiaccio Calvi, Algajola e S. Fiorenzo, nelle quali però Genova continua ad esercitare la sua sovranità. La durata del trattato viene stabilita in quattro anni durante i quali Genova deve cercare di raggiungere un accordo di pacificazione con i ribelli anche con i buoni uffici del comandante militare francese.

Nel novembre il nuovo commissario di Capraia Francesco Doria, e il munizioniere Domenico Scotto, tornano a chiedere viveri, munizioni e soldati, facendo presente che diversi scali come la Mortola, Porto Vecchio, Ceppo, Saline e Moreto si prestano ad un facile sbarco dei ribelli. È quindi necessario fortificare la costa e soprattutto le due cappelle di S. Rocco e San Leonardo. Nel dicembre, il commissario, in risposta alla richiesta di chiarimenti da parte di Genova, assicura che si vigila attentamente per impedire il temuto sbarco e che ha dato ordini per staccare parte della truppa e locali a quei scali, ne quali potessero tentare il sbarco.

Il 15 gennaio 1765 le truppe francesi sbarcano a Bastia al comando del generale Charles Louis de Marbeuf. Solo Bonifacio e Capraia rimangono sotto il diretto controllo di Genova.

Nel febbraio, probabilmente per la prima volta, i padroni capraiesi si ribellano agli ordini di un rappresentante della Repubblica: il commissario di Capraia, per ottemperare alla richiesta del vicegerente di Bastia di inviargli dieci gondole per rifornire di truppe e viveri  la guarnigione di Macinaggio, chiede ai dieci padroni di gondole che in quel momento si trovano in porto di partire per Bastia. Questi si rifiutano e il commissario è costretto a incarcerarne tre di loro: poi, convinti i padroni, sono i loro marinai che si rifiutano di imbarcarsi.

È evidente che ormai parte della popolazione di Capraia si è resa conto che la Repubblica non ha più la capacità e il volere di mantenere il proprio dominio sopra il suo Regno di Corsica e isola di Capraia.

Il primo maggio Agostino Speroni, commissario genovese vicegerente a Bastia e, il 6 maggio, il console genovese a Livorno, informano Genova delle voci raccolte su un piano dei ribelli corsi di impadronirsi di Capraia.[1]

Il 10 maggio 1765 il vicegerente Speroni così scrive ai Serenissimi Collegi:

Fino del scorso aprile scrissi all’Ill.mo Commissario di Caprara, che dovesse far prestare la più esatt’attenzione in quell’isola, affine di prevenire ogni attentato,  che per avventura puotesse fare il De  Paoli, e sebbene allora credei che l’idea di sorprendere la Caprara fosse un discorso promosso dalle azioni, ritrovo in oggi da relazione di persona di tutto il merito, che il detto de Paoli se ne va procacciando il maneggio; sicché replico al detto Ill.mo Commissario, che dia le più esatte provvidenze, onde dalla pubblicità di queste venga delusa ogni di lui speranza. Stimarei intanto necessarie qualche provviste più dell’ordinario, e anche rinforzare la Guarnigione diretta da qualche ufficiale dello Stato Maggiore, avvedendosi che al Macinaggio assai prossimo alla Caprara non mancano Pinchi capicorsini per un simile attentato.[2]

Il 13 giugno Pasquale Paoli e Marbeuf si incontrano a Vescovado, per discutere di una eventuale pacificazione tra Genova e i ribelli corsi. L’incontro non porta ad alcuno sblocco della situazione. Il generale Paoli rimane nella sua posizione di quanto stabilito dalla Consulta di Casinca nel 1761: in alcun tempo non saremo per dare orecchio a veruna proposizione di accomodamento cò Genovesi, se questi per preliminari non riconoscono la nostra libertà, l’indipendenza del nostro governo, e non cedono al medesimo le poche piazze che ancora tengono nel Regno.[3]

Genova non vuol perdere la sua sovranità sull’isola, anche se nominale, per il timore che altri stati italiani, Piemonte e Sardegna, possano occupare l’isola, mentre la Francia teme che i Corsi si possano alleare con gli Inglesi. Una cessione pura e semplice della Corsica a Pasquale Paoli sarebbe uno smacco troppo grande per l’orgogliosa Repubblica di Genova.

Il 31 gennaio del 1766, il nuovo commissario di Capraia Bernardo Ottone, che spera lontano il timore delle giattanze de ribelli corsi accompagnate in oggi da quelli di Bastia ed Ajaccio, fa presente a Genova che durante l’ispezione alle torri dell’isola si è reso conto che esse sono presidiate da vecchi artiglieri per cui chiede che gli vengano inviati non solo artiglieri più giovani, ma anche degli ufficiali per la guarnigione del Forte.[4]

Ai primi giugno giunge a Capraia il commissario surrogato Domenico Centurione inviato Capraia a sostituire temporaneamente il commissario Bernardo Ottone richiamato a Genova. Intanto il corsaro corso Conte Peri, che ha con sé il tenente Sanguineti detto il Chiodo e un altro corsaro detto il Moro, cattura quattro gondole capraiesi e tre bastimenti di Camogli. Questi corsari fanno parte della marineria corsara organizzata da Pasquale Paoli per danneggiare i traffici di Genova nell’alto Tirreno. La Repubblica viene sfidata non solo a terra ma anche in mare.

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Fig. 2 – D. Centurione, parte della Fortezza nel 1766

Nel giugno il commissario Centurione, insieme al Capitano Astengo comandante della truppa, compie un’ispezione del Forte e prepara una relazione davvero preoccupante non solo per lo stato della Polveriera e della Munizione, ma anche per le condizioni igieniche in cui vivono i soldati. Inoltre visitando la casa del capitano dei volontari capraiesi trova che questi ha in dotazione 34 fucili pieni di ruggine e guasti, che fa subito riparare anche perché nel paese non vi sono altri fucili. Alla relazione il commissario allega un bel disegno dello stato della Munizione con parte delle mura del Forte.[5]

Nel luglio il commissario Centurione riesce a far ottenere da Genova la patente di caposquadra dei capraiesi volontari a Gio Batta Bargone.[6]

Il 12 settembre il commissario di Capraia riceve dal vicegerente di Bastia una lettera che lo avverte che nel Capocorso si stanno preparando bastimenti e gente per fare un distaccamento forse per sorprendere l’Isola di Capraia. Il commissario convoca i Padri del Comune ai quali comunica la notizia. I Padri del Comune, Gio Bargone, Filippo Bargone, Francesco Solaro preparano due suppliche con le quali fanno presente che per essere or mai privi affatto di potersi guadagnare il loro sostentamento nell’Isola di Corsica, come anche di Terraferma per dover in quest’oggi fermarsi nell’Isola per ostar alla venuta de Corsari ribelli. Chiedono pertanto che agli abitanti vengano fornite armi e munizioni, di arruolare almeno cinquanta locali per sorvegliare gli scali e due guarda coste bene armati che girino intorno all’isola, e di fornire del pane alla popolazione.[7]

Il 22 settembre si avvicinano alla torre dello Zenobito tre bastimenti latini con equipaggio vestito come i corsari corsi, ma che poi si allontanano, e secondo quanto riferito al commissario da un capocorsino che è venuto a vendere vino in Capraia, si ritiene che siano venuti a vedere se i Capraiesi erano vigilanti.

Il 12 ottobre il commissario comunica a Genova di aver deciso di espellere dall’isola tre frati corsi del convento di San Francesco dopo averne parlato con il padre guardiano: sono fra Isaia da Pigna, fratello del comandante di Corte, fra Antonio Maria Durante di Bastia, e il chierico Francesco di Biguglia. Il primo è sospettato di aver avuto segrete corrispondenze con i ribelli corsi di Livorno e di essere presente nell’isola in modo irregolare per essere stato cacciato da Genova, il secondo perché fa frequenti viaggi a Bastia dove incontra corsi per introdurli in Capraia, e il terzo, che a suo tempo aveva ricevuto uno schiaffo dal commissario Ottone, perché si è dimostrato avverso al governo genovese.[8]

Nell’ottobre del 1766 i Pasquale Paoli e il generale Marbeuf hanno un altro colloquio durante il quale Paoli espone un suo progetto per tentare di occupare Capraia sapendo il buon genio di quelli abitanti, già di antica pertinenza alla Corsica.[9]

Il 21 ottobre rientra a Capraia il commissario Bernardo Ottone e il 3 dicembre scrive a Genova di aver ricevuto della farina ma di essere stato costretto a comprare del grano per la truppa.[10]Dopo il suo arrivo il commissario Ottone consegna al caposquadra dei capraiesi cinquanta fucili affinché essi si portino a far le guardie negli scali dell’isola.[11]

Nello stesso mese sbarca a Capraia, a causa del maltempo, Paolo Mattei, un corso di Centuri (Capocorso), di ritorno dalla Francia dove si è recato per i suoi affari. A Capraia ha modo di parlare col commissario e di raccogliere notizie sullo stato delle fortificazioni dell’isola, della situazione dei viveri e delle munizioni. Appena ritorna in Corsica ne riferisce al generale Paoli al quale propone un piano di conquista dell’isola. Il Paoli accetta il piano e ne affida la realizzazione ad Achille Murati, comandante di Erbalonga e a Giambattista Ristori comandante di Furiani. La base delle operazioni viene posta a Macinaggio, piccolo porto del Capocorso, la località più vicina a Capraia. Giuseppe Barbaggi, nipote di Pasquale Paoli, si insedia a Macinaggio per tutta la durata dell’impresa e di lì dirige le operazioni di supporto quali i trasporti di truppe e rifornimenti.[12]

Il 13 gennaio 1797 il commissario Ottone rinnova la richiesta a Genova di farine per fare biscotto per la truppa e perché il paese è sprovvisto del tutto di pane e di grano, anche perché i corsari corsi hanno predato un’imbarcazione di un capraiese che trasportava grano da Bastia. Chiede anche che gli vengano inviati due cannonieri genovesi perché quelli esistenti non sono sufficienti per munire la torre dello Zenobito e un posto tra il Forte e la torre del Porto.[13]

Il 29 gennaio arrivano da Genova 100 cantari di farina che in parte vengono restituite ai locandieri dell’isola che gli hanno imprestato mille gallette e tre stara di grano.[14]

Intanto in Corsica si prepara la spedizione e tutto viene fatto in modo che la notizia non trapeli. Un piccolo corpo di soldati viene inviato in Casinca e in altri posti con il pretesto di impedire il contrabbando di grano e castagne, mentre si prepara del biscotto per rifornire un felucone. Ai primi di febbraio queste truppe si riuniscono a Macinaggio, suscitando però i sospetti dei genovesi. Queste notizie arrivano al vicegerente Speroni ed egli il 9 febbraio scrive una lettera allarmata al commissario di Capraria. Nella lettera afferma che secondo i suoi informatori

in Capo Corso si vadano preparando col filucone alcune gondole senza esprimermi per dove siano destinati detti bastimenti. Io combinando le attuali colle passate notizie dubbito con fondamento, che non vogliano fare qualche tentativo in codesta isola, però ne prevengo V.S. acciò dia quelle providenze che stimerà più a proposito per un’esatta vigilanza a diffesa di codesto paese.

La lettera non può partire lo stesso giorno a causa di un libeccio che soffia strepitosamente e quindi il giorno successivo aggiunge una postilla nella quale informa il commissario che le notizie gli sono state confermate e di aver fatto partire la gondola del padrone capraiese Gio Bargone q. Giuseppe con 500 lire contanti e dieci sacchi di farina. Poi aggiunge

La sperimentata prudente capacità di V.S. nell’interessi particolarmente che riguardano il pubblico serviggio della nostra Serenissima Repubblica mi risparmia di farle dettaglio di come potrebbonsi munire tutte codeste Torri e Paese, e solamente l’averto che l’idea de Corsi si è col beneficio delle scale di impadronirsi delle Torri del Zenopito, e delle Barbici, per indi passare di notte tempo alla scalata della Fortezza. E se bene io mi rida di questa bella idea, non ostante sarebbe ben fatto che dette due Torri con fidi soldati e zelanti capraiesi si provedessero, siccome di buone provviste, e non lasciate come si faceva per lo passato dirrette da ragazzi affamati.[15]

Il 12 febbraio il vicegerente scrive un’altra lettera al commissario confermando le precedenti notizie aggiungendo però che il tutto è dovuto alle trame di un prete e di un capraiese, di cui non conosce il nome, che si trovano a Capraia e godono della fiducia del commissario. Afferma altresì che se i corsi falliscono nell’occupare le torri e la fortezza sono intenzionati a lasciare nell’isola trecento uomini con provviste da bocca e da guerra per almeno due mesi. Raccomanda di provvedere con buone guardie gli scali dell’isola che non sono protetti dalle torri. Il commissario lo stesso giorno trasmette la lettera a Genova affermando che a lui non risulta siano presenti nell’isola il prete e il capraiese menzionati dal vicegerente.[16]

Il 16 febbraio arrivano a Genova le citate lettere del vicegerente di Bastia e del commissario di Capraia. Subito i Serenissimi Collegi danno disposizione che vengano inviati a Capraia biscotto a sufficienza, materiali per le cariche dei cannoni (carta reale, tela e stracci), e un rinforzo di quattro cannonieri.[17]

Intanto a Macinaggio fervono i preparativi per la spedizione e secondo i Ragguagli dell’Isola di Corsica:

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Fig. 3 – Achille Murati

Si risolsero nientedimeno i nostri due comandanti [Achille Murati e Gianbattista Ristori] di tentare l’impresa, e la sera dei 16 si imbarcarono sopra quattordici gondole con un corpo di soli 200 uomini creduti bastanti per questa prima spedizione in compagnia del mentovato signor Mattei e di molti altri capi e valorosi giovani delle principali famiglie di questa provincia del Capocorso e del Nebbio, che vollero imbarcarsi in qualità di volontari, con due piccoli pezzi di artiglieria, e con sufficienti proviste da guerra e da bocca, avendo per guida alcuni capraiesi ritrovatosi a sorte in questi nostri scali. Verso le quattro della notte approdò il nostro piccolo convoglio alla costiera di Capraja, ed il distaccamento pose piede a terra in un piccolo scalo detto il Ceppo, che fu trovato senza alcuna guardia.[18]

 Secondo un rollo delle spese di febbraio della guarnigione corsa di Capraia risulta che il 17 febbraio sbarcano in Capraia circa 290 uomini, tra soldati e ufficiali, mentre altri 70 uomini circa arrivano tra il 22 e il 23 del mese. Tra gli ufficiali è presente anche Paolo Mattei.[19]

Ragguagli

Fig. 4 – Testata dei Ragguagli dell’isola di Corsica

Ecco come i capraiesi si sono arresi: la sera del 16 febbraio verso le 23 una donna riferisce a Giustiniano Solaro di Francesco che le guardie che erano alle Cote hanno avvistato il convoglio dei corsi. Questi subito invita il caposquadra Bargone a distribuire i cinquanta fucili con cartucce che gli erano stati affidati dal commissario. Si formano diverse squadre che si recano a sorvegliare le principali cale dell’isola. Tre uomini che si sono recati verso Santo Stefano, vi arrivano quando già i corsi sono sbarcati. Questi li bloccano e gli tolgono i fucili. Stessa sorte tocca a quattro uomini che sono andati in Carbicina. Tutti vengono condotti alla chiesa del porto. Quando al sorgere del sole, la trentina di uomini che presidiano le varie cale della Mortola, Teglia, Portovecchio, e sul monte Capo si incamminano sulla strada del ritorno al paese arrivati sulla Ruta scorgono i corsi nei pressi della chiesa del Porto. Allora si fermano ma vengono convinti da Giovanni e Filippo Bargone, Padri del Comune, a proseguire senza temere ma, giunti nei pressi della chiesa vengono disarmati dai corsi che gli prendono i fucili e le cartucce.[20]

La resistenza dei capraiesi è stata inesistente ed è evidente che il partito favorevole ad una alleanza con i corsi gode ormai il consenso della maggioranza della popolazione.

Riprendiamo la descrizione dei Ragguagli:

Gionto tutto il distaccamento in vicinanza del paese i nostri comandanti fecero intendere agli anziani e padri del comune di Capraia che l’oggetto di quella spedizione non era che per espellere dalla loro isola i genovesi comuni nemici, ed unirla al corpo della nazione, per fargli godere i frutti della comune libertà: che perciò si lusingavano che il loro popolo, anziché mettere ostacolo a questa spedizione, l’avrebbe accolta di buon animo ed  avrebbe cooperato col suo zelo al buon esito di quella impresa. Avute queste sicurezze comparvero poco dopo i padri del comune, e la nostra truppa entrò colla maggiore segretezza e con tutto il buon ordine nel paese, ove furono immediatamente occupati i posti e le case più vicine al castello, per impedire che non vi penetrasse cosa alcuna, essendo stato spedito nel tempo stesso un ufficiale con dodici soldati ad occupare la cappella e li magazzini del porto. Avvedutosi la mattina il commissario genovese dell’entrata dei nostri nel paese e di essere assediato, cominciò a minacciare i capraiesi perché non si fossero difesi, avendo loro fatti distribuire qualche giorno avanti 140 fucili. E principiò l’artiglieria a tirare contro le case, e specialmente contro il convento che era stato pure occupato dai nostri.[21]

Nel Forte la mattina del 17 febbraio rimangono assediate le seguenti persone:[22]

– il commissario Bernardo Ottone, il capitano Emanuele Massari, l’alfiere Giacinto Poggi, il cannoniere Giuseppe Connio, il chirurgo Antonio Maria Cocchi, l’arciprete Giuseppe Solaro, il cappellano, il tenente dei cannonieri Emanuele Morgana, il cannoniere Giuseppe Maria Bargone, il bargello Domenico Canepa, 4 famegli, 49 tra donne e loro figli, 36 soldati

In totale 99 persone. Le donne con figli sono sia le mogli dei funzionari e soldati della guarnigione genovese, sia quelle di padroni capraiesi assenti al momento dello sbarco dei corsi.

Le difese del forte non sono imponenti, ma sufficienti a resistere all’attacco dei corsi:[23]

1 colubrina, 2 mezze colubrine, 1 mezzo cannone, 1 quarto di cannone, 2 sagri, 3 falconi, 1 falconetto, 2 smerigli

Nei primi giorni dell’assedio il commissario Ottone fa rinforzare con pietre le feritoie e riempire di terra numerosi sacchi da porre a rinforzo delle mura. Inoltre, ritenendo di non aver sufficiente farina tiene scrupolosamente conto delle razioni giornaliere da distribuire a tutti gli assediati in ragione di una razione per adulto e delle mezze razioni quando vi siano dei figli. Ogni razione è di circa 500 grammi di farina che viene cotta per farne del pane. Su consiglio dei suoi ufficiali il commissario Ottone decide di assegnare ai soldati una gratificazione di soldi 2 e 8 denari al giorno in ragione del servizio che prestano per maneggiare l’artiglieria.[24]

Il 17 febbraio il vicegerente di Bastia scrive a Genova che, secondo notizie ricevute da Macinaggio, alle ore 22 del 16 febbraio sono partiti da quel porto venti vascelli tra cui quattro gondole capraiesi, che hanno imbarcato cinquecento fucilieri diretti dai migliori capi della nazione corsa con quattro cannoni e provviste di biscotto, farina, castagne, grano e legnami.[25]

Il 18 febbraio arriva a Genova con la sua gondola il padrone capraiese Michel’Angelo Agostini che così depone:

che lunedì mattina, 16 corrente, partì da Livorno per andare in Caprara, e che camin facendo sentÌ due colpi di cannone, per il che dubitò che i corsi potessero avere sbarcato nell’Isola. Si trattenne perciò sino allo spuntare del giorno, ed allora essendosi incamminato per entrare nel porto di Caprara, fu chiamato dalla Fortezza, la quale tirò tre in quattro schiopettate per dare un maggiore segnale. Essendo dunque andati in vicinanza della Fortezza quel Signor Commissario, comandante della truppa, Cancelliere, ed altri li dissero di dover subito partire per Genova per avvisare che il Paese era preso dai Corsi, i quali avevano sbarcato la sera avanti. Il Signor Commissario ha raccomandato al padrone di venire subito a Genova per domandare soccorso. Detto Signor Commissario disse che le Torri non erano ancora state occupate dai ribelli. Disse al detto padrone che sua moglie, con altre donne si erano ritirate in Fortezza.[26]

Pinco genovese

Fig. 5 – Pinco genovese

Il 19 febbraio a Genova vengono date disposizioni affinché vengano spedite, sulla gondola dello stesso Agostini e di quella del capraiese Angelo Roverano che si trova nel porto di Genova, del biscotto, dell’acquavite, della farina, del riso, dei fagioli, delle cariche per fucili e per cannoni. Inoltre si decide di noleggiare un pinco da guerra comandato dal capitano Antonio Giugge detto Catalano, sul quale vengono imbarcati del vino e della polvere da sparo, e un rinforzo di soldati. Vengono dati ordini perché si allestiscano due feluche con quattro spingarde ciascuna, armi, provviste e 62 soldati con i loro ufficiali.  Tutte queste imbarcazioni, partite il 21 febbraio da Genova, giunte all’altezza di Capraia e trovandola già occupata, ripiegano nel porto di Livorno e poi ritornano a Genova.[27]

A Capraia, intanto, capitolano anche le torri, prima quella delle Barbici, poi il la mattina del 19 quella dello Zenobito e la sera quella del porto.

I corsi non perdono tempo e già il 17 febbraio arruolano numerosi capraiesi che dividono in tre compagnie, una di 27 soldati al comando Gio Batta Princivalle, una di 25 soldati comandata da Nicolò Bargone, e una di 25 comandata da Antonio Sabbadini. I tre comandanti ricevono un compenso mensile di 40 lire, mentre ai soldati ne ricevono 10.

Nei giorni successivi diverse imbarcazioni capraiesi vengono noleggiate per i trasporti di vettovaglie e uomini dalla base logistica di Macinaggio. Anche le donne capraiesi vengono utilizzate per il trasporto di grano e farina dal porto al paese e per la fabbricazione del pane.[28]

Per i Capraiesi che hanno perduto ormai ogni sostentamento dall’attività dei trasporti per mare e del commercio, l’occupazione dell’isola da parte dei corsi costituisce un insperato sostegno alla loro sopravvivenza.

Il 28 febbraio il vicegerente di Bastia scrive che, secondo le voci a lui pervenute, il numero dei corsi in Capraia è ora di almeno seicento combattenti, che le tre torri dell’isola si sono arrese, perché i soldati che le custodivano le hanno cedute senza sparare un tiro di fucile in cambio di ottenere un passaggio per Livorno o contro un pagamento in moneta (storia vera in quanto a Stefano Tomei per gratificazione della resa della torre delle Barbici vengono versate d’ordine di Achille Murati lire 10). Inoltre i corsi stanno scavando una trincea nella prima casa più vicina al Forte per batterlo con sei cannoni. Secondo il vicegerente di Bastia:

Il Magnifico Commissario di Caprara, con cui i corsi hanno fatto un giorno di armistizio, ha ricevuto tutte le capitulazioni stategli proggettate, e perché da Corsi è stato minacciato che doppo che sarà formata la loro trincea, non gli accoderanno alcuna capitulazione, ha loro risposto che si darà fuoco quando si vedrà al punto estremo di essere vinto o dalla forza, o per mancanza di provvigioni, delle quali però ne aveva per sé e per la sua guarniggione per tutto agosto prossimo.[29]

Occorre far qui presente che le uniche informazioni, su quanto succede tra il Macinaggio e Capraia durante il periodo dell’assedio, vengono fornite al generale Pinello e a Genova dai messaggi inviati dal vicegerente di Bastia Speroni sulla base delle notizie che gli vengono fornite da informatori che lui ritiene di sua fiducia e che sono dislocati in vari paesi del Capocorso. I corsi che probabilmente sono al corrente di queste tresche ne approfittano per spargere notizie, che amplificano i loro sforzi per catturare Capraia, sia sul numero delle truppe sia sui rifornimenti di armi e cannoni, sia sulle vettovaglie.

Sempre il 28 febbraio, a Genova, i Serenissimi Collegi e il Minor Consiglio decidono di inviare a Capraia due galee, quattro pinchi e cinque feluconi con armi, provvigioni, e soldati, e nominano il senatore Agostino Pinello a commissario generale e supremo comandante della spedizione di Capraia. Agostino Pinello fa parte di una delle famiglie nobili della Repubblica, ma non risulta che abbia avuto in precedenza esperienza di mare e di comando.[30]

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Fig. 6 – La galea Raggia

Prima della partenza la spedizione viene rinforzata perché ne fanno parte tutte  le quattro galee della Repubblica, Capitana, Raggia, S. Giorgio e Santa Maria, comandate rispettivamente dai capitani Paolo Spinola Cesare De Marchi Giacomo De Marchi e Vincenzo De Benedetti; due squadre da corsa una al comando di Cesare Lomellino, capitano del porto di Genova, formata da quattro pinchi, oltre al suo, comandati dai capitani Giovanni Domenico Botto, Pietro Paolo Spinola, Carlo Fabrizio Staglieno, Antonio Giuge, e l’altra al comando del capitano Antonio Foglietta formata da nove feluconi; il tutto accompagnato da una decina di imbarcazioni da trasporto e da quattro minolli.[31] Il 5 marzo la flotta lascia il porto di Genova in ordine sparso con l’intento di trovarsi all’altezza di Gorgona, manca soltanto la galea Raggia che si unisce agli altri navigli solo più tardi. Ma le cattive condizioni del mare costringono i bastimenti a cambiare sovente rotta e solo la sera dell’8 marzo le tre galere e i pinchi si ritrovano davanti a Capraia. Il 9 marzo il generale Pinello decide di disporre le galee a ponente dell’isola per intercettare i trasporti da Macinaggio, mentre i pinchi veleggiano lungo la costa di levante per impedire sia l’entrata sia l’uscita di bastimenti dall’isola. Subito ci si rende conto che non è possibile portare alcun aiuto al forte assediato e il generale Pinello osserva che la Fortezza fa poco fuoco, per lo che congetturo abbia poca polvere, li tetti si vedono per anche intatti, e conseguentemente non penuria di legna. Aggiunge: avevo fissato di distruggere col cannone delle galee due filuconi esistono nel porto, ed ero sul ponto d’effetturlo, ma il dubio di non far crdere alla guarniggione che potesse essere il tentativo del sbarco, e far loro consumare quella poca polvere, m’ha fatto cambiar d’idea, e differirla ad altra occasione. Emerge qui tutta l’indecisione e l’incapacità del generale, indecisione e incapacità che si protraggono per tutto il lungo periodo dell’assedio.

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fig. 7 – Il capitano Gio Domenico Botto

Viene quindi convocata una riunione segreta alla quale partecipano il colonello Schèiber comandante della truppa, il maggiore Codeviola, del corpo degli ingegneri della Repubblica, e il tenente d’artiglieria Giacomo Bertolotto, che stendono la seguente relazione:

“Unico progetto per attaccare l’Isola della Caprara fissato dal consiglio di Guerra tenuto al Bordo della Galea Comandante, alla mattina del giorno 9, dopo tutte l’osservazioni state fatte in poca distanza dalla Terra, per osservazione de postamenti del nemico, composto del Sig.r Tenente Collonello Schèiber, dal Sig.r Maggiore Codeviola, e del Sig.r Tenente d’Artiglieria Giacomo Bertolotto s’è ristretto unicamente à medesimi per il maggiore secreto, essendo questi assolutamente necessario, qualora vi fosse il pensiero di porlo in esecuzione. Essendosi dunque riconosciuto in questo giorno il stato, e disposizione de portamenti del nemico per il blocco della Fortezza della Caprara, anno ritrovato, che vi sono quattro batterie, e diversi trincieramenti. La prima batteria è d’un cannone da libre sei, in una grotta posta sotto dello scoglio, sopra del quale è fondata la fortezza indicata n° 1, dalla quale si scuopre il seno fraposto alla ponta immediata X. La seconda batteria, è in questa istessa ponta X, d’un cannone da libre dieci, per via più impedire l’accesso al detto seno. La terza batteria è il cannone da libre dieci situato nella Torre del Porto; e la quarta batteria, è nel seno del Porto di rimpetto alla bocca, in vicinanza de magazeni, la quale è di due cannoni dà libre dodeci circa. Le trinciere sono tutte dirette ad impedire lo sbarco, e soccorso dell’accennata fortezza, conforme chiaramente si vede marcato nel disegno con li numeri 2:4:5, essendo perciò imposibile si possa intraprendere lo sbarco, non solo per occupar l’Isola, ma ne tanpoco per soccorere la fortezza, atteso anche al numero de nemici, che da accertata notizia avuta è di 600, ben fortificati, non solo in dette trinciere, ma ancora nelle case, non scoperte dalla fortezza, attesa la disposizione del Colle. Avendo perciò fatte le dovute riflessioni sopra del mettodo, che si dovrà tenere per occupare la detta Isola, altro non anno ritrovato più opportuno, che quello d’attacarla da tre parti, cioè di dare due falsi attachi, ed un vero attacco. Il primo delli due falsi attachi, sarà allo scalo delle saline P. tentando d’attaccare la Torre del Zenopito. Il secondo sarà allo scalo di S. Francesco Q., tentando di voler introdurre il soccorso nella piazza da quella parte. Il vero attacco sarà scalendo per il porto vechio S. occupando la costiera, che domina non solamente lai magazeni H, e batteria .6., ma ancora la Chiesa dell’Assonta G, per indi inoltrarsi a prender il nemico di fianco, restando in questa guisa il nemico fra due fuochi, cioè da questo attacco, e dal fuoco della fortezza. Essendo donque il nemico nell’accenato numero di 600, benche dovrà distribuirsi alla diffesa di quelli posti, atteso il vantaggio d’esser dominante, e fortificato, esigge almeno 800 huomini di sbarco, non compresi però le corrispondenti guarniggioni delle Galee, de Pinchi, e Filuche, atteso il corso, che queste devono fare per impedire il rinforzo di Gente, già preparata nel Macinaggio con li viveri corispondenti, non potendosi in verun modo con quel numero di soldati, che sono in quest’armamento fare alcun tentativo, ne di sbarco, ne di soccorso, atteso la forza del nemico, e l’avantaggiosa situazione dello stesso, per esser l’accenata Isola di Caprara un scoglio, solamente accessibile per li detti tre scali, e doversi passare per sentieri strettissimi, e senza esservi terra per alzare trinciere, per quali ragioni, e circostanze di fatto s’esigge maggior numero di soldati di quello che sia il numero de nemici, ad effetto d’ottenere sicuramente l’intento, cioè di ricuperare un’Isola, posto così importante, meritando perciò il zelo d’una puntuale deliberazione, per potersi aproffittare dell’occasione d’esser la fortezza, in stato di fare qualche diffesa, perche poi, se questa si perdesse, vi vorrebbe per questa impresa maggior numero de soldati di quello si dimanda. A questo numero di truppa doverà seguitare 2000 fascine, sachi a terra, barili per aqua, et altro secondo il formal detaglio, che bisognerà presentarsi in tutto lo necessario per fortificarsi, ed approssimarsi, ed impadronirsi del Paese.

Assedio

Fig. 8 – Pianta di Capraia assediata, 1767

Lo stesso giorno il Pinello invia a Genova il maggiore Codeviola con la relazione in modo che possa riferire direttamente sulla situazione dell’isola.[32] Intanto, verso sera, il capitano Lomellino trovandosi poco distante dalla costa dell’isola decide

di riconoscere la forza di fuoco dei ribelli, m’avvicinai a mezzo tiro di cannone; principiò a farmi fuoco un cannone postato sotto S. Francesco, che giudicai essere da sei.  Altro postato nel centro del Porto su la spiaggia fece parimente fuoco, e lo giudicai essere da 18.  Altro postato a’ piedi della Torre del Porto piccolo cannone, et altro più a mezzo giorno della Fortezza parimente piccolo fecero fra tutti quattro da 12. tiri in circa sopra di me, le palle de quali niuna colpì, passarono in gran distanza stimai farle qualche poco fuoco sopra le loro batterie, e inoltratasi la notte mancava il vento, mi staccai.[33]

Sulla base della relazione e della audizione dello stesso maggiore Codeviola, i Serenissimi Collegi il 18 marzo inviano al Minor Consiglio una relazione che prospetta due alternative: la prima è quella di effettuare uno sbarco anche se richiede un numero considerevole di soldati, la seconda e quella di effettuare un blocco dell’isola in modo da impedire ogni tipo di rifornimento ai ribelli corsi. La discussione e le votazioni nel Minor Consiglio si protraggono fino al giorno 20 con diversi interventi che mettono in rilievo l’importanza di Capraia perché perduta Capraia deve anche considerarsi perduta la piazza di Bonifacio. Perdute queste piazze altro non vi ha su cui contare possa la Repubblica, perché perduta la Corsica è perduta la Terraferma.[34]

Le condizioni del mare in questo periodo sono piuttosto cattive e le galee hanno difficoltà a tenere il mare e passano la maggior parte del tempo nel golfo di La Spezia, solo i pinchi rimangono a presidiare i mari dell’isola.[35]

Il 21 marzo i Serenissimi Collegi scrivono al Pinello di aver approvato lo sbarco e gli inviano anche un elenco di soldati disponibili a Genova e Savona. Fatti i conti, il Pinello, anche se racimola soldati delle galee e buonavoglia arriva ad una forza per lo sbarco di soli 456 soldati, giudicati insufficienti per l’impresa.[36]

Intanto la guarnigione corsa in Capraia si rinforza e secondo il racconto fatto al vicegerente di Bastia da due capraiesi e da Pasquale Badaracco di Chiavari, che hanno lasciato Capraia il 26 marzo, il numero dei corsi in Capraia è di circa 480 uomini di cui 308 nelle postazioni dotate di 7 cannoni. I tre consegnano al vicegerente la lista delle postazioni ed alcune loro annotazioni.[37] 

 

La sera tra il 27 e il 28 marzo verso l’una di notte il commissario Ottone riesce a far scendere in mare, con una fune, un coraggioso soldato genovese, Francesco Toso, che a nuoto riesce a raggiungere una lancia, comandata dal sergente Pellegrini, inviatagli incontro dal pinco del capitano Spinola in mezzo al tiro dei moschetti e del cannone dei corsi. Il soldato porta con sé la seguente lettera del commissario Ottone indirizzata al generale Pinello:

Con mio sommo piacere ho inteso la degna scelta fatta nella persona di V. E. al soccorso di quest’isola, riservandomi in appresso a dovergliene fare le mie congratulazioni in persona, dopo sarà V. E. felicemente sbarcato a terra.

I ribelli Corsi sono circa duecento, compreso un terzo di Capocorsini, sono vilissimi di spirito compreso i Capi, perché fuggono da longi un miglio quando sentono le schioppettate, onde mediante la Providenza, e la bravura d’un così degno Capo, che l’affare andrà bene. I detti ribelli hanno serrato la bocca del Porto con dell’alberi de bastimenti, che hanno uniti con delle corde, e dato fondo con due ancore alla metà di detti alberi, e legate con corda le due teste. Nella piccola bocca poi v’anno posto un vecchio bastimento pieno di pietre.

Devo poi far presente a V. E. così convenuto con questo comandante di truppa, aver fatto misurare l’altezza, che v’è dal piede della Fortezza verso levante fino al mare, e si ritrovò circa duecento palmi, come potrà meglio vedere dalla misura, che si consegna al presente latore.

Onde se stimasse far costruire una scala di corda per montare centocinquanta uomini, che sarebbero bastanti per scacciarli dal scalo detto il Bagno, che resta immediatamente su la dritta della Fortezza, verso mezzogiorno, ed allora montare il restante della truppa, o pre far costruire un recipiente dove potessero stare uno, o due uomini, che … dal sito indicato, mediante due … sottili, ed una taggia che V.E. ordinerà si provveda, che si tirerebbe subito fossero arrivati al scalo.

Deve V. E. aver presente, che quando le scialuppe sono sotto il scalo indicato, non rischiano più niente, essendo al coperto de portamenti de ribelli, come potrà meglio informarsi dal coraggioso latore, il quale dice di esser pratico, pure di alcuni nati dell’isola. Sarà necessario, se V. E approva uno de due partiti, dare avviso con due tiri di cannone alla mattina o all’ora che meglio stimerà, e che dovrà passare mezz’ora da un tiro all’altro. La prego pure darmi avviso con un tiro di cannone, subito sarà arrivato il soldato a bordo per mia tranquillità.

Quando mai V. E. giudicasse poi appiliarsi ad altro partito procuri almeno farmi avere qualche proviggioni da bocca, e da guerra, avendone tutta la necessità, ritrovandosi la truppa da molti giorni a pane e acqua. I capraresi sono quelli che portano le proviste a ribelli, e si adoperano molto in suo vantaggio, comprese le donne, e ragazzi di cui averà V. E. inteso le grida la prima sera che venero le filuche poco lontano dalla Fortezza, che poco avessero più avanzato restavano al coperto de ribelli.

Prenda pure coraggio la truppa e sij V. E. persuasa della facilità nell’ottenere vittoria. Desidero presto poter riverire V. E.[38]

Ed ecco come i Ragguagli descrivono l’avvenimento:

Il comandante del castello per agevolarsi la comunicazione col mare avea fatti scendere alcuni soldati sopra il ripiano di una rupe che domina una piccola cala sottoposta, ed avea loro fatta occupare una grotta detta del Margano che è sopra la detta rupe. La notte del 27 marzo fu fatto calare da questa rupe con una lunga fune un soldato nella cala sudetta, da dove a nuoto passò a bordo di una feluca che si era accostata in molta vicinanza.

Grotta Margana

Fig. 9 – Le grotte sotto la Fortezza durante l’assedio

Sotto la Fortezza oggi

Fig. 9 – La costa sotto la Fortezza oggi (Foto F. Guidi)

Fin qui la descrizione coincide con quella del generale Pinello, quello che manca nella descrizione del generale è quanto segue:

Il soldato sceso dalla fortezza viene raccolto dal pinco del capitano Spinola, che dopo aver parlato con il comandante Lomellino, si reca nel golfo di La Spezia dove si trova la galea del generale Pinello per consegnarli il messaggio del commissario Ottone.

Il 29 marzo il comandante Lomellino, appreso che la fortezza era sprovvista di munizioni decide di tentare un’impresa che da tempo divisava. Ecco il suo racconto:

feluca genovese XVIII secolo

Fig. 10 – Feluca genovese del Settecento

… avendo osservato varj bastimenti mercantili restati in calma in vicinanza di 4 miglia circa del Senopito, credei che questi potessero in qualche modo favorire l’impresa che meditavo. Concertai adunque a tall’efetto col Cap. Foglietta e i miei ufficiali di fingere un falso attacco contro la vicina cala del Ferletto [Zurletto] e mentre che io mi tratteneva in quello per attirare l’attenzione e le premure dei ribelli verso quel porto, detto capitano con la sua filuca si portasse allo scalo della Fortezza e procurasse di farle tirar dentro, oltre una lettera ed altro bisognevole, sei barili di polvere e due di cartuccie. Per facilitare ai quali ed assicurarli dall’urto scabroso degli scogli nel tirarli sopra, gli avevo fatti fasciare di corda di sparto e guarnire di foglie e funi appropriate per prevenire ogni mancamento e disordine. Feci altresì impagiettare, per quanto si poteva, la di lui filuca e la providdi del necessario a tale affare; esortai ancora il patrone della medesima a levar l’albero di trinchetto e bittarlo per potersi più francamente approssimare allo scalo destinato, il che esso non giudicò necessario perché uno dei suoi marinari, che già vi era stato altra volta, lo assicurò che la filuca vi poteva stare traversa senza disalberare. Finalmente gli rinfrescai l’equipaggio e per animarlo gli promisi che, riuscendo il tentativo, lo avrei rimunerato col regalo di dodeci zecchini. Ordinai altresì al tenente Alessandro Reta, volontario in questa campagna, il quale non solamente in questa ma in tutte le altre occasioni generosamente offeriva l’opera sua, di garantire con altre due filuche esso Cap. Foglietta da qualunque bastimento ribelle, che potesse attaccarlo e da qualunque altra disgrazia che potesse avvenirli, e che però si tenesse con tutta attenzione alla bocca del porto. Andavamo ancora intesi fra i nostri bastimenti che alla prima notte tutti ci trovassimo in una segnata distanza e che ognuno di essi stasse in attenzione che, al uscire di un razzo dal mio bordo, ogni altro di essi ne sparasse un altro e che la mia lancia ne lasciasse varj in varie situazioni per fare così una maggior illusione a ribelli. Fra questi bastimenti non ebbi la sorte di aver compagno il Cap. Botto, che avevo sempre lontano, il quale però non mancò di secondare alla lontana il nostro segnale così concertato. Il tutto all’ora assegnata che era per questo finto attacco, l’una e mezza di notte e le due e mezza per la filuca del Cap. Foglietta, diedi l’avvisato concertato segnale e tutti li bastimenti secondarono e si portarono a terra in aria di sbarcare. Una truppa ribelle, ch’era alla guardia di quello scalo, fece subito fuoco addosso le filuche e lancia: le corrisposero i nostri bastimenti; mi avvicinai col pinco in terra più che fu possibile e cominciai a far delle cannonate per maggiormente collorire il finto sbarco: di fatto varie truppe di ribelli venivano in furia e calavano dalle alture allo scalo e facevano continuamente fuoco sopra le suddette filuche. In questo mentre, secondo l’accordato, le filuche s’indrizavano verso la Fortezza per eseguire la loro incombenza. Continuai a far fuoco col pinco e mia scialuppa e al termine di questo il Foglietta, secondo l’ordine concertato, dovea presentarsi allo scalo della Fortezza. Continuavano intanto a calare i ribelli, facendo fuoco e grandi voli. Quando viddi il fuoco della Fortezza, girai di bordo verso la suddetta per osservare e provvedere ad ogni accidente de bastimenti e prevalermi di qualunque favorevole occasione mi avesse presentato la sorte e le circostanze di poter soccorere in qualche maniera di provigioni anche da bocca l’angustiata Fortezza, non avendo omesso di far accendere un fanale di poppa per segno alle filuche. Verso le ore 4 viddi comparire la filuca del Cap. Foglietta senza aver fatto nulla, il quale dissemi aver incontrato il pinco del Cap. Spinola ed, avendole communicata la sua commissione, lo dissuase d’eseguirla con dirle che non avrebbe fatto nulla (non so con qual fondamento se prudente o prudentissimo), con dirli anche che all’imboccatura di questo scalo vi era una secca, quando si sa che la scialuppa dello Spinola non vi era stata e che il soldato scalato dalla Fortezza era ito a nuoto molto fuori al bordo della di lui cialuppa, sicché era una secca immaginaria, colla quale gli è riuscito spaventarlo: in somma le disse che non era di sentimento che tentasse cosa alcuna. Tanto bastò perché andasse a vuoto ogni cosa. Il tenente Resta, ch’era portato nel suo paraggio, non vedendo comparire il Foglietta, fece varj giri intorno allo scalo e, non vedendo uscire alcun bastimento di terra, fu sorpreso quando se ne vidde comparire uno di fuori ed, avvicinatisi ambi, si diedero il Santo e trovò essere il Foglietta ed, essendo il detto Reta bersagliato dalla moschetteria ribelle, si ritirò e consigliò il Foglietta ad eseguire la sua commissione, congetturando essere i ribelli tutti occupati a diffendere lo scalo fintamente attaccato, dal vedere, radendo  la costa, sempre truppe di ribelli che colà correvano, delle quali alcuna le facevano fuoco addosso. Pare che se avessimo avuto più fortuna e minor prudenza, tale spedizione sarebbe terminata con esito più felice.[41]

Il 31 marzo il vicegerente Speroni comunica che il commissario Ottone ha

alberata bandiera negra, e da quel vero Patrizio, ch’egli è, va facendo da pochi giorni a questa parte delle gran cannonate bersagliando sommanente il Paese e li postamenti che scopre de nemici, e fra li morti si conta il Antonio Oletta, detto Chipa, perdita ch’è causa d’infinito dispiacere al Paoli, ed al Barbaggi, di quali era confidentissimo.[42]

Intanto a Capraia il numero degli assedianti aumenta ed arriva nel mese di marzo a circa quattrocento uomini più i circa ottanta uomini delle milizie capraiesi.[43]

Il primo aprile il generale Pinello, dopo essersi approvvigionato dei materiali necessari a realizzare il piano suggerito dal commissario Ottone, ritorna a Capraia e si posiziona con la sua galea davanti al Forte ma si accorge d’un gran travaglio fatto dai ribelli in pochi giorni. Decide allora di inviare lo schifo della sua galea verso terra per vedere se sia facile di far calare dalla fortezza delle corde per far risalire le scale, mentre la galea San Giorgio con i pinchi e le lance attende un segnale per tentare l’impresa. Ecco come prosegue il racconto del generale Pinello:

le due galee [Capitana e S. Giorgio] si sono accostate verso la terra, e non hanno tralasciato di bersagliare col cannone loro rispettivo li postamenti del nemico, che potevano impedire allo schifo l’approssimarsi al luogo indicato, attesi li travagli fatti da ribelli, particolarmente dentro il medesimo seno, e nel luogo altresi più scosceso, che è a perpendicolo, per dove necessariamente si dovea, col mezzo delle scale salire nella fortezza, anno costrutto delle piccole caverne, ove da tutte le parti vanno facendo un continuo fuoco, la fortezza medesima ha gridato più volte, che non dovessero approssimarsi, mentre sarebbero rimasti inutilmente offesi, e che dovessero ritirarsi, a qual partito à abbisognato si sia rivolto, anche chi comandava nel schifo i volontari, soldati e buonavoglia che in esso erano, in vista altresi dell’instruzione di ritirarsi, in caso che dentro il seno vi fossero con forza maggiore fortificati i ribelli, se il tempo fosse stato migliore, e con poco vento si sarebbero potute la galee, anche maggiormente approssimarsi, per fare giocare il cannone a mitraglia.

Il generale Pinello rinuncia quindi all’impresa e decide di eseguire il piano preparato dal maggiore Codeviola, non appena gli saranno inviate delle truppe.[44]

A causa del mare cattivo e della difficoltà per le galee di restare alla cappa il generale Pinello decide di ritirarsi nel golfo di La Spezia lasciando soltanto i pinchi a sorvegliare le coste di Capraia per impedire i contatti dei ribelli con il Macinaggio, dove si sono radunati numerosi fucilieri e vengono rafforzate le difese per timore di un attacco da parte della flotta genovese. Nello stesso porto c’è una gondola capraiese, carica di rifornimenti per Capraia, che è in attesa del vento favorevole per partire.[45]

Il 6 aprile il generale Pinello comunica che una cinquantina di volontari di Sarzana con un loro ufficiale sono fuggiti per paura dell’impresa e del mare. Chiede quindi altre truppe per lo sbarco, un ufficiale di stato maggiore, un ingegnere in sostituzione del maggiore Codeviola. Comunica altresi di aver deliberato una ricompensa di Lire 200 per il soldato che si è calato dalla Fortezza di Capraia. Lo stesso giorno Genova gli comunica di aver deciso l’invio di 100 uomini di truppa e 50 paesani di Polcevera oltre ai capitani Berlengeri e Siri.

Lo stesso giorno due delle galee, la S. Giorgio e la Raggia, che il generale Pinello ha inviato a Capraia a sorvegliarne la costa, si scontrano nei pressi della Gorgona e sono costrette a rientrare a la Spezia per le riparazioni.

Il 15 aprile il Pinello è ancora fermo nel golfo di La Spezia ma, scrivendo ai Serenissimi Collegi, dice di essere pronto a partire avanzando una serie di scuse per giustificare la sua scarsa attività:

… certo si è che le circostanze presenti, attesa la somma difficultà delli scali, li travagli hanno avuto i ribelli al comodo intraprendere, li continui rinforzi vanno loro giongendo dal Capo Corso, a segno che ora mai è maggiore il numero de difensori che quello dell’aggressori, rendono più difficile l’evento, e male volontieri  accorere, e rimediare a mio grado, ma in queste operazioni di mare con bastimenti che non prestano la totale ubidienza, dipendendo anche dall’incostanza de tempi, cagionata dalla presente stagione, rende la cosa viepiù malagevole.[46]

Lo stesso giorno il commissario, concordata una breve tregua con gli assedianti, fa uscire dalla Fortezza 10 donne capraiesi, riuscendo coì a ridurre il numero di razioni giornaliere.[47]

Nel frattempo, l’8 aprile, Pasquale Paoli è arrivato al Macinaggio con dei rinforzi e corre voce che vi rimarrà finché non terminerà il blocco dell’isola di Capraia.

Il 17 aprile il generale Pinello lascia il golfo di La Spezia con la Capitana e la Santa Maria diretto al Capocorso per vedere di intercettare bastimenti che portano rifornimenti a Capraia e per incontrare a Bastia il vicegerente dal quale spera di ottenere maggiori informazioni su quanto succede al Macinaggio e a Capraia. Dopo di lui anche il resto della squadra si dirige su Capraia. Il mattino successivo si alza un forte vento di Ponente e tutta la squadra, comprese le due galee del generale Pinello, si rifugia nel porto di Portoferraio.

Secondo i Ragguagli il 19 aprile i corsi rendendosi conto che la Fortezza resisteva

consultarono di tentare una scalata dalla parte del Bagno ove il muro era più basso, ma essendo il luogo troppo scoperto ed inacessibile di giorno per poter riconoscere la giusta altezza del muro, fu allestita una scala alta 38 palmi e creduta sufficiente, e si elessero di salirla i primi i signori Giancarlo Saliceti, Antonio Gentili, Angelo Franceschi di Centuri, Casella, Gio Natale Rutali e molti altri. La notte soffiando un vento forte fu portata la scala al luogo destinato ed appoggiata al muro, e vi salì il primo il Rutali, ma avendo trovata la scala troppo corta se ne voltò in dietro, e fattovi salire un altro più alto di statura a questo poté riuscire di attaccarsi alla somità del muro. Nell’atto di ritirar la scala per aggiungerla si staccò una pietra dalla muraglia ed avendo fatto nel cadere un gran strepito chiamò a quella parte l’attenzione degli assediati, che avvedutisi del disegno dei nostri cominciarono a gettar giù dei gran sassi e delle granate per cui furono i nostri obbligati a ritirarsi e ad abbandonare la scala, che la notte seguente con uncini di ferro fu tirata dagli assediati dentro il castello.[48]

Il 23 aprile Pasquale Paoli è a Macinaggio dopo essersi incontrato il giorno precedente in Erbalunga con il generale Marbeuf.[49]

Finalmente calmatisi il vento e il mare, il primo maggio, il generale Pinello con tutta la squadra è nelle acque di Capraia, per tentare lo sbarco. A sera il capitano Berlengeri, secondo un piano che ha elaborato per portare soccorso alla Fortezza fa accostare verso il Bagno un piccolo brulotto che viene incendiato e che getta in aria un turbine di sassi. Una seconda imbarcazione dotata di scale non riesce nel suo intento e rinuncia all’impresa attesa la situazione presentanea de nemici. Due marinai rimangono feriti, uno leggermente e l’altro mortalmente.[50]

Ma nella notte si leva una forte grecalata con abbondante pioggia. Un piccolo consiglio di guerra, sentiti i piloti, decide che è opportuno rientrare a Portoferraio anche per raccogliere delle provviste. Fattosi giorno sale a bordo della galea Capitana il capitano Lomellino che chiede di conferire con il generale. Appreso che era stato deciso di partire per Portoferraio, il capitano riesce a dissuadere il generale dal partire ma di approfittare del tempo, che è nel frattempo migliorato, e di tentare l’impresa. Il generale si dice d’accordo e quindi decide di dare inizio alle operazioni. Al capitano Lomellini viene affidato il compito di coordinare lo sbarco delle truppe. Un primo contingente, al comando del tenente colonello Antonio Matra, è formato da tre picchetti da 50 uomini ciascuno imbarcati su due barchi e due feluconi al seguito del pinco del capitano Lomellini. Il secondo, comandato dal colonello Lantiani e composto da 6 picchetti e una compagnia di granatieri, imbarcati su una barca al seguito del pinco del capitano Domenico Ferretto deve muoversi quando gli viene segnalato che il primo contingente è sbarcato con successo. Il primo contingente deve impadronirsi dell’altura della Figa o delle vicinanze della stessa. Le quattro galee e due pinchi si devono portare di fronte alla Fortezza, e il tenente colonello Schreiber, dopo essersi conto che gli sbarchi precedenti hanno avuto successo, deve effettuare uno sbarco al Bagno con il resto della truppa. Di notte la galera S. Giorgio con il pinco del padron Giacomo Piaggio, che ha portato dei rinforzi di truppa, deve portarsi davanti a Portovecchio e non appena sente dei tiri di fucile provenienti dalla punta della Fica deve fingere di tentare uno sbarco facendo tirare dei colpi di fucili e qualche tiro di cannone, e non appena ode le altre galee sparare tiri di cannone deve raggiungerle davanti alla Fortezza.

Durante la notte viene distribuito pane e vino alle truppe da sbarco. La mattina del 3 maggio verso le sei, le truppe del primo contingente iniziano le operazioni di sbarco nella piccola cala della Civitata che non è sorvegliata dai corsi e dalla quale inizia un sentiero che porta verso la punta della Figa e il paese svolgendosi a circa un centinaio di metri dal livello del mare lungo la pendice orientale del monte Campanile.

Ecco come il generale Pinello riferisce gli avvenimenti dopo lo sbarco:

Fatto lo sbarco de 150 volontarij, comandati dal colonello Matra, nel luogo detto la Civittà, per una strada incognita, e molto comoda, seguendo di guida un forzato caprarese, quale ha servito molto bene, avendolo lusingato di procurarle la grazia da VV. Serenissime, il che è riuscito assai felicemente, avendo occupate, non solo l’alture, ma sorpreso e tagliato a pezzi un postamento nemico, ma invece d’eseguire l’instruzione, abbandonata l’altura, che poteva garantire loro la ritirata, si sono accunzati con troppo coraggio, avendo senza molto contrasto, entro nel paese obbligati li nemici a ritirarsi, essendo arrivati alle prime case dello stesso, lusingati, che il colonello Lantiani, con il distaccamento da lui comandato, composto di sei picchetti, ed una compagnia di granatieri, facesse in seguito succedere lo sbarco, ma questi in vece d’eseguire gl’ordini, ed instruzioni, s’è lasciato trasportare colla barca, e col pinco da otto miglia circa in mare, nonostante la calma, senza darsi molta pena d’accostarsi, abenchè sia stato spedito il commissario di guerra Ferrari al di lui bordo, oltre la lancia del M.co Staglieno, perlochè soprafatti li detti volontarij da tutto il numero de nemici, sono stati parte tagliati a pezzi, o fatti prigionieri, essendosi solamente salvato assai fortunamente il colonello Matra, ferito leggermente, ed alcuni altri pochi, la maggior parte feriti, stati salvati longo li scoglij. … Appena accortomi della mancanza della barca, e pinco, non ho tralasciato spedirle la galee a rimorchiarli, ma inutilmente, sicome sono state inutili le tre compagnie granatiere, spedite subito colle barcasse delle galee, ed alcune filuche, per portarsi a terra, per sostenere solamente , e facilitare l’imbarco ai volontarij, mentre avevano questi abbandonata, come ho detto di sopra, l’altura sopra il scalo, e di questa se n’era di già impossesato il nemico, ed assai subito s’è veduto cessare il fuoco da tutte le parti, essendosi li rimasti vivi resi prigionieri a Corsi, perloche essendomo portato in luogo, avendo ciò considerato, ho stimato opportuno far ritirare ogniuno a suoi rispettivi bordi.

La baia della Civitata oggi

Fig. 11 – La cala della Civitata e il sentiero della Civitata coperto dalla macchia

 

Sentiero della Civitata

Fig. 12 – Il sentiero della Civitata nel 1843

Lo sbarco al Bagno non viene effettuato, e il tutto si limita ad uno scambio di cannonate che causa alcuni feriti sulle imbarcazioni genovesi. Si concorda una tregua ed una barchetta porta a bordo della Capitana un messaggio di uno degli ufficiali feriti nello sbarco con l’elenco dei prigionieri e dei feriti catturati dai corsi. Il generale Pinelli convoca il consiglio di guerra e quello di marina per vedere se sia il caso di fare un altro tentativo, ma tutti concordano che si debba desistere. Allora lasciati nelle acque di Capraia i pinchi dei capitani Lomellino, Spinola, Botto, Giugge con due feluche comandate del capitano Foglietta, il generale, obbligato dal tempo cattivo, si ritira con il resto della squadra nel golfo di La Spezia. [51]

Il colonello Lantiani viene messo agli arresti che ritiene ingiustificati in quanto, secondo quanto scrive al generale, lui non si è allontanato, bensì non gli è stato fatto il segnale convenuto dopo lo sbarco del contingente del colonello Matra[52].

I prigionieri fatti dai corsi sono 95 di cui 9 corsi che vengono incarcerati a Nonza, mentre i restanti, di cui 11 feriti, vengono portati a Rogliano. Gli uomini ritornati a bordo sono 38, mentre i caduti sono 24 tra cui gli ufficiali capitani Massone e Magni, tenente Michele Paciola, e alfiere Cassarà.[53]

Il 4 maggio il colonello Matra, anche se non del tutto ristabilito, chiede al generale Pinello di potersi recare a Genova per illustrare lo stato dell’isola ed un suo piano per effettuare un nuovo tentativo di sbarco in Capraia.[54]

Il 5 maggio, a Genova, il colonello Matra riferisce il suo piano al Magnifico Costantino Pinello fratello del generale.  Il piano prevede di imbarcare 400 soldati corsi al servizio della Repubblica che con il loro sbarco devono aprire la strada alle altre truppe. Lo sbarco deve essere effettuato al postamento della Fica dove trincerarsi per poter soccorrere la Fortezza.

Il piano viene illustrato ai Serenissimi Collegi che con il loro placet lo trasmettono per approvazione al Minor Consiglio. Qui, dopo diversi interventi, viene approvato e per coprire le spese diversi membri del Consiglio offrono delle donazioni.[55]

Si dà quindi incarico al generale Pinello di implementare il piano. Ma subito incominciano a sorgere dubbi sulla volontà dei corsi di combattere i loro concittadini In effetti mentre i corsi vengono radunati dalle diverse piazze della Terraferma, molti di loro disertano.[56]

Intanto il 9 maggio il generale Pinello, sempre fermo nel golfo di La Spezia, invia le due galee, Raggia e S. Giorgio, con i pinchi a sorvegliare le acque di Capraia per impedirne ai corsi il rifornimento degli assedianti e per assicurare il commissario Ottone ed animarlo con la speranza del pronto soccorso.[57]

Il 16 maggio il capitano Cesare de Marchi, che con la sua galea, la galea S. Giorgio e i pinchi, a  partire dall’otto maggio ha costeggiato la Capraia, riferisce al generale Pinello che i corsi hanno moltiplicate le trincee e le loro fortificazioni e che i corsi si sono moltiplicati perché da ogni scalo se ne vedevano molti apostati anche in luoghi che precedentemente non erano presidiati; che il giorno 10 verso le ore 18 la Fortezza fece una fumata, e poco dopo un’altra e mentre si avvicinava con la sua galea spedì una feluca per sentire che cosa voleva la Fortezza, ma da essa partì un colpo di cannone e i corsi risposero sparando sette cannonate a mitraglia contro la feluca; che  la sera del 14 maggio la Fortezza sparò un colpo di cannone e allora egli inviò una feluca per sentire che cosa voleva, ma avvicinandosi la feluca venne fatta segno da dodici colpi di cannone a mitraglia sparati dalle trincee dei corsi e dovette ritirarsi. Anche i comandanti delle altre tre galee e quelli dei pinchi concordano che il progetto di sbarco al Bagno deciso nel consiglio di guerra del tre maggio è senza speranza di riuscita visto che i corsi vi hanno posto un altro cannone e costruito alcune trincee.[58]

Il 15 maggio tre pinchi con la truppa corsa arrivano a La Spezia dove il generale Pinello ha posto la sua base. Egli si appresta a partire il mattino del 16, ma ancora una volta si alza vento di levante-scirocco che sconsiglia la partenza. Condizioni pessime del mare che costringono le due galee inviate a Capraia a ritornare nel golfo di La Spezia, lasciando nei pressi di Capraia le due feluche che vi hanno portato il colonello Matra e l’ingegnere Ronco a ispezionare le postazioni dei Corsi.

Nella notte del 24, le truppe incominciano ad imbarcarsi sulle scialuppe per lo sbarco ma verso il fare del giorno si leva vento di ponente-maestro e le galee ed altri bastimenti, a parte i pinchi armati che continuano a veleggiare intorno a Capraia, si rifugiano in Portoferraio. Il 27 maggio calmatosi il vento e spirando un leggero vento di levante il Pinello si appresta a ripartire per Capraia quando scoppia una controversia tra lui e il comandante del porto circa i saluti che il comandante del porto chiede che gli vengano prestati. Solo la sera del 28 la squadra navale lascia Portoferraio e muove verso Capraia.[59]

Intanto la situazione a Capraia prende una nuova piega: la mattina del 29 maggio, il commissario Ottone non vedendo arrivare alcun soccorso, nonostante diversi giorni di calma di mare, sentiti i suoi ufficiali, decide di arrendersi e chiede ai corsi di poter uscire con le loro armi e bagagli a tamburo battente e con un piccolo pezzo di artiglieria e di essere trasportati a bordo dei loro bastimenti. I corsi non accettano quanto richiesto e ingiungono al commissario la seguente capitolazione i cui termini erano stati dettati da Pasquale Paoli già il 29 aprile:[60]

 

Capitolazione completo                      

La squadra genovese giunge in vista di Capraia solo verso l’alba del 29. Avvicinatasi alla costa scorge due fumate alzarsi dalla Fortezza. Un minollo viene inviato verso terra per vedere cosa sta succedendo. Nel mentre una imbarcazione capraiese con bandiera bianca si avvicina alla galea Raggia comandata dal De Franchi, al quale consegna la seguente lettera del commissario Ottone indirizzata al generale:[61]

La Piazza è resa, come in seguito Vostra Eccellenza sentirà. Si sono fatte due fumate questa mattina, e non s’è veduto venire alcun battello. Questi signori comandanti ed ufficiali anno avuta la compiacenza a nostra istanza, di fare la spedizione che V. E. vedrà, e da cui riceverà questa mia pregandola a voler ordinare, ci vengano a prendere, in attenzione di poter riverire di persona Vostra Eccellenza passo con tutta stima a protestarmi.

Il De Franchi, legge la lettera e come risposta invia al commissario un messaggio per chiedere quante imbarcazioni servono per raccogliere le persone da evacuare e i loro beni.[62]

Secondo le istruzioni di Pasquale Paoli, dopo la resa della Fortezza, i corsi regalano al commissario una vitella e ai soldati vino e carne.[63]

Nel frattempo si leva un forte vento di ponente-maestro e tutta la squadra si allontana dall’isola con l’eccezione dei due pinchi dei capitani Lomellino e Staglieno. Quest’ultimo riesce ad imbarcare il commissario Ottone e il capitano Massari, leggermente ferito in un occhio, e li conduce nella rada di Piombino dove si è radunata la maggior parte della squadra per sfuggire al maltempo. Alcuni giorni dopo il resto dei soldati e delle loro famiglie viene ricuperato da un pinco inviato appositamente.

Termina così con un grave smacco l’ultima impresa marittima della Repubblica di Genova. Nelle parole finali del giornale di bordo del capitano Lomellino bene è descritto lo stato d’animo di chi si è reso conto del grave insuccesso:[64]

Se poi non ho avuta fortuna di attrapare alcuno dei bastimenti ribelli che traggitavano dalla Corsica alla Capraja, come si desiderava, con qual ragione da chi ha qualche notizia della distanza e situazione di quei luoghi, della qualità dei bastimenti, e particolarmente del mio, e delle cose marittime, si potrà ascrivere a mio mancamento, quando particolarmente si è veduto che neppure alle molte filuche armate e alle galere, legni del mio più veloci e construtti per le calme, è mai riuscito di uno arrestarne!

In effetti non solo la liberazione della Fortezza si è risolta in un fallimento, ma anche il blocco dell’isola per impedire l’arrivo di uomini e rifornimenti per gli assedianti corsi ha avuto uno scarso successo, come abbiamo visto. Le gondole capraiesi, nonostante le cattive condizioni del mare hanno continuato a fare la spola tra Macinaggio e Capraia, rivelando ancora una volta le capacità marinare dei Capraiesi.

Il 5 giugno Pasquale Paoli con un suo editto che celebra la conquista definitiva di Capraia antica dependenza del nostro regno, ordina

… ai potestà maggiori, anziani, padri del Comune, e capi d’arme di tutti i rispettivi paesi del nostro Regno, di scegliere una giornata a loro beneplacito e di lor comodo, per festeggiare la memoria di questo successo collo sparo generale di tutte la armi, e con pubbliche illuminazioni di gioia la sera dello stesso giorno; ed esortiamo nel tempo stesso la pietà e zelo di tutti i pievani, parrochi, e vice-parrochi, di ordinare nel giorno suddetto le pubbliche preci della Chiesa, per un solenne rendimento di grazie.[65]

La resa della Fortezza suscita a Genova un notevole sconforto come si può riscontrare in un biglietto di calice ai Serenissimi Collegi:

Per castigo d’Iddio, e per opera di chi ha mancato così solennemente al suo dovere, la Caprara è perduta. La Città tutta troppo risente una tale perdita, e più ne aprende le fatali conseguenze. Una così disgraziata comissione deve illuminarci per il Tratto successivo. Tochiamo con mano quanto poco posiamo comprometersi da nostri Ufficiali di Terra e di Mare, a rivalsa di pochi nessuno ha fatto il suo debito, tutti però lo vanteranno, ogni cosa si porrà in silenzio, ed ad ognuno non mancheranno Protetori.[66]

Intanto tra Genova e Parigi continuano gli scambi diplomatici per raggiungere una soluzione negoziata sulla Corsica prima che le truppe francesi si ritirino dall’isola alla scadenza dei quattro anni previsti dall’accordo di Compiegne.

La Gazette de Cologne del 18 febbraio 1768 riporta alla data del 20 gennaio la seguente interessante notizia da Capraia:[67]

Da quando quest’isola è passata sotto il dominio del generale Paoli, diversi ufficiali scozzesi che sono al suo servizio e fanno parte della guarnigione, nel fare lavorare il terreno, hanno trovato una grossa quantità di antiche monete d’oro e d’argento, coniate sotto il regno dell’imperatore Tiberio. Da ciò si può dedurre che il principe romano frequentasse durante l’estate l’isola.

Il 15 maggio del 1768 a Versailles viene firmato il trattato tra la Francia e la Repubblica di Genova che prevede la cessione della Corsica alla Francia con il diritto di retrocessione per la Repubblica qualora essa ne faccia richiesta e paghi tutte le spese sostenute dalla Francia a partire dalla data del trattato. L’articolo 6 del trattato prevede anche:

Si obbliga il Re di rimettere a mani della Repubblica al più presto che sarà possibile, ed al più tardi nel 1771 l’Isola di Capraja, attualmente in possesso dei Corsi.

Una clausola segreta prevede altresì che la Francia per un periodo di dieci anni si impegna a pagare alla Repubblica di Genova 200.000 lire tornesi all’anno.[68]

Pasquale Paoli affida il comando della guarnigione corsa di Capraia ad Antonio Gentile che già alla fine del mese di giugno licenzia i volontari capraiesi.  La guarnigione corsa di Capraia è formata di circa 150 persone tra ufficiali, sottoufficiali e soldati, tutti corsi. Come bombardieri vengono arruolati cinque capraiesi al comando del caporale Giuseppe Gaetano Chiama. I capitani Nicolò Bargone e Antonio Sabatini con una trentina di marinai capraiesi vengono trasferiti all’Isola Rossa per equipaggiare il felucone L’Entreprenant, che con una mezza galera forma la marina da guerra di Pasquale Paoli.[69]

Subito dopo la firma del trattato di Versailles la Francia inizia l’occupazione della Corsica. Il 19 maggio due battaglioni di truppe francesi sbarcano ad Ajaccio. Il generale Marbeuf ordina alle gondole capraiesi di tenersi pronte per il trasporto delle truppe, ma subito Pasquale Paoli ordina ai capraiesi di disubbidire agli ordini del generale francese. Altri otto battaglioni francesi sbarcano a San Fiorenzo il 27 luglio al comando del generale François Claude Bernard Louis de Chauvelin.

Quando i Corsi si rendono conto che con il trattato di Versailles stanno perdendo la loro indipendenza, per la quale hanno combattuto per trent’anni, si ribellano. Pasquale Paoli prende il comando della rivolta contro i francesi che scoppia nel Capocorso il 29 luglio 1768.

Nel frattempo Antonio Gentili che comanda la guarnigione di Capraia viene richiamato in Corsica da Giuseppe Barbaggi per combattere i francesi e al suo posto viene nominato un certo Astolfi originario di Vescovato nel Capocorso.

Dopo alterne vicende nel settembre i corsi infliggono alle truppe francesi una sconfitta nei pressi di Borgo, paese a sud di Bastia.

L’undici settembre arriva a Capraia con un pinco armato M.de Joannes, ufficiale del reggimento della Linguadoca, inviato dal generale Chauvelin, che dopo brevi trattative con l’Astolfi prende possesso di Capraia, senza sparare un colpo di fucile.[70] I corsi della guarnigione evacuano l’isola e vengono portati a Bastia. I corsi, in armi contro i francesi, arrabbiati con l’Astolfi per la cessione, senza combattere, di Capraia, saccheggiano i suoi beni a Vescovato.[71]

Ma resistenza corsa è di breve durata e non può resistere all’esercito francese ben armato e disciplinato. La libertà dei corsi termina a Ponte Nuovo il 9 maggio 1769 dove le truppe di Pasquale Paoli subiscono una cocente sconfitta. Il 13 giugno il generale corso si imbarca per un lungo esilio in Inghilterra.[72]

Nel settembre del 1768 inizia la prima occupazione francese dell’isola di Capraia che termina solamente nel novembre 1771 quando Genova invia il commissario maggiore Massari a prendere in consegna dai francesi l’isola di Capraia. Il Massari, già a Capraia come capitano durante l’assedio, viene quindi premiato e promosso. Tutt’altra sorte per il commissario Bernardo Ottone che viene sottoposto dalla Camera a presentare diverse memorie per giustificare le spese e i consumi, in modo particolare delle farine, durante l’assedio. Il povero commissario è costretto per mesi a giustificare le spese sostenute durante l’assedio e il compenso straordinario giornaliero di soldi 2.8 da lui accordato ai soldati. Solo nell’agosto del 1768 si decide di tranquillizzare i conti.[73]

L’accanimento contro il commissario Ottone, che valorosamente ha resistito per mesi all’assedio, contrasta con il comportamento del generale Pinello che, nonostante la squadra navale messagli a disposizione, per ignavia o incapacità, non è riuscito a liberare l’isola dai corsi. La classe dirigente della Repubblica, per proteggere uno dei suoi membri, sminuisce il ruolo del valoroso commissario per nascondere il proprio fallimento.

 

 

Roberto Moresco                                                    Febbraio 2018

 

 

Referenze iconografiche

  • Campodonico, La Marineria Genovese dal Medioevo all’Unità d’Italia, Milano 1989: Figg. 5, 6, 7.
  • Moresco, L’isola di Capraia, carte e vedute tra cronaca e storia, Secoli XVI-XIX, Livorno 2008: Figg. 1,2, 8, 9 12.
  • Ragguagli dell’Isola di Corsica, edizione critica di A.-M. Graziani e C. Bitossi, Aiaccio 2010: Fig. 4.

 

Appendice

  1. Guarnigione corsa di Capraia in ADHC, Gouvernement Corse de Pascal Paoli, 2Mi 157 (R12), Garnison del l’isle de Capraia (1767-1768)

Corsi a Capraia – arrivo 17 febbraio 1767
compagnia di Furiani 79
compania di Leonardo Tomasi 24
compagnia di Domenico Agostini 33
compagnia di Luciano Grimaldi 15
compagnia di Franzini 17
compagnia di Achille Murati 14
volontari del Capocorso 93
Cannonieri 1
ufficiali 14
Totale 290

 

Corsi a Capraia – arrivo 22-23 febbraio 1767
compagnia di Giancarlo Saliceti 39
volontari del Nebbio 27
volontari di Ortiporio 3
Totale 69
Corsi a Capraia – marzo 1767
Compagnia di Furiani 78
Compagnia di Giancarlo Saliceti 40
Compagnia di Domenico Agostini 33
Compagnia  di Franzini 17
Compagnia di Luciano Grimaldi 23
Squadra di Gio Giacomo Costa 8
Squadra del sergente Santorino 10
Volontari del Nebbio 53
Volontari del Capocorso 84
Compagnia di Leonardo Tomasi 24
Compania di Achille Murati 13
Bastiesi 2
Ufficiali 17
Cannonieri 3
Totale 405
Corsi a Capraia – aprile 1767
Compagnia di Domenico Agostini 33
Compagnia di Ignazio Rocca 74
Compagnia di Giancarlo Saliceti 40
Compagnia di Scata Angelo 58
Volontari del Nebbio 47
Squadra di Gio Giacomo Costa 7
Compagnia di Agostini 33
Volontari del Capocorso 76
Volontari di Tavagna 15
Compagnia di Franzini 17
Compania di Achille Murati 13
Squadra di Giannettini 12
Compagnia di Luciano Grimaldi 12
Compagnia di Leonardo Tomasi 24
Bastiesi 2
Cannonieri 10
Ufficiali 12
Totale 452
Corsi a Capraia – maggio 1767
Compagnia di Ignazio Rocca 72
Compagnia di Giancarlo Saliceti 39
Compagnia di Scata Angelo 66
Volontari del Nebbio 36
Squadra di Gio Giacomo Costa 7
Compagnia di Agostini 34
Volontari del Capocorso 75
Volontari di Tavagna 12
Compagnia di Franzini 17
Compania di Achille Murati 13
Squadra di Giannettini 12
Compagnia di Luciano Grimaldi 12
Compagnia di Leonardo Tomasi 34
Bastiesi 2
Cannonieri 10
Ufficiali 30
Totale 471
Capraiesi arruolati Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno
Compagnia Sabatini 26 26 18 17
Compagnia Princivalle 28 26 27 27
Compagnia Bargone 26 26 17 17
Totale 80 78 59 62 61
  1. Postazioni dei corsi al 26 marzo 1767 secondo testimonianze

Postamenti Uomini Cannoni Calibro LB Materiale
1 Cala sotto il Convento 50 1 12 bronzo
2 Bagno alla Grotta 20 1 6 ferro
3 Fica 25 1 8 ferro
4 Zorleto 6
5 Civitata 6
6 Ceppo 6
7 Carbicina 6
8 Porcili 6
9 Saline 6
10 Torre Zenobito 9 Soliti
11 Moreto 6
12 Cote 6
13 Reciso 4
14 Manza 4
15 Torre Barbici 8
16 Cala  Motola 25
17 Portovecchio 16
18 Bocca del Porto 12
19 Primo Magazzeno 15
20 Trincea 25 2 18 lega
21 Grotta 12
22 Sotto torre Porto 25 1 6 bronzo
23 Dietro il Convento 10 1 12 bronzo
Totale 308 7

Annotazioni

N° 2 Bagno alla Grotta a questo postamento vi era una strada per passare alla Fortezza, e li corsi l’hanno tagliata a forza di picco, e resa inacessibile.

N° 15 Torre Barbici sopra questa torre i corsi vi vogliono postare due cannoni di ferro da lb 8, che dicono già avere imbarcato al Macinaggio

N° 20 Trincea questa trincea è allo scalo del Porto tutta cinta di fossi.

Nella chiesa dell’Assunta al porto vi tengono i corsi parte de loro viveri e munizioni, oltre quelle che hanno nel paese.

Per chiudere la rottura del mole vi hanni i corsi affondato una gondoletta carica di pietre

Per chiudere la bocca di detto mole hanno i corsi afffondati diversi legni della grossezza dell’alberi delle gondole capraresi, e dalla parte del mole hanno attaccato a detti legni una catena per aprirla , e chiudere a loro piacere.

Delli reparti corsi capraresi armati, non compresi nelli posti fissi, ne hanno formato diversi corpi di pattuglie affine di accorrere secondo le loro situazioni alli di contro postamenti, e specialmente alli posti di marina

 

Note

[1]ASGe, Corsica, n. 427A, lettere del commissario Francesco Doria del 6 e 8 mag. 1765. Il pinco mediterraneo, molto diffuso in Liguria, aveva le seguenti misure tipiche: fra 12 e 30 metri di lunghezza, fra 4 e 7 di larghezza e 2 o 3 di puntale. Normalmente era armato con tre alberi a vela latina, il maestro e il trinchetto con calcese. La gondola era simile a una scialuppa, poteva avere oltre ai remi anche una vela a tarchia. Era molto diffusa nel ponente ligure e in Corsica.

[2]F. Dal Passo, «Amici e non di ventura», Francia e Inghilterra nei documenti della Corsica rivoluzionaria, (1718-1815), vol. II, 2016, p. 29.  Il vicegerente di Bastia aveva il comando militare e amministrativo della città di Bastia. I Serenissimi Collegi, formati da Camera e Senato, erano il massimo organo governativo della Repubblica di Genova.

[3]A. Rossi, Osservazioni storiche sopra la Corsica, Livre XI, 1761-1769, in Bulletin de la Société des Sciences Historiques & Naturelles de la Corse, IV trim. 1902, p. 250.

[4]ASGe (Archivio di Stato di Genova), Corsica, n. 427A, lettera del commissario Bernardo Ottone del 31 gen. 1766.

[5]Ibidem, lettera del commissario Domenico Centurione del 7 e 22 giu. 1766. Per il disegno v. R. Moresco, L’isola di Capraia, carte e vedute tra cronaca e storia, Secoli XVI-XIX, Livorno 2008, p. 120.

[6]N. Calvini, Timori di sbarchi corsi in Capraia (1761-1766), in Archivio Storico di Corsica, n. 3, 1941, p. 393. In questo articolo Nino Calvini fa la cronistoria di quanto avvenne a Capraia prima dello sbarco dei corsi, secondo le fonti di archivio genovesi.

[7]ASGe, Corsica, n. 427A, lettera, con allegati, del commissario Domenico Centurione del 18 sett. 1766.

[8]Ibidem, lettere del commissario Domenico Centurione del 5 e 12 ott. 1766. Il città di Livorno era diventata la base di numerosi esuli corsi che vi godevano l’appoggio del console piemontese Antonio Rivarola, corso di nascita e grande amico di Pasquale Paoli.

[9]A. Rossi, Osservazioni storiche … cit., pp. 247-267.

[10]ASGe, Corsica, n. 427A, lettere del commissario Ottone del 22 ott. e 3 dic. 1766

[11]Ibidem, n. 430, lettera di Gio Batta Bargone del 3 aprile 1774.

[12]Ragguagli dell’Isola di Corsica, edizione critica di A.-M. Graziani e C. Bitossi, Aiaccio 2010, p. 641. In questo libro i curatori hanno raccolto il periodico che venne pubblicato in Corsica per volere di Pasquale Paoli tra il primo settembre 1760 e il luglio 1768. Il direttore del periodico era l’abate Carlo Rostini seguace di Pasquale Paoli.

[13]ASGe, Corsica, n. 427 A, lettera del commissario Ottone del 13 gen. 1767.

[14]Ibidem, n. 430, supplica ed attestato del commissario Ottone del 31 ago. 1767. Il cantaro è pari a kg. 47,6 e lo staro di grano è pari a kg. 22,7.

[15]Ibidem, n. 427A, lettera del vicegerente di Bastia del 9-10 feb. 1767. La feluca nel Settecento era un bastimento misto, a vela e remi. Solitamente aveva fino a una dozzina di coppie di remi utilizzati in caso di bonaccia e per le azioni militari. Il felucone era una grossa feluca.

[16]Ibidem, Segreto, n. 2109, lettera con allegati del commissario di Capraia del 12 feb. 1767.

[17]Ibidem, Sotto relazione del 16 febbraio dei Magnifici Togati sulle pratiche di Corsica del 16 feb. 1767.

[18]Ragguagli… cit., p. 644.

[19]Vedi Appendice per i dettagli.

[20]ASGe, Corsica, n. 430, testimonianze del 27-30 mar. 1774 allegate a lettera di Gio Batta Bargone del 3 apr. 1774.

[21]Ragguagli… cit., p. 644: in realtà i fucili distribuiti dal commissario erano solamente cinquanta.

[22]ASGe, Corsica, n. 430, Ruolo della gente si ritrovava nel Forte di Caprara dal giorno dell’assedio.

[23]Ibidem, Inventario delle munizioni da guerra.

[24]ASGe, Corsica, n. 430, Conto della somministrazione delle razioni in Capraia, Rolo della truppa per la gratificazione di s.2.8 al giorno, Conto delle spese straordinarie fatte dal M.co Commissario Ottone nel tempo del blocco, lettera del generale Gio Batta Cambiaso del 31 ago. 1767.

[25]Ibidem, Segreto, n. 2109, lettera del vicegerente di Bastia del 17 feb. 1767. Le notizie che il vicegerente inviava a Genova non erano mai molto precise, Egli infatti si serviva di informatori che sicuramente facevano lievitare i numeri anche per meglio accreditarsi.

[26]Ibidem, deposizione di Michel’Angelo Agostini del 18 feb. 1767.

[27]Ibidem, Lista delle munizioni da bocca e da guerra imbarcate e pagamenti fatti all’occasione della spedizione del 19 feb. e lettera del generale Pinello del 9 mar. 1767; Ibidem, Corsica, n. 427 A, disposizioni dei Serenissimi Collegi del 19 feb, 1767.

[28]ADHC (Archives Departementales de la Haute Corse), Gouvernement Corse de Pascal Paoli, 2Mi 157 (R12), Garnison del l’isle de Capraia (1767-1768), 1767 a Febraro in Capraia.

[29]ASGe, Segreto, n. 2109, lettera del vicegerente di Bastia del 28 feb. 1767. ADHC, Gouvernement Corse de Pascal Paoli, 2Mi 157 (R12), Garnison del l’isle de Capraia (1767-1768), 1767 a primo maggio in Capraia per la gratificazione di Stefano Tomei. Le notizie fornite dal vicegerente di Bastia sul numero dei corsi che sbarcano a Capraia sono molto più alte della realtà. I rolli della guarnigione corsa di Capraia sono più precisi, V. Appendice.

[30]ASGe, Segreto, n. 2109, deliberazioni dei Serenissimi Collegi e del Minor Consiglio del 28 feb. 1767. Il Minor Consiglio, formato da duecento membri, partecipa con i Serenissimi Collegi alla funzione legislativa della Repubblica di Genova e insieme possono deliberare guerra, pace, ed alleanze.

[31]E. Beri, Genova e il suo Regno, Novi Ligure 2011, p. 170; E. Beri, “Genova ed il  Suo Regno”, Ordinamenti militari, poteri locali e controllo del territorio in Corsica fra insurrezioni e guerre civili (1729–1768), in https://www.academia.edu/10361510, pp. 220 e 244.  I minolli erano grossi leudi trasformati in rudimentali mezzi da sbarco, armati con petrieri e spingarde, e dotati di una copertura in legno a protezione della truppa ammassata sul ponte.

[32]ASGe, Segreto, n. 2109, lettera di Agostino Pinello del 9 mar. 1767. Il disegno di cui si parla nella relazione non si è trovato, ma esiste un disegno simile, probabilmente fatto dall’ingegner Ronco che sostituì il maggiore Codiviola a bordo della galea comandante, v. R.Moresco, L’isola di Capraia … cit., p. 47.

[33]C. Lomellino, Giornale esatto di tutto quello è accaduto nella campagna principiata a’ 5 marzo 1767 con li cinque pinchi armati in guerra, comandati da Cesare Lomellino sotto gli ordini dell’Eccellentissimo Agostino Pinello Commissario Generale di tutto l’Armamento, Manoscitto di collezione privata. Ringrazio il dott. Marco Repetto, direttore della sezione genovese dell’Istituto Internazionale di Studi Ligure che mi ha gentilmente inviato una sua trascrizione del manoscritto.

[34]ASGe, Segreto, n. 2109, relazione dei Serenissimi Collegi del 18 mar. e votazioni del Minor Consiglio del 20 mar. 1767.

[35]La galea per la tipologia del suo scafo non era in grado di navigare con facilità con il mare grosso. A Genova la galea di stato navigava normalmente dal 15 aprile al 15 ottobre e nel resto dell’anno veniva messa a riposo nella Darsena.

[36]ASGe, Segreto, n. 2109, lettera del generale Pinello del 27 mar. 1767.

[37]Ibidem, lettera con allegati, del vicegerente di Bastia del 31 mar.1767. Per gli allegati v. Appendice 2.

[38]Ibidem, lettera del commissario Ottone del 28 mar. 1767.

[39]Ragguagli… cit., pp. 644 e 646.

[40]R. Moresco, L’isola di Capraia … cit., pp. 47 e 121.

[41]C. Lomellino, Giornale … cit.. Darsi il Santo, scambiarsi la parola d’ordine; E. Beri, La Marina da guerra genovese nelle guerre di Corsica (1729-1768), Giornata di studio sul giornale di bordo di Cesare Lomellino Museo di Sant’Agostino, 30 novembre 2012, in http://www.academia.edu/12792430: Cesare Lomellino negli anni Cinquanta del Settecento era emerso quale valente capitano di mare e guerra nelle operazioni di controcorsa antibarbaresca al comando dei bastimenti armati dalla Deputazione all’Armamento contro i Corsari Barbareschi. Il talento del Lomellino corsaro e la sua intraprendenza non erano passati inosservati tanto che, alla fine degli anni Cinquanta, era in procinto di passare al servizio della Francia. Per non farsi sfuggire un capitano di tale levatura ed esperienza i Collegi decisero di affidargli le cariche di Capitano del Porto di Genova e di Sovraintendente all’Arsenale. Si trattò di un incarico sui generis, le cui prerogative andarono oltre le competenze tradizionalmente attribuite al Capitano del Porto. Lomellino divenne di fatto il responsabile degli armamenti straordinari, ovvero sia dell’allestimento che del comando in mare delle flottiglie di bastimenti mercantili noleggiati ed armati in guerra e in corsa; e si occupò anche di fortificazioni, e di difesa costiera, con competenza a ampiezza di poteri.

[42]ASGe, Segreto, n. 2109, lettera del vicegerente di Bastia del 31 mar. 1767. Antonio Oletta era un capitano corsaro al servizio di Pasquale Paoli.

[43]ADHC, Gouvernement Corse de Pascal Paoli, 2Mi 157 (R12), Garnison del l’isle de Capraia (1767-1768), 1767 a Marzo in Capraia v. in Appendice 1 il dettaglio anche per i mesi successivi.

[44]Ibidem, lettera del generale Pinello del 2 apr. 1767.

[45]Ibidem, lettera del vicegerente di Bastia al generale Pinello del 3 apr. 1767.

[46]Ibidem, lettere del generale Pinello del 6, 7, 8 e15 apr. 1767. Al posto del maggiore ingegnere Codiviola viene inviato il capitano ingegnere Ronco.

[47]ASGe, Corsica, n. 430, conto della somministrazione delle razioni in Capraia.

[48]Ragguagli … cit., pp. 646 e 648.

[49]ASGe, Segreto, n. 2109, lettera del vicegerente di Bastia del 6 mag. 1767.

[50]Ibidem, n. 2109, lettera del generale Pinello del 2 mag. 1767; Ragguagli … cit., p. 648.

[51]Ibidem, lettera del generale Pinello del 4 mag. 1767. Il generale non parla del falso tentativo di sbarco alla Mortola compiuto dalla galea e dal pinco genovesi, ma secondo i Ragguagli  le due imbarcazioni furono bersagliate dai cannoni e dalla moschetteria dei corsi che presidiavano la baia. Il sentiero che dalla cala della Civitata porta alla Fica e al paese è oggi scomparso tra la macchia ma un tempo era percorribile. Mi ricordo di averlo percorso, negli anni 50 dello scorso secolo, insieme al Dottore Cristino Teofili sotto la guida di Gerolamo Lupi. La parte del sentiero che scendeva al mare è franata prima del 1842.  Il tenente colonello Antonio Matra è un corso lealista che ha combattuto contro Pasquale Paoli e da lui era stato esiliato, v. E. Beri, L’esercito genovese in Corsica negli anni del generalato di Pasquale Paoli (1755-1764), https://www.academia.edu/12644216.

[52]Ibidem, lettera del colonello Lantiani del 4-5 mag. 1767

[53]Ibidem, Rollo delli tre picchetti volontarij comandati dal M.co Colonello Matra.

[54]Ibidem, lettera del generale Pinello del 4 mag. 1767.

[55]Ibidem, Rapporto del M. Costantino Pinello e Proposizione al Minor Consiglio per la spedizione di 400 corsi del 5 mag. 1767.

[56]Ibidem, Relazione dell’Ill.mo Generale intorno alla missione dei corsi del 9 mag. 1767.

[57]Ibidem, lettera del generale Pinello del 9 mag. 1767.

[58]Ibidem, lettera del capitano de Marchi del 16 mag. 1767 e copia di lettera dei capitani de Marchi e de Franchi, sottoscritta dai capitani Spinola e de Benedetti.

[59]Ibidem, lettera del generale Pinello del 27 e 31 mag. 1767.

[60]Ragguagli … cit., p. 650; Resa consegna, fatta del Forte dell’Isola della Capraia in mano della Nazione Corsa dall’Illustris. Sig. Commissario Bernardo Ottone Comandante in capite del suddetto Forte, Corte 1767, Collezione M. Amirfeiz; N. Tommaseo, Lettere di Pasquale De Paoli, Firenze 1846, p.91.

[61]Ibidem, lettera del generale Pinello del 31 mag. 1767.

[62]Ibidem, copia di lettera scritta dal M.co Bernardo Ottone dalla Caprara e risposta del M.co capitano Cesare de Franchi del 29 mag. 1767.

[63]ADHC, Gouvernement Corse de Pascal Paoli, 2Mi 157 (R12)., Garnison del l’isle de Capraia (1767-1768), 1767 a maggio in Capraia.

[64]C. Lomellino, Giornale … cit.

[65]N. Tommaseo, Lettere … cit., pp. 97-98.

[66] ASGe, Segreto, n. 2109, biglietto di calice del 7 mag. 1767.

[67]Gazette de Cologne, XIII, 18 feb. 1768. Questa notizia potrebbe avere un fondamento in quanto tra le truppe corse vi erano almeno due cannonieri inglesi, come riportato in ADHC, Gouvernement Corse de Pascal Paoli, 2Mi 157 (R12)., Garnison del l’isle de Capraia (1767-1768), 1767 a Febraro e maggio in Capraia. Uno, di nome Berton, nel marzo 1767 lascia Capraia, si reca a Bastia e poi passa sulla flotta genovese, v. ASGe, Segreto, n. 2109, lettera del vicegerente di Bastia del 6 mag. 1767.

[68]G. F. De Martens, Recuil des Traités d’Europe, Tome I, Gottinga 1817, pp. 591-596.

[69]ADHC, Fonds du Governement corse de Pascal Paoli, Gouvernement central, 2Mi 157 (R12) (52), Rôles des équipages des navires de la Flotte (1767-1768).

[70]M. Vergé-Franceschi, Paoli, un corse des Lumières, Parigi 2005, p. 371; F.R. de Pommereul, Histoire de l’isle de corse, t. II, Berna 1779, p. 269, che in quel periodo era ufficiale di artiglieria dell’esercito francese in Corsica, afferma che l’Astolfi fu comprato dal generale Chauvelin.

[71]Gazette de Cologne, Supplement du 11 et 18 octobre 1768.

[72]A.-M. Graziani, Pascal Paoli, Père de la Patrie Corse, Parigi 2004, pp. 242-259.

[73]ASGe, Corsica, n. 430, Relazione ai Serenissimi Collegi sopra la posteriore Commissione riguardo alla tranquillazione di ogni conto economico della Caprja del 14 mag.1768. La Camera è la tesoreria della Repubblica di Genova.

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