L’isola di Capraia sotto il dominio di Pisa (secoli XI-XIV)

Alla morte di Maometto, nel 632 della nostra era, iniziò l’espansione degli arabi: in pochiStemma di Pisa decenni essi conquistarono in oriente la regione caspica, l’India raggiunta attraverso l’altopiano iranico, l’Asia minore e, in occidente, tutta l’Africa settentrionale fino alle sue propaggini atlantiche, abitate dai Berberi che, nel 701, furono assoggettati e convertiti all’Islam.

Nel 711 il generale berbero Târiq ibn Ziyâd attraversò con il suo esercito lo stretto di Gibilterra ed invase la Spagna. Dalla Spagna e dal nord Africa la flotta araba, o saracena come veniva allora chiamata nell’occidente cristiano[1], si mosse alla conquista della maggior parte delle isole e del Mediterraneo occidentale, arrecando, per oltre due secoli, danni alle città e ai monasteri situati lungo le coste europee e, in modo particolare, a quelle italiane.

Il primo attacco saraceno alla Corsica avvenne nell’anno 806 e altri ne seguirono negli anni successivi fino a conquistare l’isola che divenne una loro base militare per attaccare le coste settentrionali del Tirreno. La Corsica rimase sotto il dominio saraceno fino alla metà dell’XI secolo. Stessa sorte toccò alla Sardegna dove tra l’anno 807 e il 1015 i saraceni effettuarono numerosi sbarchi installandosi per un lungo periodo nella parte meridionale dell’isola.

Nell’827 i saraceni tunisini iniziarono la conquista della Sicilia che rimase sotto il loro dominio fino all’avvento dei Normanni.

Nell’890 i saraceni spagnoli sbarcarono sulla costa della Provenza e si installarono a Frassineto (da localizzare nei pressi dell’attuale Massiccio dei Mori) da dove partivano per le loro razzie in Piemonte.

Nel 934 Genova fu attaccata da una spedizione araba partita da Mahdia, la città venne messa a ferro e fuoco e gli abitanti sopravissuti alla strage vennero fatti prigionieri.[2]

Poche sono le fonti che documentano gli avvenimenti di questo periodo e in modo particolare la sorte delle isole dell’Arcipelago Toscano dove a partire dal IV secolo dell’era cristiana si erano installate fiorenti comunità monastiche.[3] Di queste comunità e degli abitanti delle isole dell’Arcipelago non si hanno più notizie nel periodo che va dall’arrivo dei saraceni nell’Alto Tirreno fino agli ultimi anni dell’ XI secolo: è probabile che i monasteri siano stati distrutti e che gli abitanti siano stati uccisi o fatti schiavi.

Nel secolo XI, però, le città costiere dell’Italia settentrionale cominciarono a reagire agli attacchi saraceni e prima di tutte la città di Pisa, che non esitò a organizzare spedizioni vittoriose anche in zone lontane dalle coste del suo territorio: in Calabria nel 1005, in Sardegna nel 1015 e 1016, a Bona, in Africa, nel 1054, a Palermo nel 1063, ed a Mahadia, nel golfo di Gabes in Tunisia, nel 1087 insieme ai Genovesi.

Nello stesso secolo si svolse la guerra dei Pisani contro i saraceni per liberare la Corsica, la Sardegna e le isole dell’Arcipelago Toscano dai corsari che vi si erano insediati.[4]

Il risultato della riconquista delle due isole maggiori e dell’Arcipelago Toscano appare chiaramente nel trattato di pace del 1149 tra Pisa e il re di Valencia, nel quale vengono indicati i possedimenti marittimi di Pisa nell’alto Tirreno: Sardegna, Corsica, Giglio, Giannutri, Montecristo, Pianosa, Elba, Capraia e Gorgona, quasi a definire i confini marittimi del dominio pisano.[5]

Mentre Pisa consolidava il suo dominio nel Tirreno settentrionale inevitabilmente si venne a trovare in forte contrasto con Genova che a sua volta stava sviluppando i suoi commerci marittimi. Nonostante uno sforzo congiunto per portare un duro colpo ai saraceni con la vittoriosa impresa di Mahadia, i primi screzi nacquero per l’interesse commerciale e strategico che entrambe le città avevano per la Corsica e la Sardegna.

I primi scontri per la Corsica iniziarono nel 1119 e si conclusero nel 1133 con una pace che durò fino al 1162 in quanto entrambe le città erano impegnate su altri fronti e, in modo particolare, a rafforzare la loro presenza nel Levante. Con il trattato del 1133, promosso dal pontefice Innocenzo II, Pisa ottenne che i diritti metropolitani della sua chiesa fossero estesi alle diocesi di Massa Marittima, e a due diocesi in Sardegna; inoltre il suo arcivescovo divenne legato apostolico su tutta la Sardegna. La diocesi di Massa Marittima che aveva inglobato quella di Populonia comprendeva anche le isole dell’Arcipelago Toscano, e quindi Capraia.[6]

Nel 1162, a Costantinopoli, scoppiò la scintilla che provocò una lunga guerra che si svolse prevalentemente nel Tirreno. Un migliaio di Pisani attaccarono trecento mercanti genovesi che, per salvare la loro vita, abbandonarono i loro beni e fecero ritorno in patria. Genova organizzò una spedizione punitiva contro Pisa che portò a numerosi scontri in mare. In uno di questi scontri che si svolse nell’Arcipelago Toscano, il 22 luglio le galee genovesi incendiarono Capraia, per rappresaglia e per eliminare una base pisana.[7]

Due episodi citati dall’annalista genovese Oberto Cancelliere testimoniano che Capraia era un sicuro punto di approdo della flotta da guerra pisana. Nel 1166 i Genovesi armarono una flotta di sette galee al comando del console Ansaldo di Trenquerio perché intercettasse tre galee pisane che si erano recate in Provenza dove avevano catturato una piccola imbarcazione di Savona ed avevano affondato altri legni minori. Il console Trenquerio diresse la sua flotta verso l’Arcipelago Toscano e sorprese cinque galee pisane che erano alla fonda in Capraia. Le galee pisane alla vista della flotta, levarono le vele dandosi alla fuga e sfuggirono alla cattura approfittando del calare della notte. Nel 1169 il console genovese Anselmo Garrio che voleva intercettare una galea pisana, che si riteneva fosse andata in Provenza inviò, due galee a Capraia, due a Gorgona, e due in Corsica.[8]

Nonostante il continuo stato di belligeranza con Genova, Pisa non rinunciò a proteggere i suoi interessi commerciali: nel 1184 strinse un trattato di pace e di commercio con Abu-Hibrahim Ishak signore delle isole Baleari; nel 1186 un analogo trattato venne firmato con Abu-Yousouf-Yacoub, figlio del califfo almohade, per il commercio dei pisani a Ceuta, Orano, Bugia e Tunisi.

In entrambi i trattati venne ribadito che i possedimenti pisani oltre la terraferma comprendevano le due isole di Corsica e Sardegna e tutte le isole dell’Arcipelago Toscano.[9]

Da alcuni decenni Pisa aveva iniziato a sostenere la politica italiana degli imperatori tedeschi, sostegno che venne ricompensato nel 1162 con un Privilegio di Federico I «Barbarossa» che concesse in feudo alla città gran parte della costa toscana. Nel 1191 l’imperatore Enrico VI figlio del Barbarossa ribadì il privilegio concesso dal padre, estendendolo però alle isole dell’Arcipelago Toscano e alla Corsica.[10] Privilegio che nella stessa forma verrà confermato dall’imperatore Ottone IV nel 1209.[11]

Man mano che Pisa andava affermando il suo dominio sulle isole dell’Arcipelago nuovi abitanti, provenienti probabilmente dal continente, si unirono ai pochi sopravissuti dalle scorrerie ed occupazioni saracene. Una delle prime isole a riprendere vita è Gorgona dove intorno  alla metà dell’XI secolo si insediarono i benedettini che vi fondarono il monastero di S. Gorgonio. I monaci benedettini della Gorgona svolsero probabilmente anche un’azione missionaria sia in Corsica sia nelle isole dell’Arcipelago. In terraferma fondarono il monastero di S. Vito a Pisa, mentre in Corsica la loro attività è testimoniata dalle numerose chiese da loro possedute nel XII secolo.[12]

È molto probabile che la pieve di Santo Stefano di Capraia, di chiaro stile romanico-pisano, sia stata costruita nel secolo XII ed affidata ai benedettini di S. Gorgonio. Questa attribuzione ci sembra essere confermata da due documenti originali, provenienti dal monastero della Gorgona, che parlano del prete Bonaccorso. Questi era un pisano, già cappellano della chiesa di S. Damiano nel Capo Corso che nel 1202 prese l’abito benedettino a Pisa nel monastero di S. Vito. Nel 1224 mentre era a Capraia come «plebanus ecclesie Sancti Stefani de Capraia» fece testamento, nel monastero di S.Vito a Pisa, a favore dei nipoti dei beni che possedeva in quella città. La scelta del luogo dove costruire la chiesa è probabilmente connesso all’insediamento dei monaci nella stessa località nell’alto medioevo.[13]

 048-S.Stefano 2

Pieve di Santo Stefano al Piano (foto F. Guidi)

La presenza di una pieve e del suo pievano dimostra che ormai l’isola si era ripopolata e che si era formato un piccolo paese, anche se non sappiamo se inizialmente esso sorse attorno alla pieve. Forse più tardi, per essere meglio protetti, gli abitanti costruirono le loro case nel massiccio roccioso che tuttora si erge sul braccio di levante del più ampio golfo dell’isola.

Come testimoniato da diversi documenti la chiesa di S. Stefano fu per diversi secoli la parrocchia titolare dell’isola. La chiesa, nel corso dei secoli subì numerosi rimaneggiamenti anche a seguito delle incursioni dei corsari barbareschi, nel 1540 e nel 1624, e successivamente lasciata cadere in abbandono ed utilizzata con il terreno circostante come luogo di sepoltura. L’ultimo restauro del 1970 con il rifacimento con tegole del tetto e il ripristino della facciata hanno alterato l’aspetto primitivo della chiesa e solo l’abside e parte dei muri laterali si possono far risalire al periodo pisano.[14]

Per quanto riguarda la consistenza della popolazione abbiamo i documenti ecclesiastici relativi al pagamento delle decime nella diocesi di Massa Marittima.[15] Nell’anno 1298 le «Plebes de Capraria» versano cinque lire e cinque soldi, importo notevole se si confronta con le altre plebi della diocesi dove solo Piombino versa un importo superiore, indice questo della presenza di una popolazione pari se non superiore a quella di molti paesi della diocesi.[16] Negli anni 1302-1303 le decime versate dalle plebi di Capraia scendono a due lire e 10 soldi, ma questa diminuzione corrisponde a quella delle altre plebi della diocesi.[17]

Sempre nel XII secolo venne costruito il muro a difesa delle case del piccolo villaggio che si era formato sulla costa di levante e che si affacciava sul maggior golfo dell’isola, dove si trovava uno scalo naturale protetto dal mare e dai venti. Di questo muro si erano perse le tracce e solo i recenti scavi archeologici all’interno della cortina della fortezza eretta dai Genovesi nel Cinquecento ne hanno riportato alla luce un breve tratto. Questo muro permetteva ai Capraiesi di difendersi dagli attacchi esterni dei pirati. Esso dimostrò la sua efficacia in diversi episodi dei primi decenni del XVI secolo: l’assedio di Giacomo da Mare nel 1504, l’attacco del corsaro turco Kemal Rais nel 1506, e poi, nel 1540, l’attacco di Dragut che dopo una resistenza di quattro giorni dei Capraiesi riuscì a sfondare il muro e penetrare nel paese distruggendolo. Una descrizione di questo muro ci è stata tramandata dal Capitano Genesio da Quarto che fu inviato a Capraia dalle Compere di San Giorgio, sempre nel 1540, per costruirvi il nuovo forte: «da un pianoro di roccia comincia l’ascesa non troppo ripida verso questo ammasso roccioso e in questa prima ascesa anticamente è stato fatto un taglio nella roccia alto circa 3 metri quasi dritto da un lato all’altro del precipizio. Su questa roccia tagliata è stato fatto un muretto spesso 60 centimetri circa ed alto circa 1,70 metri. All’interno di questo primo muretto ad una distanza di circa 2,7 metri è stato costruito un muro che serviva di difesa del paese e al quale si appoggiavano delle case».[18]

Il Capitano decise quindi di costruire la cortina al posto del primo muro di difesa del paese pisano, e di non demolire il muro interno, quello rinvenuto durante gli scavi, che serviva a rafforzare dall’interno la nuova cortina.[19]

 Forte-muro pisano

Forte di Capraia – Scavi, area 3000 – 1, Muro pisano del XII sec.; 2, muro di una casa ante Dragut; 3, panca XVIII secolo; 4, restauro XX secolo su muro post Dragut

Nel corso del XIII secolo Pisa si vide confermare il suo dominio sulle isole dell’Arcipelago con i privilegi degli imperatori Ottone IV nel 1209 e Federico II nel 1220. Anche i reami saraceni che strinsero accordi di pace e commercio con Pisa riconobbero le isole come parte del territorio della Repubblica.[20]

Con l’ascesa al trono del Regno di Sicilia di Federico II (1194-1250) nel 1198 inizia un periodo di scontri tra quest’ultimo e il papato. Pisa si schierò decisamente in favore di Federico II e ne divenne un alleato fidato rinfocolando così la guerra con Genova, schierata con i vari papi che si successero in quel periodo.

Nella primavera del 1241 una flotta genovese che trasportava diversi cardinali e vescovi europei a Roma per un sinodo indetto da papa Gregorio IX venne sorpresa al largo dell’isola del Giglio da una flotta siculo–pisana al comando di Ansaldo da Mare, un rinnegato genovese che era diventato ammiraglio di Federico II. La flotta genovese fu rapidamente soprafatta, Due cardinali e numerosi vescovi furono presi prigionieri e i genovesi persero ventidue delle loro galee con il loro ricco carico.[21]

Nel giugno del 1243, alla morte del papa Gregorio IX venne eletto come suo successore il genovese Sinibaldo Fieschi che prese il nome di Innocenzo IV. Il suo pontificato iniziò con l’obiettivo di raggiungere un accordo con Federico II. Allo scopo delegati delle due parti diedero inizio a delle trattative che dovevano risolvere i numerosi punti di contrasto legati a problemi territoriali, alla supremazia delle due entità, impero e papato, al diritto di dare e revocare la scomunica, alle alleanze con le città lombarde.

Le trattative si protrassero per diversi mesi fino al giugno dell’anno successivo quando i due contendenti si apprestarono a convergere su Narni dove dovevano incontrarsi per siglare un accordo di pace. Ma Innocenzo IV non si fidava dell’imperatore: uscito da Roma, aveva preso inizialmente la via del Nord ma poi ritornò sui suoi passi, si diresse verso Sutri e con una piccola scorta puntò su Civitavecchia dove lo attendevano delle galee genovesi. Nonostante il pericolo di incontrare la flotta siculo-pisana e il rischio di essere catturato, come era accaduto ai cardinali due anni prima, il pontefice, sette cardinali e poche altre persone del suo seguito si imbarcarono su una delle galee genovesi. La flotta genovese fece rotta verso nord per raggiungere Genova, ma incappò in una tempesta e il primo luglio la flotta fu costretta a ripararsi nel porto di Capraia, possedimento pisano, per pernottarvi. Il giorno dopo il pontefice diede l’assoluzione a tutti i presenti e assistette alla celebrazione di una messa in onore della Beata Vergine. Subito dopo la funzione la flotta genovese ripartì, nonostante il cattivo tempo, per il timore di incontrare le galee siculo-pisane. Il pontefice, dopo una sosta a Portovenere raggiunse Genova l’otto luglio.[22]

Questo episodio, riportato del cronista inglese Matteo Paris, è importante per due ragioni. La prima, perché conferma che l’isola era possedimento di Pisa e che solo a causa della tempesta le galee genovesi decisero di sostarvi, la seconda perché testimonia l’esistenza della chiesa del porto dedicata già in quei tempi alla Beata Vergine.

Anche dopo la morte di Federico II la guerra tra Pisa e Genova continuò in quanto entrambe miravano alla supremazia nel Tirreno settentrionale e al possesso della Corsica e della Sardegna.

All’inizio del 1283 Pisa armò otto galee e otto barche per portare truppe in Corsica per attaccare i Genovesi che occupavano gran parte del Capo Corso. Venuti a conoscenza di quanto si stava preparando, i Genovesi armarono nove galee al comando dei capitani Idetto Mallone e Montanario Squarzafico, ai quali furono consegnate istruzioni da aprirsi solo quando arrivati a Capraia, senza rivelare loro la consistenza della flotta pisana. Giunti all’isola verso sera, di nascosto inviarono a terra un esploratore il quale, salito su uno dei monti, riferì di aver scorto diciotto vele che reputava galee. I due capitani, che non avevano ancora aperte le istruzioni, presero la fuga verso Bonifacio. Qui giunti, con grande scorno, aprirono le istruzioni e si resero conto che la flotta pisana era di entità inferiore alla loro.[23]

Nell’anno successivo, il 1284, avvenne lo scontro decisivo tra le due Repubbliche marinare: il 6 agosto nei pressi della Meloria si scontrano le due flotte, quella genovese divisa in due squadre comandate rispettivamente da Oberto Doria e Benedetto Zaccaria, e quella pisana comandata dal veneziano Albertino Morosini, podestà di Pisa. Fu uno scontro cruento terminato con la vittoria genovese e che procurò a Pisa migliaia di morti, prigionieri, e ingenti rovine alla flotta e alle macchine da guerra.

Dopo lunghe trattative, il 15 aprile 1288, fu firmato un trattato di pace nel quale Genova impose a Pisa dure condizioni, che contemplavano concessioni territoriali, pene pecuniarie e restrizioni alla navigazione; nel Tirreno erano previste cessioni territoriali in Sardegna, rinuncia definitiva ad ogni rivendicazione sulla Corsica, e per quanto riguarda le isole toscane, Pianosa doveva rimanere priva di abitanti, nell’isola d’Elba doveva cedere un castello nel quale Genova avrebbe posto una guarnigione mantenuta a spese di Pisa.[24] Non si parla di Capraia o delle altre isole perché evidentemente esse per Genova non avevano alcuna rilevanza strategica.

Le ostilità tra Pisa e Genova continuarono, anche se alternate da lunghi periodi di tregua, fino agli anni quaranta del XIV secolo quando le due città stipularono un trattato di alleanza.

In questo secolo Pisa, città ghibellina, fu costretta a confrontarsi con la nascente potenza di Firenze, città guelfa, che mirava ad ottenere condizioni di particolare privilegio per i suoi mercanti e per le merci di passaggio per Pisa e Porto Pisano.

La guerra tra Pisa e Firenze si svolse anche per mare: nell’agosto del  1362, Firenze ottenne l’aiuto di due galee di Nicola Acciaiuoli, gran siniscalco del regno di Puglia, che andarono in corsa e che «assai affannarono i Pisani, no lasciando nel porto di Pisa legno che no pigliassono, rubassono e ardessono: e all’isola della Capraia scesono in terra, e levarono preda di mille capi di bestie e il simile feciono a Gilio e a Vada per tutta quella marina dove danni di preda d’arsioni poterono fare, a grande onore del Comune di Firenze».[25] Il bestiame di cui parla il cronista era probabilmente costituito da bovini e capre. La pressione di Firenze su Pisa si fece sempre più stretta imponendo anche trattati commerciali giugulatori finché nell’agosto del  1405 Firenze assediò la città che fu costretta alla resa il 9 ottobre del 1406. Fu questa la fine dell’indipendenza della città.

In precedenza, il 3 ottobre del 1406, nelle trattative sui patti di resa di Pisa ai Fiorentini, Giovanni Gambacorti, Capitano del Popolo, prometteva di cedere Pisa a Firenze, chiedendo per sé di essere fatto cittadino fiorentino, 50000 fiorini, il vicariato di Santa Maria in Bagno, e le isole di Capraia, Gorgona e Giglio. Dobbiamo presumere che il Gambacorti non prese mai possesso dell’isola di Capraia: infatti, nel 1407 la Signoria di Firenze ordinò a Filippo Salviati, capitano delle galere fiorentine nel Tirreno, di prendere l’isola di Capraia «con forza ed ingegno».[26] È probabile che Simone De Mari, nel periodo della guerra tra Firenze e Pisa, approfittando della debolezza di quest’ultima, abbia occupato l’isola che però, nel 1413, dovette restituire al Gambacorti, secondo le clausole del trattato tra Genova e Firenze che sanciva la pace tra le due città, dopo la guerra per il possesso di Portovenere e Sarzana.[27]

Nel febbraio del 1430, Simone De Mari s’impossessa definitivamente di Capraia come attesta lo storico Giovanni Dalla Grossa, che in quel periodo era il suo cancelliere.[28]

I De Mari erano una delle più antiche famiglie genovesi che si era insediata nel nord del Capocorso verso la metà del Duecento: nel 1246 Ansaldo De Mari, ammiraglio di Federico II, acquistò, per 2000 lire genovesi, il castello di San Colombano e altri castelli in Corsica.[29]

 Come già detto, la documentazione storica su Capraia dagli albori del secondo millennio alla fine del XIV è quasi inesistente perché molti documenti del periodo pisano sono andati perduti.

È però evidente che in questo periodo vi fu una continuità nell’appartenenza di Capraia al dominio della Repubblica di Pisa, che non venne meno neppure dopo la sconfitta della Meloria. Non fu probabilmente un governo diretto dell’isola perché non risulta la presenza di soldati pisani a presidiarla o che vi fosse un podestà pisano. L’isola veniva probabilmente gestita dall’Universitas o Comunità degli abitanti con degli statuti approvati da Pisa. È infatti la Universitas di Capraia che trattò l’atto di vassallaggio con Simone De Mari come appare in una supplica dei Capraiesi del 1506 nella quale fa risalire la sua origine a tempi lontani: « Davanti a voi Magnifico Officio de Sancto Georgio compare Manuelo de Piero e Antonio de Piero remesi e mandati da la unniversita e homini de la insola de Capraia a nome de li quali dicono che consi sia che per Spano de Agni se fusino datti sotto la protecione de li antecepsori de detto Jacobo de Mare Signore di Capo Corso sotto pacti e convencione imperitura che da li sopradetti non potessimo essere gravati comodo cumque a maiore gravesa de sacha sexaginta de biave [biade] per ciaschaduno anno chome pare in la scriptura de essa convenzione».[30]

Degli abitanti e della loro economia durante il dominio pisano sappiamo ben poco. Possiamo dedurre che vivessero essenzialmente dell’allevamento del bestiame e della produzione di poche granaglie appena sufficienti per la popolazione, e di un poco di pesca fatta con delle piccole imbarcazioni. È probabile però che vi fossero numerosi vigneti con una buona produzione di vino, parte del quale veniva esportato nelle isole vicine e in Maremma, come accadde nei secoli successivi.

Roberto Moresco                                                                              11 febbraio, 2013

[1]J.Tolan, Les Sarrasins, Parigi 2003, p. 40: secondo Sant’Isidoro il nome Saraceni deriva loro in quanto discendenti di Sara, moglie di Abramo.

[2]Sulla storia di questo periodo vedere: J.Tolan, Les Sarrasins, cit.; D. Abulafia, The great sea, Londra 2011, M. Vergé-Franceschi, Histoire de Corse, Des origines au XVIIesiècle, Tome I, Parigi 2000, G. Volpe, Il Medioevo, Bari 1999, AA.VV., Storia di Genova, Mediterraneo Europa Atlantico, Genova 2003;O Banti, Breve storia di Pisa, Pisa 2005; G. Benvenuti, Storia della Repubblica di Pisa, Pisa 2003.

[3]R. Moresco, Monachesimo a Capraia nell’Alto Medioevo, in http://www.storiaisoladicapraia.com.

[4] La documentazione su questo periodo è quasi inesistente.

[5]M. Amari, I diplomi arabi del R. Archivio Fiorentino, Firenze 1863, pp. 239-240: «… Quod mei homines…aufendere a monte qui Corvus, in terra neque in mari, neque innisula Sardinea, neque in Corsica, neque in Gilio, nec in (Iann)uti, neque in Monte Christo, nec in Planosa, neque in Elba, nec in Capraria, neque in Gorgona, et in homnibus locis in terra sive in mari ubi Pisanos illocumque homines inveneris, averes et pesonas salvas facere debent …».

[6] L’isola di Capraia ha fatto parte della dicesi di Massa Marittima fino al 1817.

[7]Di questo episodio parla Bernardo Marangone, Gli Annales Pisani di Bernardo Marangone, Rerum Italicarum Scriptores, …, p. 27 che pone l’avvenimento nel 1163: « D. MCLXIII, XIII kal. Iulii, Pisanis in pace commorantibus, et nullum apparatum triremium habentibus, Ianuenses XXV galeas habentes, diffidentiam, per litteras eorumque nuntios indixerunt, et rupto pacis federe, cum periurio nefandissimo guerram crudelissimam cum eis ex inproviso inceperunt. Caprariam XI kal. Iulii igne succenderunt».

Annali Genovesi di Caffaro e dei suoi continuatori, Caffaro, vol. I, Genova 1923: pp. 93-94, pone l’episodio nel 1162 e non menziona l’incendio di Capraia. Anche P. Tronci, Annali Pisani, Pisa 1828, p. 160, pur rifacendosi al Marangone e citando l’incendio di Capraia pone l’episodio nel 1162.

[8] Oberto Cancelliere, Annali Genovesi di Caffaro …, cit., vol. II, pp. 69 e 123.

[9] M. Amari, I diplomi arabi …, cit., pp. 230-236 e 17-22.

[10] L. Weiland, J. Schwalm, M.Kühn, Monumenta Germaniae Historica, Hannover 1893: Conventio cum Pisanis del 6 aprile 11 1162, pp. 282-292; Conventio cum Pisanis del 1 marzo 1191, pp. 472-477.

[11] F. dal Borgo, Raccolta di scelti diplomi pisani, Pisa MDCCLXV, pp. 28-32.

[12] S. P. P. Scalfati, Corsica Monastica, Pisa 1992, pp. 63 e 96.

[13] R. Moresco, Monachesimo a Capraia …, cit..

[14] A. Riparbelli, La chiesa romanica di S. Stefano protomartire in Capraia Isola, Firenze 1975.

[15]La decima parte del raccolto o del reddito di qualsiasi attività che, secondo le epoche e le usanze, veniva pagata come tributo al sovrano, al feudatario, alla Chiesa.

[16] P. Guidi, Tuscia, La decima degli anni 1274-1280, Città del Vaticano 1932, pp. 147-149

[17] M. Giusti, P. Guidi, Tuscia, La decima degli anni 1295-1304, Città del Vaticano 1942, pp. 193-196.

[18]Trascrizione in italiano moderno. Il testo originale in R. Moresco, Capraia sotto il governo delle Compere di San Giorgio ( 1506-1562), Atti della Società Ligure di Storia Patria XLVII, I, 2007, p.382.

[19] Sugli scavi e la foto v. M. Milanese, M. Febbraro, A. Meo, Lo scavo archeologico del Forte San Giorgio a Capraia, in Un’isola “superba” Genova e Capraia alla riscoperta di una storia comune, Genova 2012, pp. 49-54; Per a storia di Capraia nel XVII secolo v.  R. Moresco, Capraia sotto il governo delle Compere …, cit., pp.357-428.

[20] M. Amari, I diplomi arabi …, cit., pp. 292-302: nei trattati di commercio con i re di Tunisi del 1234 e 1265, nei confini del dominio pisano vengono incluse la Corsica, l’Elba, Capraia, Giglio , Montecristo e Pianosa.

 [22] Monumenta Germaniae Historica, Tomo XXVIII, Hannover 1888, p.243. Nella Chronica Majora di Matteo Paris (1200-1259) monaco inglese il viaggio è così descritto: «Intravit igitur unam galea rum illarum dominus papa sero cum 7 cardinalibus et paucis aliis comitantibus. Et vix magnum mare intraverant navigantes, ecce occupat ipsos tempestas validissima, non tamen ex adverso, et erectis velis, non sine maximo timore et periculo, eadem via qua navigantes capti erant prelati, per 100 miliaria, die Veneris sequenti, compellante tempestate rapti, applicuerunt in portu insule cuiusdam Pisanorum, ibidem pernoctantes. In crastino vero omnibus a peccatis suis absolutis, et audita missa de beata virgine, temente vehementer Pisanos, raptim se ad insulam Ianuensium provehebant, scilicet centum et viginti quatuor miliari bus ipso die peractis. Et vix pre tempestates evadentes, venerunt ad Portum-Veneris, ubi moram fecerunt die dominica et die Lune; die vero Martis pervenerunt Ianuam letabundi».

[23]Annali Genovesi di Caffaro e dei suoi Continuatori, Jacopo Doria, vol. VIII, Genova 1930, pp. 69-70.

[24] Liber Iurium Reipublicae Genuensis, in Historiae Patriae Monumenta, II, Torino 1857, pp. 127-164. Su questo trattato anche O. Banti, I trattati fra Genova e Pisa dopo la Meloria fino alla metà del secolo XIV. Genova, Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento, Atti della Società Ligure di Storia Patria, XXIV,II, 1984, pp. 351-366.

[25] M. Villani, Cronica di Matteo Villani, Tomo II, Firenze 1846, p. 421.

[26] Gli accordi tra G. Gambacorti e la Repubblica Fiorentina in P.Tronci, Annali Pisani, Pisa 1828, p. 199; la lettera di F. Salviati in I. Manetti Bencini, Firenze e le isole della Capraia e della Pianosa, Archivio Storico Italiano, XIX (1897), p. 114.

[27]A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, Genova 1537, cart. CLXXVv e CLXXVIv-CLVIIr; Liber Iurium Reipublicae Genuensis …, cit., pp. 1410-1438, trattato tra Genova e Firenze del 27 apr. 1413.

[28] G. Della Grossa, Croniche, Bulletin de la Société des Sciences Historiques et Naturelles de la Corse, 1907, p. 288. J.-A. Cancellieri, De Mari, Simone, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 38, fa risalire il dominio dei De mari su Capraia agli inizi del secondo decennio del Quattrocento.

[29] M. Vergé-Franceschi, Le Cap Corse, Généalogies et destins, Aiaccio 2006, p.35. Per la storia

successiva v. R. Moresco, L’isola di Capraia dal dominio dei De Mari a quello del Banco di San Giorgio, in Un’isola “superba, Genova e Capraia alla riscoperta di una storia comune, Genova 2012, 19-31.

[30] Archivio di Stato di Genova ( ASG), S. Giorgio, Primi Cancellieri, n. 81, doc. 347-348, supplica di Manuello di Piero e di Antonio di Piero, a nome della Università di Capraia, ai Protettori delle Compere [suprema magistratura del Banco di San Giorgio] del 18 maggio 1506.

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