Un ricordo di Paolo Karim Amirfeiz

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Karim ci ha lasciati: il suo lungo viaggio in questo mondo è finito.  Oggi potremmo pensare che lo aveva previsto, quando, lo scorso anno, si era impegnato a scrivere e a far pubblicare la sua autobiografia (“Un lungo viaggio: Teheran, Firenze e Genova”).  A me fu chiesto di curarne la presentazione agli amici più stretti, sia a Firenze, sia a Capraia, cosa che accolsi con piacere e che mi offrì l’occasione non tanto di conoscere per primo gli avvenimenti che hanno caratterizzato la sua vita, quanto piuttosto di penetrare più a fondo nel suo mondo interiore.
Ed è così che, frugando nella memoria, ho pensato di riproporre, per quegli stessi amici, almeno un po’ di quello che mi venne di dire allora e che penso possa ora servire per rendere più nitido il suo ricordo.
Stimolato forse dalla passione che Karim dice di aver nutrito per il romanzo “Sinuhe l’egiziano “, ho definito e definisco ancora questa sua autobiografia ”una piccola piramide”, una piccola piramide costruita, però, non con i macigni della vanagloria, ma con i più modesti mattoni dei ricordi di una vita spesa per il lavoro e per gli affetti familiari.  Sì: sono convinto che l’ambizione di Karim fosse solo quella di lasciare un ricordo di sé ai suoi parenti, ai suoi amici e, soprattutto, ai suoi nipoti, come una sorta di guida per affrontare la vita con il suo stesso impegno, con la sua stessa maturità e, in particolare, con la sua stessa modestia.  Non a caso, del suo successo, Karim ha generosamente attribuito gran parte del merito a due donne: prima sua madre Pouran, poi a sua moglie Bruna.
Sua madre che lo aveva educato e che forse, convinta per sua cultura dell’esistenza di un destino predeterminato (“quadar”), ne aveva previsto le doti come evidenzia il nome da lei per lui prescelto: Karim, il 43esimo dei 99 nomi noti di Allah e che significa “il generoso”.
Sua moglie Bruna che si sarebbe “degnata” – come lui stesso non esita a scrivere – di accettarlo prima come compagno di studi, poi come amico e, poi, infine, come marito, aprendogli così la strada per una comune carriera di successo nel campo dell’architettura e, quindi per prestigiose relazioni nella società civile e imprenditoriale del suo paese adottivo.
Successo e relazioni che nulla hanno modificato della sua personalità, rimasta quella di un uomo profondo e impegnato sì, ma buono e semplice, come hanno evidenziato la sua disponibilità all’amicizia, il calore dei suoi rapporti umani, la sua lontananza da ogni albagia, il suo amore per la vita di campagna, il gusto di coltivare un orto, di fare di un isola a suo tempo semiabbandonata e diruta come Capraia il suo prediletto luogo di vacanza. Non ha stupito, così, il suo accostarsi, nel periodo degli anni della maturità, alla nostra religione, ad un Dio solo amore, come quello che ci ha proposto il Cristo, fino a divenire per battesimo “Paolo”, “Paolo Karim, “Paolo… il generoso”.  Generoso e sensibile sì, come rivela uno dei brani del poeta Saadi che credo non a caso abbia scelto per corredare la sua autobiografia:

Son membra di un corpo solo i figli di Adamo,
Da un’unica essenza quel giorno creati.
E se uno tra essi a sventura conduce il destino,
per le altre membra non resta riparo.
A te che per l’altrui sciagura non provi dolore,
non può essere dato nome di Uomo.

Superfluo dire che ci mancherà.  Il tempo passa, del nostro gruppo di amici che come lui hanno scelto Capraia come luogo del cuore, altri sono scomparsi, tutti inevitabilmente scompariremo.  Non di tutti, forse, resterà un ricordo così intenso, non di tutti, forse, resterà una rimpianto altrettanto profondo.
Folco Giusti

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Una risposta a Un ricordo di Paolo Karim Amirfeiz

  1. Mariella Ugolini ha detto:

    Dalle sue parole, caro ingegnere, emergono stima e affetto. Sentite condoglianze alla famiglia.

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