1552 – Silvestro Landini e Emanuele Gomez de Montemayor: due gesuiti a Capraia nel Cinquecento

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Premessa

Alla metà del XVI secolo la situazione religiosa nell’isola di Corsica era in un così deplorevole stato da destare serie preoccupazioni tra i Protettori delle Compere di San Giorgio: un clero allo sbando, con preti che vivevano in concubinaggio e si circondavano di numerosa prole illegittima, che ignoravano le più elementari regole ecclesiastiche e le sacre scritture, che praticavano attività lucrative, una popolazione che non rispettava le più elementari forme di culto e che sovente si dedicava a pratiche magiche.[1]

Alla fine del 1551, anche a seguito delle relazioni e delle richieste di intervento di Lambda Doria, governatore di Corsica, i Protettori delle Compere si rivolsero al generale dei Domenicani, Stefano Usodimare, un genovese, per ottenere dal pontefice Giulio III un  intervento atto a riportare il clero e la popolazione dell’isola di Corsica sul retto cammino. Il generale dei Domenicani chiese aiuto ai due cardinali Giovanni Gerolamo Morone e Giovan Battista Cicala, genovese, per ottenere dal pontefice l’intervento richiesto pressantemente dai Protettori. Questi, in una lettera del gennaio 1552, così scrissero al cardinale Morone:

«Il Reverendo padre Steffano Usodimare ci ha data notitia del buon ufficio che la S. V. R. ma ha fatto con la Santità di N. Signore perché sia proveduto al poco regolato vivere de preti dell’isola nostra di Corsica et alle altre cose anchora che gli bisognano a beneficio e salute delle anime che sono in quella si come sommamente desideriamo».[2]

Nel giugno, il Pontefice decise di inviare in Corsica due gesuiti, «due preti riformati di buona dottrina».[3] In ottobre, i due gesuiti, Silvestro Landini ed Emanuele Gomez de  Montemayor arrivarono a Genova e subito i Protettori informarono il cardinale Morone del loro arrivo:

«Questi giorni sono comparsi da noi li due preti stati spediti col mezzo di V.S. Eccellentissima, per andare nell’isola nostra di Corsica a far quel buono officio che lei sa et è professione loro, li quali ci hanno presentato il breve di Nostro Signore che al parer nostro sta in buona forma. Li habbiamo ricevuti con allegra faccia e veduti molto volentieri si per la qualità di essi della quale la V.S. Eccellentissima ci ha data così buona relatione come per haverceli quella raccomandati assai e se gli sono fatte carezze e honori conforme al disiderio di V.S. Eccellentissima, ne gli si mancarà qui e in Corsica di quanto haranno di bisogno. Non si sono eletti anchora di partire per qualche negotio che dicono havere a fare prima in questa citta ne noi che in tutto disideriamo compiacerli gli habbiamo voluto contradire».[4]

Il breve del papa, che i due gesuiti presentarono ai Protettori delle Compere, conferiva al Landini la dignità di visitatore e commissario apostolico. La decisione del Papa di servirsi dei gesuiti per questa missione non fu casuale, in quanto, come vedremo, la difesa e la propagazione della fede rientrava tra gli scopi del loro ordine. 

I Gesuiti

La Compagnia di Gesù era nata nel 1539, quando un gruppo di «maestri in arti», che avevano conseguito il baccellierato in filosofia e teologia alla Sorbona di Parigi, si riunirono a Roma e decisero di costituire un ordine religioso. A Parigi essi avevano fatto gli Esercizi Spirituali sotto la guida di Ignazio di Loyola, erano divenuti «amici nel Signore» e avevano fatto voto di recarsi in Terrasanta ad «aiutare le anime».

Non essendo riusciti a partire per la Terrasanta, a causa della guerra tra i Veneziani e i Turchi, avevano deciso di andare a Roma e di offrirsi al Papa per essere inviati in missione dovunque egli avesse voluto. La decisione di fondare un nuovo ordine religioso fu presa il 24 giugno 1539. Ignazio di Loyola, riconosciuto come il capo del piccolo gruppo, in nome dei suoi amici, presentò al Papa Paolo III un breve schema in cinque punti, che delineava l’istituzione che si voleva fondare, schema chiamato in seguito Formula Instituti.Paul_iii_and_ignatius_loyola                                    Il papa Paolo III approva la “Formula Instituti”

Il 27 settembre 1540 il Papa approvò la costituzione dell’ordine con la Bolla Regimini Militantis Ecclesiae. Nasceva, così, un nuovo Ordine religioso chiamato Compagnia di Gesù. La Compagnia di Gesù aveva come scopo «precipuo» quello di «occuparsi del progresso delle anime nella vita e nella dottrina cristiana e della difesa e propagazione della fede», mediante la predicazione della Parola di Dio, gli Esercizi Spirituali, le opere di carità, l’insegnamento della verità cristiana ai fanciulli e ai rozzi e l’ascolto delle confessioni. Ancor prima dell’approvazione della costituzione, diversi gesuiti erano partiti a svolgere la loro missione in terre lontane: «le Indie». Più tardi altri gesuiti furono inviati nelle terre infestate dall’eresia protestante e in quelle regioni, in Italia ed in Europa, dove l’ignoranza del clero aveva portato a forme di superstizione e di cattivo uso dei sacramenti. Erano queste le «altre Indie» e Silvestro Landini fu uno di questi missionari che operò nell’Italia settentrionale.

Silvestro Landini era nato nel 1503 a Malgrate, piccolo castello nella Val di Magra, vicino a Sarzana. Educato dalla madre e da un parroco locale, nell’estate del 1527, fu ordinato sacerdote «di sufficienti lettere». Nel 1540 era a Parma a seguire i corsi di due padri gesuiti, Pietro Fabro e Diego Laínez, sotto la guida dei quali compì i suoi primi «esercizi spirituali».Silvestro Landini                                                         Padre Silvestro Landini

Nella primavera del 1547, dopo un soggiorno di cinque anni a Malgrate, si spostò a Roma presso la chiesa di S. Maria della Strada, dove intraprese il noviziato sotto Ignazio di Loyola. La sua insofferenza caratteriale determinò difficoltà di rapporti con il Loyola e una crisi spirituale, probabilmente accentuata da una grave malattia. Subito dopo la guarigione, il Landini fu inviato nelle sue terre a ritemprarsi, e la sua accettazione nell’ordine fu sospesa: lacerato dal dubbio, nel giugno 1547 lasciò Roma per la Lunigiana. Durante il viaggio, durato circa tre mesi, inviò nove lettere a Loyola, nelle quali lo ragguagliava del suo operato e dichiarava di essersi pentito dell’atteggiamento tenuto. Anche grazie all’intercessione del padre Pietro Codacio, ottenne il perdono e l’ammissione all’ordine. Tra l’autunno del 1547 e la sua partenza per Genova nel 1552, svolse la sua missione visitando varie località, prima nelle diocesi di Luni e Sarzana e, poi, in quella di Lucca.

Il Landini ebbe un rapporto diretto con le popolazioni, alle quali reiterava i suoi sermoni nei luoghi pubblici, convertendo e amministrando di persona i sacramenti, impegnandosi nella promozione di forme caritatevoli e penitenziali, riformando o fondando ex novo monasteri femminili. Fondò nei paesi della Garfagnana numerose Compagnie del SS. Sacramento che lo affiancarono nella sua missione. Controllava la presenza e la buona conservazione dell’eucarestia nelle chiese, la pratica sacramentale tra i fedeli, la diffusione della dottrina cristiana tra i bambini e la conoscenza mnemonica delle orazioni. In breve tempo il Landini divenne il primo grande missionario popolare della Compagnia di Gesù in Europa. Il Landini combatté efficacemente fenomeni spesso radicati anche tra le fila del clero secolare, come la bestemmia, la superstizione, il concubinato, la bigamia e l’usura.[5]

Manuel Gomez de Montemayor, che accompagnò il Landini in Corsica, era un gesuita portoghese del quale si hanno poche notizie.

Le lettere del Landini e del Gomez sulla spedizione in Corsica

Diverse lettere dei due gesuiti sul loro viaggio in Corsica sono state pubblicate dalla Compagnia di Gesù nella raccolta Epistolae mixtae e, tra queste, quelle riguardanti Capraia furono riprese da A. Dionisi in un articolo apparso nel 1994 nel Quaderno della Torre.[6]

Due lettere inedite sulla sosta dei due gesuiti a Capraia sono emerse durante una ricerca nell’Archivio di Stato di Genova (Le lettere sono riportate in Appendice). Esse gettano nuova luce sulla vita nell’isola pochi anni dopo la tragica incursione del corsaro Dragut.[7] La lettera del Landini è indirizzata ai Protettori delle Compere, mentre quella del Gomez, che evidentemente non fu mai recapitata al destinatario, è indirizzata a Messer Michael nello Hospitaleto[8]. La lettera del Landini, è la prima relazione ufficiale sulla missione che era stata affidata ai due gesuiti, mentre quella del Gomez, pur riferendosi agli stessi avvenimenti, è priva di ogni ufficialità e riferisce in modo colorito quanto fino allora era loro accaduto. Dalle due lettere emerge un interessante quadro della vita in un isola che pochi anni prima aveva subito una tragica incursione di un corsaro barbaresco.

Quanto segue, trasposto in italiano corrente, è ciò che emerge dal racconto originale dei due gesuiti.[9]

Il viaggio da Genova a Livorno

Terminati gli impegni che li hanno trattenuti a Genova per due settimane, finalmente, il 16 novembre, i due gesuiti si imbarcano sul brigantino di Anton Francesco da Pino, un importante cittadino di Bastia[10]. Il brigantino, forse per evitare i pericoli di una  navigazione in alto mare nel periodo invernale, segue la rotta litoranea sostando la sera nei porti che man mano incontra: fa sosta a Sestri Levante, Portovenere e La Spezia. Qui le cattive condizioni del mare costringono i due gesuiti a prendere la via di terra per recarsi a Livorno, dove il brigantino li avrebbe raggiunti per condurli in Corsica. Salutato il vescovo di La Spezia, i due gesuiti proseguono il loro cammino per Lerici, Castiglione Vara, Sarzana e sostano a Pisa e in altri villaggi. In ogni località la sera predicano e la mattina successiva  dicono messa dando «regole et ordine a quelli ignoranti preti». La sera del 27 novembre, prima domenica d’Avvento, arrivano finalmente a Livorno.f-zucchi-livorno-inizi-1700                                            F. Zucchi – La città di Livorno, inizio 1700

Il brigantino, a causa del mare in tempesta, non può partire. I due gesuiti non si scoraggiano per la sosta forzata: la considerano una benedizione del Signore, perchè permette di svolgere la loro missione tra una popolazione scristianizzata. Il Landini inizia a predicare in duomo, poi prosegue confessando e comunicando i fedeli, alcuni dei quali non ricevevano la comunione da oltre quattordici anni. Già dopo la seconda predica un turco decide di convertirsi e il suo battesimo viene fissato alla scadenza di sei giorni. Numerosi passeggeri e marinai, costretti a sostare in città per il cattivo tempo, si confessano e si comunicano. Gomez nel frattempo si mette a predicare, confessare e comunicare nella Cittadella abitata dai soldati spagnoli e dalle loro famiglie[11]. È talmente occupato nella sua missione spirituale da «non haver tempo di  vacare al bisogno naturale».messa-molo-livorno(1)                         Baccio del Bianco, Messa nel porto di Livorno (sec. XVII)

Le mogli e i figli dei soldati restano giorno e notte con il Gomez, pregando che il mare non si calmi per poter continuare a godere della sua presenza e così pensare alla salvezza delle loro anime. Anche il castellano, il luogotenente ed i fanti, insieme con gli stranieri che abitano nella cittadella, pregano affinché il mare non si calmi, in modo che i due gesuiti siano costretti a differire la loro partenza. Tutta la comunità livornese chiede con insistenza ai due gesuiti di fermarsi in città, promettendo di provvedere al loro sostentamento.

La traversata da Livorno a Bastia e la tempesta di mare

026-Van Keulen interoG. van Keulen – Costa da Genova a Livorno, sec. XVIII

Calmatosi il mare, la sera del 6 dicembre, giorno di San Nicola, al suono dell’Ave Maria, i due gesuiti si imbarcano sul brigantino che prende la rotta verso Bastia. Le prime ore di navigazione passano tranquille, ma poi, nel pieno della notte, si scatena una tempesta di vento e di mare tanto che tutti a bordo temono per la loro vita. Landini dà a tutti l’assoluzione mentre le onde entrano nel brigantino e bagnano tutti. Il Gomez dapprima si spaventa ma poi, sperando in un miracolo, si calma. Verso mezzanotte, a circa dieci miglia da Capraia, mentre il mare e il vento rinforzano, si ode uno schianto. I marinai si chiedono l’un l’altro che cosa sia successo finché quelli di prua dicono che non è successo nulla. Poco dopo, però, l’albero del brigantino si spezza in due. Il comandante del brigantino si mette ad urlare: «oi me, siamo tutti quanti persi». Landini si mette ad invocare il Signore, mentre Gomez in quel tragico momento non sente alcuna paura, anzi, velocemente si alza, getta il suo mantello, grida ai marinai di farsi coraggio, e con loro raccoglie la vela e poi si mette ai remi, lui da una parte e Landini dall’altra, vogando verso Capraia mentre il mare e il vento per qualche minuto si calmano. Ma quando l’isola è ormai vicina, il moto ondoso e il vento riprendono forza, infradiciando passeggeri ed equipaggio. Finalmente, due o tre ore avanti l’alba, giorno di Sant’Ambrogio, riescono a prendere terra a Capraia. L’imprevista sosta è accolta dai due gesuiti come un segno divino perché darà loro la possibilità esercitare il ministero in una località che necessita della loro presenza.

La sosta a Capraia

Occorre qui ricordare che sono passati solamente dodici anni da quando il corsaro barbaresco Dragut ha distrutto il paese, ha ucciso buona parte degli uomini validi, e ha catturato diverse donne portandole in schiavitù in Barberia. Gli effetti di quella tragedia si fanno ancora sentire anche perché, mentre Genova si è premurata, con molto tempismo, di creare nell’isola un sistema difensivo, costrendo il forte e le due torri (Porto e Zenobito), la ricostruzione delle case e delle chiese è andata a rilento.

Sbarcati a Capraia, i due gesuiti vengono accolti «umanamente» dal podestà Antonio Spinola e dal popolo e subito tutti si confessano e si comunicano, eccetto un soldato tedesco perché non parla l’italiano. Ospitati all’interno della Fortezza, nella casa di un certo Emmanuel (probabilmente Manuello), ogni giorno, all’alba, prima dell’apertura della porta della Fortezza, i due gesuiti confessano, poi il Landini dice messa, predica, comunica e rimane a confessare fino a sera. All’Ave Maria, raccolti gli abitanti al suono della campana, per due o tre ore insegnano la dottrina cristiana e dedicano il loro tempo ai poveri capraiesi che durante il giorno sono impegnati nei loro lavori. Durante la settimana i Capraiesi, prima di andare a lavorare nei loro campi, vanno a messa e poi si recano a portare ai piedi della Fortezza una pietra per la costruzione dell’ampliamento del baluardo di tramontana. Questi lavori si sono resi necessari per permettere una migliore manovrabilità dei cannoni e quindi una migliore difesa della Fortezza e del golfo dagli attacchi dei corsari. Nei giorni festivi tutti gli abitanti stanno in chiesa ad ascoltare la messa e le prediche, a confessarsi, a comunicarsi, e a celebrare il vespro e la compieta.[12] Landini predica alla mattina mentre Gomez prima del vespro. Dopo aver cantato il vespro tutti si recano in processione, cantando le litanie, fuori della fortezza fino alla chiesa di San Giacomo dove si celebra la funzione della benedizione dei terreni coltivati. S.GiacomoTerminata la cerimonia, tutta la popolazione, con in testa Landini seguito dal Gomez, porta una pietra al cantiere del baluardo. Poi tutti rientrano nella fortezza e vanno in chiesa a cantare la compieta. Il fervore religioso dei Capraiesi è tale che i due gesuiti entrano in chiesa due ore prima dell’alba e vi restano fino a tre o quattro ore dopo il tramonto. Tutti ascoltano in gran silenzio la messa, inginocchiati, mentre prima si comportavano come se la chiesa fosse stata una piazza.

                                La chiesa di S. Giacomo, oggi

I Capraiesi

I Capraiesi sono molto poveri e vanno in giro scalzi e con le vesti a brandelli. Ci sono delle persone di 50 e 60 anni che non hanno mai mangiato altro che pane. Hanno molto rispetto per gli anziani. Quasi tutti gli abitanti, uomini e donne, sono stati schiavi. Ai poveri, che sono molti e assai bisognosi, i due padri distribuiscono del denaro che in buona parte viene prelevato dalla cassa della Compagnia del Santissimo Sacramento che ne possiede molto ed è ben fornita per le cose attinenti al culto. A questo scopo vengono distribuiti anche i denari raccolti con le pene pecuniarie che gli stessi padri hanno inflitto. I Capraiesi sono ignorantissimi delle pratiche religiose e un po’ creduloni: ma, mentre sono creduloni per le pratiche religiose, per le cose del mondo sono tutti «de volpina astutia». Sono molto disponibili e pronti ad eseguire gli ordini dei due gesuiti tanto che Landini afferma che bisogna portargli rispetto «perché sono come martiri del Nostro Signor». Dopo l’arrivo dei gesuiti, tutti, padri e madri con i loro figlioli, portano la corona del rosario, e quando sono in casa, al lavoro e anche quando camminano, recitano le preghiere non appena ne hanno la possibilità. Gli uomini, ma anche le donne che sono robustissime, sono piuttosto litigiosi e talvolta minacciano di ammazzarsi tra di loro come «cani»: i due gesuiti riescono a far concludere quattro o cinque pacificazioni prima in chiesa, davanti al Santissimo Sacramento, poi nella piazza, davanti a tutta la popolazione.

Dopo qualche giorno quasi tutti i Capraiesi si sono confessati eccetto quelli che avevano un legittimo impedimento. I Capraiesi affermano di aver avuto la dispensa di poter contrarre matrimonio in 4° grado perché vivono in una piccola isola lontano dal continente, ma non sono in grado di mostrare detta dispensa perché i corsari hanno bruciato tutto[13]. Vista la situazione, Landini decide di unirli in matrimonio, in base al mandato che aveva ricevuto, anche in 3° grado, poichè i capraiesi non hanno i mezzi per ottenere la dispensa da Roma. I Capraiesi sono molto casti tanto che, dopo che un giovane ha fatto promessa di matrimonio a una donna, a parole e con l’approvazione dei parenti, entrambi si conservano vergini fino ai vent’anni. Tre uomini, che hanno ancora le loro mogli schiave in Barbaria, vengono dai due gesuiti separati dalle donne con cui convivono, senza sapere se le loro mogli siano morte o abbiano abiurato. Avendoli separati dalle donne, fatta pubblica penitenza per il delitto di concubinaggio, i tre uomini vengono riammessi ai sacramenti e riuniti alla comunità dei fedeli. Un altro che si era accasato con un’altra donna, essendo rientrata nell’isola da poco tempo la moglie legittima che è riuscita a liberarsi dagli infedeli, vuole ripigliarla perché è «da bene e discreta». Abbandona quindi la casa dove vive con la concubina e si trasferisce a casa di suo padre. Prima di lasciare l’isola i due gesuiti mandano la moglie legittima, accompagnata dal padre e da due uomini da bene, a casa del marito e lui la ripiglia, licenziando la concubina. Il marito infedele e la concubina vengono confessati e comunicati, ma rimangono sempre soggetti alla giusta punizione che meritano.

Gli ufficiali genovesi

Il podestà e il suo cancelliere, Piero Antonio de Ronco, sono molto solleciti e desiderosi di fare il bene della comunità, e si rendono conto che il problema più importante è di avere un buon prete per curato senza il quale sembra loro di essere come «in terra di Turchi». Pertanto, pregano i due gesuiti di farsi portatori presso i Protettori delle Compere della loro richiesta di inviare un prete dabbene, e nel frattempo si impegnano ad insegnare ogni sera la dottrina cristiana. Entrambi danno il buon esempio confessandosi e comunicandosi.  I soldati di stanza nel forte partecipano alle funzioni religiose insieme ai Capraiesi. Anche i soldati di guardia alla torre del Porto e a quella dello Zenobito hanno la possibilità di confessarsi e comunicarsi perchè il podestà li manda a chiamare provvedendo a dare loro il cambio nella guardia delle due torri.

Gli ufficiali genovesi sono ignorantissimi delle pratiche religiose e un po’ creduloni, tanto da chiedere ai due gesuiti licenza di potere mangiare alla sera dei giorni di digiuno e di essere autorizzati a mangiare pane e acqua, poichè pensano che il digiuno non sia valido se si mangia pane ed acqua.

I due gesuiti riescono, con il loro esempio, ad appianare i dissidi, sorti fra la comunità dei Capraiesi e il podestà, legati al trasporto dei sassi al baluardo di tramontana dove sono in corso i lavori di ampliamento. Poichè i due gesuiti ritengono l’opera necessaria a causa della continua minaccia dell’arrivo dei turchi, tutti, anche quelli che ne sono esonerati, ogni mattina portano una pietra al cantiere prima di andare al lavoro.

I preti di Capraia

Il pievano titolare della parrocchia è il prete Paulo Bacigalupo che però all’arrivo dei due gesuiti, non si trova nell’isola in quanto richiamato in curia per discolparsi del suo cattivo comportamento, accertato da un inviato del Vicario della diocesi durante una sua indagine nell’isola sollecitata dai Capraiesi. L’inviato del vicario ha lasciato nell’isola il suo cancelliere «un prete lombardo corsico» per sostituire temporaneamente il prete Bacigalupo.[14] Prima di partire i due, l’inviato e il suo cancelliere, hanno approfittato però della loro autorità per farsi dare da Cecco di Pasqualino, cinque scudi con la scusa di concedergli una dispensa di matrimonio, che il poveretto non ha richiesta perché non è ammogliato e nemmeno si era accordato con alcuna donna del paese. Il Landini osserva che i Capraiesi «sono tanto timidi, et scrupolosi» che, quando un qualsiasi ciarlatano li minaccia, sono pronti a dare tutto quello che hanno.

Il prete «lombardo corsico» non solo non sa leggere, ma non conosce neppure la liturgia dei sacramenti, non sa celebrare la Consacrazione del Santissimo Corpo di Cristo e interrogato, appare evidente che non conosce le esatte parole della Consacrazione. I due gesuiti, forti della loro autorità, gli tolgono sia la facoltà di celebrare la messa sia la cura delle anime. Il Landini gli impartisce delle lezioni spirituali che inducono il prete a rendersi conto dei suoi gravi errori tanto che si mette a piangere e prende a battersi con ogni genere di flagelli e con del lardo arrosto per avere offeso Nostro Signore.

I due gesuiti svolgono un’indagine anche sul comportamento del prete Bacigalupo e, dopo aver raccolto autentiche testimonianze sui suoi gravissimi delitti, inviano una relazione al vicario di Massa Marittima in aggiunta a quanto constatato dal suo inviato.  Landini, forte della sua autorità, impone al Bacigalupo, anche se assente, una pena di cinquanta scudi che dovranno essere utilizzati per riparare le chiese di Santa Maria al porto e quella di San Nicola.

Le raccomandazioni di Silvestro Landini

Il Landini, nella lettera, scritta la vigilia della sua partenza dall’isola, rivolgendosi a Gio Batta Spinola, uno dei quattro ufficiali di Corsica che sovraintendeva agli affari di Capraia, gli fa le seguenti raccomandazioni:[15]

–        innanzitutto di far nominare «un sacerdote che teme Dio»;

–      di far riparare le chiese che stanno andando in rovina, in modo particolare quella di Santa Maria al porto che è priva del tetto;

–        di far riparare gli oggetti e le suppellettili sacre;

–        che disponga che le entrate della chiesa, comprese le pene pecuniarie che i due gesuiti hanno imposto, vengano divise in tre parti, una per le riparazioni delle chiese, un’altra per il sostentamento dei poveri, la terza rimanga al curato.

Qui termina il resoconto della visita dei due gesuiti a Capraia.

Queste due lettere, scritte nel momento di lasciare l’isola, forniscono un quadro esauriente della vita nell’isola nei primi anni dopo la distruzione di Dragut. Solo nel marzo dell’anno successivo Landini riferisce a Ignazio di Loyola sulla sosta a Capraia, ripetendo, quasi con le stesse parole, quanto aveva scritto ai Protettori.[16] Il soggiorno capraiese aveva profondamente marcato l’animo del Landini: lo stato di abbandono della popolazione e forse l’asprezza del suolo gli fanno esclamare «benedetto Iddio, adesso non ni venceno li fratelli et padri nostri nella India», esclamazione che, secondo il Gomez che la riferisce, voleva significare che a Capraia c’era da fare tanto quanto nelle Indie.

In ricordo della missione dei due gesuiti, negli anni successivi, sulla finestra di Manuelo, dove erano stati ospitati viene posta un’iscrizione con il monogramma IHS sormontato da una croce, simbolo dell’ordine religioso e una data, 1551 che, però, non corrisponde all’anno della loro visita (1552).[17]IHS                              Simbolo dei gesuiti sulla casa di Manuelo

I due gesuiti continuano la loro missione

Giunti finalmente a Bastia, il 22 dicembre 1552, il Landini si insedia nel locale convento francescano e inizia a svolgere un’incessante attività di predicazione e somministrazione dei sacramenti che perdurò fino alla sua morte. Il Gomez, invece, è inviato nel Capocorso, dove svolge la sua missione a Rogliano, San Colombano e Brando.

Da Bastia, però, Silvestro Landini continua ad interessarsi delle vicende di Capraia, come risulta dalle sue lettere: è appena arrivato a Bastia e già pensa di ritornare a Capraia «Io saria ritornato le feste di Natale per servirli [i Capraiesi] per amor di Dio, ma il mare non mi lasso navigare»;[18] da Roma gli viene chiesto di dare l’assoluzione al prete di Capraia [il Bacigalupo];[19] segnala a Ignazio di Loyola la cattura fatta dai corsari, durante una razzia a Capraia, di dieci fanciulle, con due guardie ed un fanciullo, per i quali i corsari chiedono il riscatto;[20] si preoccupa che venga ricercata a Roma copia dei documenti relativi alla dispensa papale per i matrimoni in quarto grado i cui originali erano stati distrutti da Dragut;[21] spera di trovare dei preti da mandare a Capraia che siano «persone bone et che sapiano al meno le parole della Consacratione».[22]

Il 16 luglio 1553 riesce finalmente a tornare a Capraia per un brevissimo soggiorno. Viene accolto dal nuovo podestà Domenico Peroxio. Ai Capraiesi porta le indulgenze plenarie del Giubileo, assolvendo quanti avevano contratto matrimonio in grado proibito. Poi insegna la dottrina cristiana, la mattina predica e guida la processione portando successivamente pietre al cantiere del baluardo di tramontana, la sera canta in chiesa il rosario con tutta la popolazione. Prima di partire chiede al podestà di scrivere a Genova affinché venga inviato nell’isola «un bono religioso di bona dottrina lo quale fusse d’amaestramento a li poveri subditi».[23]

In questo periodo la continua e pressante preoccupazione del Landini è di trovare  un buon sacerdote  da inviare a Capraia e in tutte le lettere, mandate a Genova e a Ignazio di Loyola, non si stanca di ripetere la richiesta .

A parte la breve visita a Capraia, il Landini passa la maggior parte del suo tempo a Bastia. Il grande seguito popolare raggiunto in città e nella campagna circostante e il suo atteggiamento zelante gli guadagnano ben presto l’ostilità del clero corso, corrotto e geloso dei suoi privilegi, che, nell’estate 1553, invia a Roma alcuni rappresentanti per accusarlo di eccessivo rigore e di abuso dell’autorità apostolica. Incitato dal cardinale Marcello Cervini e deciso a difendere l’onore della sua Compagnia, Loyola invia allora in Corsica il sacerdote Sebastiano Romeo per osservare e riferire sull’operato del Landini e del Gomez.

L’ampia relazione che ne scaturisce mostra l’infondatezza delle accuse nei confronti del Landini e del Gomez e la grande ammirazione che Landini si era conquistata presso le autorità secolari e gli abitanti dell’isola, che definiva significativamente la «sua India». La capacità di osservazione, unita all’alone mistico-profetico di cui si circonda e all’intervento, ancor più marcato, sulle credenze e sull’immaginario popolare, sembrano caratterizzare la sua figura nell’ultima parte della vita e giustificare il suo straordinario ascendente. Nell’agosto del 1553 il Landini non abbandona i suoi fedeli nemmeno nel momento dell’assedio di Bastia attuato dalle truppe francesi, spalleggiate dai turchi di Dragut e dai corsi ribelli.

Nei primi giorni del febbraio 1554 il Landini si ammala; muore a Bastia il 3 marzo successivo. Le sue reliquie diventano subito oggetto di venerazione e di leggenda; nel 1612 si avvia nella città corsa un processo per la sua canonizzazione, poi sospeso e mai più concluso.[24]

Roberto Moresco                                                                              2 maggio 2013

 

 


[1]I Protettori delle Compere di San Giorgio avevano l’autorità suprema su tutto ciò che spettava alla Compere e alla loro giurisdizione.  Le Compere di San Giorgio o Banco di San Giorgio possedevano la Corsica dal 1453 e l’isola di Capraia dal 1506.

[2]ASG, San Giorgio, Cancelleria, n. 607/2406, lettera dei Protettori delle Compere al cardinal Morone del 3 gen. 1552.

[3]Ibidem, lettera dei Protettori delle Compere al cardinal Cicala del 27 giu. 1552.

[4]Ibidem, lettera dei Protettori delle Compere al cardinal Morone del 27 ott. 1552. Il «negotio» che i due gesuiti dovevano sbrigare a Genova si riferisce alla richiesta dell’arcivescovo di Genova Girolamo Sauli di aiutarlo a riformare la diocesi. Essi non accettarono e decisero di partire al più presto per la Corsica.

[5] Sulla vita e l’attività di Silvestro Landini v. C. Luongo, Silvestro Landini e le “Nostre Indie”, Firenze 2008.

[6]AA.VV, Epistolae Mixtae ex variis Europae locis, Tomo II, Madrid 1889; A. Dionisi, Un gesuita del cinquecento incontra Capraia, Quaderno della Torre, Capraia Isola 1994, pp. 13-14.

[7]Su questo periodo ved. anche R. Moresco, Capraia sotto il governo delle Compere di San Giorgio (1506-1562), Atti della Società Ligure di Storia Patria, n.s., XLVII/1, (2007), pp. 357-428.

[8] E. Taddia, Corpi, Cadaveri, Chirurghi Stranieri e Caroplastiche: L’Ospedale di Pammatone a Genova tra Sei e Settecento, Mediterranea, Ricerche Storiche, n°15, 2009, p. 157: «L’Ospedale svolse un ruolo fondamentale nella città di Genova come ricovero dei malati genovesi e forestieri (ospitava infatti anche le soldatesche di passaggio), ma non per gli incurabili,  categoria confinata nell’adiacente Ospitaletto voluto da Caterina Fieschi Adorno (1447-1510), la futura santa, e dal suo seguace Ettore Vernazza (1470 circa-1524). L’Ospitaletto aveva lo scopo di accogliere i sifilitici ed i malati terminali che per statuto non erano accolti a Pammatone».

[9]La due lettere sono riportate nell’Appendice.

[10]AA.VV, Epistolae Mixtae ex variis Europae locis, Tomo III, Madrid 1900, lettera di Anton Francesco da Pino al cardinale di Santa Croce del 13 mar. 1553 da Bastia dove Anton Francesco firma come: «primo cittadino corso della Bastia»

[12]La chiesa, intitolata a San Nicola di Bari, si trovava all’interno del forte. Distrutta da Dragut nel 1540 era stata ricostruita nello stesso luogo. Il sagrato della chiesa costituiva una piccola piazza.

[13]Nel giugno 1540 il corsaro Dragut aveva distrutto ed incendiato il piccolo ed unico paese dell’isola.

[14]ASG, San Giorgio, Cancellieri, n. 233, lettera del prete Corrado da Gavi ai Protettori delle Compere da Capraia del 11 lug. 1553: il prete lombardo corso è probabilmente Corrado da Gavi che nel luglio del 1553 ebbe una disputa con il podesta Domenico Peroxio.

Il prete Paulo Bacigalupo fu inviato a Capraia attorno agli anni 1541-1542, ma più che sacerdote si rivelò un abile affarista poco interessato ai bisogni spirituali dei suoi parrocchiani. Nel 1545, quando le Compere decisero la costruzione della torre dello Zenobito, fu nominato soprastante dei lavori alle dipendenze del Commissario Lorenzo De Negri. Quando quest’ultimo si ammalò e dovette rientrare a Genova il Bacigalupo assunse la direzione dei lavori che portò a termine nel dicembre del 1545. Non contento della paga che riceveva per questi incarichi acquistò un liuto con il quale effettuava i trasporti, dal porto allo Zenobito, del materiale per la costruzione della torre. A lavori finiti chiese un supplemento di paga, da uno a due scudi al mese, per recarsi alla torre dello Zenobito per celebrarvi la messa domenicale per quel corpo di guardia, affermando che uno scudo «non me basteria per modo de dire per le scarpe» a causa del pessimo sentiero di cinque miglia che deve percorrere. Metteva mano a tutti gli intrighi del paese sempre allo scopo di riceverne un utile. Il suo comportamento suscitò l’ira di molti capraiesi che si lamentarono con la curia di Massa Marittima.

[15]Gli Ufficiali di Corsica, in numero di quattro, costituivano una magistratura delle Compere di San Giorgio che era responsabile degli affari dell’isola; Capraia dopo aver sottoscritto nel 1506 l’atto di vassallagio alle Compere dipendeva dalla stessa magistratura.

[16]AA.VV, Epistolae Mixtae ex variis Europae locis, Tomo III, Madrid 1900, p. 165, lettera di Silvestro Landini a Ignazio di Loyola da Bastia del 16 mar. 1553.

[17]R. Moresco, 1556- Il primo censimento a Capraia, in http://www.storiaisoladicapraia.com.

[18]ASG, San Giorgio, Cancellieri, n. 233, lettera di Silvestro Landini da Bastia del 14 gen. 1553.

[19]AA.VV, Epistolae Mixtae ex variis Europae locis, Tomo III, Madrid 1900, p. 225, lettera di Silvestro Landini a Emmanuele Gomes da Bastia del 5 apr. 1553.

[20]L’episodio della cattura delle fanciulle è descritto in R. Moresco, Pirati e Corsari nei mari di Capraia, Cronache dal XV al XVIII secolo, Livorno 2007, pp. 46-47.

[21]Ibidem, p. 308, lettera di Silvestro Landini a Ignazio di Loyola da Bastia del 26 mag. 1553.

[22]Ibidem, p. 384, lettera di Silvestro Landini a Ignazio di Loyola da Bastia dell’8 lug. 1553.

[23]Ibidem, p. 384, lettera di Silvestro Landini a Ignazio di Loyola da Bastia del 16 lug. 1553 e ASG, San Giorgio, Cancellieri, n. 233, lettera di Domenico Peroxio, podesta di Capraia ai Protettori delle Compere del 18 lug. 1553.

[24]S. Ragagli, Landini Silvestro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Vol. 63, 2004 e C. Luongo, Silvestro Landini …, cit..

Appendice

 

“+M.to magnifici Signori nel nostro Signore

La somma gratia et amor eterno di Christo Nostro VV.SS. saluti et visiti colli suoi Santissimi doni et divina gratia. Il giorno di S. Ambrosio giongnissimo in Capraia per gratia di Nostro Signor et molto humanamenti siamo stati ricevuti, et dalli ufficiali, et, dal popolo, et il simile tutti sono stati ricevuti da noi alli Santissimi Sacramenti della confessione, et comunione, eccetto una germanica per no intender la lingua, et ogni mattina all’aurora et ogni sera all’Ave Maria alla parola de Dio, et dottrina christiana pigliavamo quel tempo per accomodarsi a questi molto poveri, accio il giorno potessino andar alli suoi lavori, ma li feste si stava in chiesia fra la messa, confessionj prediche tre volte il giorno, comunionj, il vespro, compita, et poi tutti andavamo di compagnia in processione a portar delle pietre per fare il Bellouardo in difensione contra gl’infideli perche questi poverini, che pochi di loro sono et huomini, et donne che no siano stati schiavi loro in molti tormenti, è, gran compassione in considerare la sua simplicita, et bonta, tutti sariano buoni se gli fosse che gl’insegnasse. Hora tutti portano la sua corona, vingono ogni mattina alla messa, predica et in processione a portar una pietra per uno al Belloardo avanti li suoi lavori. Tutti stanno ingenocchiati insino al fino della messa, stanno con gran silenzo, che prima non sapevano fare, ma facevano piazza della chiesia. Non ce si gran cosa che noi li comandassimo che loro non facesseno, et tal huomo solo ne voleva tenere in casa sua da per se qual si domanda Emmanuel ma bisogna havergli molto rispetto perche sono come martiri del Nostro Signor. So tal persona di 50 et di 60 anni chi mai hebbe a satieta sua piu dil pani, et sono molto timidi di suoi maggiori. Si sono fatte alcune paci, et sono ritornate al suo marito le moglie, et alcuni in grado prohibito sono dispensati. Il Magnifico podista mando a domandar quelli delle Torre della Marina, et Sinopi, et venirno alla confessione et comunione mandando altri gia comunicati in suo luoco, non manca che facia bene, ma si ch’insegna. Bisogna trovare qua uno sacerdote che teme Dio, et fare che Messer Gio. Batta Spinola … facia la residentia alla sua cura, et tengha appresso di se uno sacerdote buono, et faccia curare queste povere peccorelle, ch’e una pieta a vederle, et facia riparare le chiesie chi vanno in rovina et massime per la prima Santa Maria dal porto ch’e tutta senza tetto, quale sta sotto la torre, et riparare alle cose necessarie al culto divino, et fare provisione al curato come noi havemmo ordinato per precetto fatto quivi al suo procuratore, et, uno potra dire che mai non si sia fatto uno augmento ne utilita a questa povera chiesia, ne a poveri segondo intendo dapoi che in man sua, et tanto piu che tutti questi poverini gli sono affettionatissimi et hamano da cuore. Li beni della chiesia si debbeno dispensare in tre parti, una al riparamento della chiesia materiale, l’altra a poveri, la terza al curato perche è patrimonio di poveri di Christo. Havendo noi ritrovato qua uno prete lombardo corsico chi non solo non sa leggere, ma non sa la forma delli sacramenti, ne anco dil consecrar il Santissimo corpo di Christo, ma interrogato risponde che le parole de detta consecratione sono … quam pateret: hora dice Hoc est, hora hoc est preceptum meum. Vedeno le SS. VV. come s’ha da far, noi gl’havemmo levato non solo la missa ma ancora la cura. Tali huomini ha trovato mi dicono fra paulo dell’ordini di Santo Agostino, hora prete, et curato quivi per predecessore di questo suo sustituto, il processo dil quale è appresso di VV. SS. et altre additioni si mandano col processo al Reverendissimo S.or Vicario ma acrio nol lassa procedere in tanti labirinti, et se S.S. nol potra domar bisognara ne sia dato aviso a S. Santità. Costui è stato qui cancelliero d’uno sustituto dil Vicario di Massa di Marema, et hanno levato 5 scudi a uno poverino detto cenco di pasqualino per dispensarlo a torre moglia non havendo moglia ne impedimento alcuno ne mai promesso ne dato consenso a nessuna, ma perche questi poverini sono tanto timidi, et scropolosi, ciascuno ceratano chi li venga a minacciare loro impegniariano quanto hanno per liberarsi dalle loro mani. Prego VV. SS. chi gli siano buoni padri, et gli provedono in qualche modo d’uno buono curato che non siano piu abbarati. Noi bene havemmo lassate alcune ordinationi appresso delli suoi uffiziali, ma loro sono tanti facili che credono ogni cosa et temono ogni cose, ne venivano a domandare licenza di fare collatione alla sera quando diggiunavono, et ancora se noi eravamo contenti di dispensarli in pane et acqua perche loro pensavano che lo diggiuno non fosse valido se non si digiunasse pane, et acqua o guai a quelli chi vivano in dilitie Il Magnifico podesta, et cancelliero di VV. SS. sono molto soliciti et desiderosi della salute di questo comune, et vedendo chel tutto sta in havere uno buono prete per curato, et in queste bande non ce speranza pregano le SS.VV. che vogliono provedere, et loro non mancaranno di fare quanto potranno ogni sera in insegnar la dottrina Christiana c’hanno mandato a noi le SS. VV. et ancora lettere, ma al presente restano senza preti come in terra di Turchi gli pare rimanere se non gli si fa provisioni. Loro invitorno gl’altri col suo essempio alla Santissima confessione, et comunione perche duoi si confessorno et comunicorno. Qua dicono haver dispensa dalla sedia apostolica di contrahere in 4° grado per esser una picola Isola remota dalli altri, ma nol possono mostrar per scrittura, perche gl’infideli gli brucciorno ogni cosa. Se VV.SS. n’havessero noticia alcuna, penso a loro potress’io aggiutarli in terzo grado. Non bisogna cercar dinari da questi buone persone per mandar ne a Roma ne in altre parti per dispensa perche sono poveri, et tanto casti che tale huomo havra promesso a una donna per verba e de parenti et si conservaranno l’uno et l’altro in verginita insino a venti anni tanto sono casti, et in questi tempi qui tutti vanno discalci tutti poveri et stracciati. Io per me elegeria a servirli in mia vita volentieri per amor de dio, et tanta semplicita loro quando l’ubidienza de superiori me lo comandasse. Ne mai di quante terre citta o provincia habbio visitato mi sono tanto affaticato col prete messer Emmanuel di, et notte quanto in questa terra per la loro semplicita, et se loro havrano buono pastor faranno cose grandi per amor di dio perche già è manifesto la gran mutatione loro. Dil viaggio nostro prolongato per havere il contrario mare il Signor s’ha voluto servire delli suoi umilli instromenti in terra insino Livorno come ne scrive il prete messer Emmanuel in presente al Magnifico messer Michel Cepola colli altri amici nel Nostro Signor dove n’era molto bisogno. Il Signor c’ha fatto il tutto, et che vi ha dato buono principio conduca l’opera sua a perfettione nella Corsica, dove ogni di ne sentiamo maggiori reclamationi, et ne faccia sentir la sua Santissima volonta, et quella ad pieno adempirla sempre: col predetto messer Emanuel col Magnifico messer podesta messer Piero Antonio et tutta la comunita mi raccomando alle VV. SS. nel nostro Signore. Penso che saria buono quivi uno prete Lionardo dalla Spezza capellano in Carignano quando VV.SS. facesse col nostro Magnifico Agostino Sauli lo mandasse volentieri perche gia io le ne parlai essendo in Genoa, et lui non mi disdisse. Di Capraia 17 di dicembre 1552./ d. VV.SS. Molto Humilissimo servo nel Nostro Signor Salvestro Landino Sarzanensis ”[1]

“Iesus

Molto Magnifico et nel Signor Nostro mio charissimo

La somma gratia et amor eterno di Christo Nostro Signore salute et visite V. R. S. con i suoi Santissimi doni et gratie spirituali. Partiti dalla Spetia et dalla presentia di quello benedetto pastore et agionti al … cominciassimo in domino il nostro pristino exercitio predicando ivi il padre don Silvestro e dando regole et ordine a quelli ignoranti preti, dove per terra venessimo in sino a Ligorno. In ogni terra che ni fermiamo la notte predicando alla matina, dicendo messa, confessando, primo nella Sarzanella et di mano in mano sino a Pissa. In Ligorno puoi accapitati la prima domenica dello advento alla notte. Si è fermato il nostro bergantino 9 0 10 giorno per il grave tormento del mare. Permetteva il Signor nostro tormento et fortuna nel mare accio si mitigasse la fluttuosa enundatione et tempestate che vi era in quella terra: delli cuori et anime  delli cristiani, nelli quali à operato per assai deboli instrumenti (ut et ipse mirabiliter novit) cose mirabile, quivi adonche nel domo predicava, confessava et comunicava il Padre don Silvestro tutto il giorno per tutto il tempo, facendo (divino numine …) frutto cetessimo in assai sterile terra. Vero è (ut ipsemet audivi) che alcuni vi erano li, di 14 annj privati del salutifero sacramento della confessione. Fu etiam alla 2a predica convertito un Turcho, et al sexto et ultimo giorno, Christo gratia, baptizzato. Molti passagieri et marinari vi erano quivi detenuti per il tempo erano tutti assai consolati et nutriti ogni giorno del pane ex quo omnis vivit homo, et molti loro si sono confessati. In questo mezzo io nella Cittadella, qualle di Spagnoli è fornita et assai bisognosa di lume spirituale agiutato dal supremo aspira mine, predicando, confessando, et comunicando, non havea tempo di vacare al visognio naturale. Si sono adonche quasi tutti li soldati reconsiliati col Signore, et ancho inter se, quelli che haveano odio si sono parimenti confessati e comunicati. Le sue donne, et masnate, peroche quasi tutti sono maritati, tanto sono stati consolati li miseri con la nostra presentia che giorno et notte da noi partire non si potevano, si il Castellano, si il loco tenente, si ogni altro fante, insieme con la comunità di fuora, et tutti quanti unanimiter al Signor Iddio pregavano ch’il mare si acquietasse accio che fosse dettinuta la nostra partita et adoprata la Santa Salute. Et in quanto alla salute de li loro anime importava pare che siano stati exauditi, essendo vili la gratia concessa, vesta etiam introduto il confessarsi et comunicarsi ogni domenica. Si ci fossero … operarij quos in vineam mittere dignetur omnipotens deus Amen. La comunità dimandò con molta instantia che volessimo restare con essi loro che farebbemo competente provisione.

Il benedetto giorno di S. Nicolao alla sera, sonata l’ave maria col Signore ni partissimo alla volta di Corsica, qual’etiam Signore ni volse per la infinita sua … favorire alla prima notte co assai competente tempo et mare, di 3, o, 4 hore puoi di notte inansi ni volse avisare che dobiamo mutare la vita et prepositi, et à cominciato ad aprire la mano alli venti et dar licentia all’onde, in modo ch’ognuno temeva, et io più che tutti quanti. Il Padre don Silvestro che quanto poteva alle fune della ….(ut eius est mos) si attacava  fue commoso alcune fiate di absolvere tutti quanti generaliter. Il mare in questo mezo a nissuno perdonava anzi da …. per ogni parte dentro nel bargantino intrava et ad ogniuno senza descritione bagniava. Io in questo mezo de molte maraviglie dal Nostro Signor fatte mi ricordava et da resigniarme in Sua Santissimama voluntà co la mente mi affaticava tutto per … forsa di V. S. alquanto interius mi acquietava. Alla meza notte puoi et non già piu di 9. o 10. miglia discosti di qui crescendo tutta via et li venti et il mare, un grande rumore si senti. Li marinari presto ch’è, ch’è, respondeno quelli di proa no è niente. Fra poco puoi spacio l’antena del bargantino si fa in duoi pessi per il mezo. Et il mastro grida ad alta voce, oi me che siamo tutti quanti persi et io del altro canto sento il Padre Don  Silvestro (altiori voce) Jesus Jesus. Io per gratia del Nostro Signore al hora nissuna paura hebbe, ansi mi levo presto et buto il mantello via et grido sui fratelli che non è niente il Signore sarà con essi noi nissuno habbia paura, et mi attaco alla vella et adiutola a cachiare dentro et ad armare per una parte li remi, et comincio io con uno remo, et il Padre con la … a vogare alla volta de terra. Et è cosi come tutti dicevano, che naturaliter noi eravamo tutti quanti persi, et molti loro in terra dicevono O padri per amore vro il S.r Iddio n’à liberati questa notte. Ma (et non per noi) la infinita clementia del Nostro Signore ut vult omnes homines salvos fieri, ita non in peccatores ruinam et perditionem gaudet nec certatur. Sed magis ut liberentur et saluentur si è immediate che fue rota l’antena …, et facta est tranquilitas magna ita ut omnes quodam afficerentur admiratione, dicentes, quis est ist, cui et mare et venti parent, cominciando puoi a caminare, comminciò parimente il vento a sufiare et le onde a tutti quantj di nuovo ribagnare. 2, o, 3. hore avanti del giorno con la gratia Nostro Signore arribassimo. Dove adesso quello grande timore passato, dopia ni causa in Domino consolatione vedendo qualmente Nostro Signore per quella via à voluto visitare plebem suam in questa Insola. Per ch’altramente li marinari non afferavano quivi terra et questa restava invisitata. Dove sa Iddio ( chi à proveduto) quanto vi era necessaria la visita, et quanto etiam frutto si è fatto in gloria Sua et salute dell’anime. Sia egli da ogni creatura sempre laudato.

Doppo ch’ siamo accapitati insino adesso non cessiamo notte et giorno da lavorare: avanti il giorno si leviamo sempre a confessare, predicare, et communicare, in tal modo che quando si apri la porta della terra habbiamo confessato quelli che potemo, et deto il Padre messa et predicato et communicato, et puoi tutto il giorno senza levarsi alla confessione insino all’ave maria della sera, et al’hora si sonna alla dottrina Christiana et congragata la turba si lege insino a duoi o, 3. hore di notte, in modo ch’il Padre mi diceva l’altro giorno, benedetto Iddio, adesso non ni venceno li frattelli et padri nostri nella India volendo inferire ch’non mancho è da fare qui ch’li.

Le Domeneche et feste predica il Padre alla matina et io avanti il vespero puoi cantiamo il vespero, quall’finito andiamo in processione fuora della terra a Santo Jacobo, cantando le latanie, et li fatta la beneditione sopra li agri ogniuno, il Padre primo et io 2° et cosi di mano in mano tutti quanti si cargono di sassi per fabricare quello torrione et fortificare la terra. Erano grande dissentione fra la communita et podesta sopra questi sassi. Adesso per gratia di Christo tutti gli vadono, etiam quelli che non sono tenuti, et cosi vedendo noi, la loro devotione, et ancho, la vigente necessita gli andiamo adesso ogni matina.

Adesso per gratia Nostro Signore sono hormai tutti quanti confessati et comunicati, excepto quelli ch’hanno legitimi impedimenti, n’è ch’ generaliter sonno tutti quanti ignorantissimi delle cose alla relligione apertinentj et de ogni politia, quanto puoi al mondo sonno de volpina astutia tutti quanti ripieni. Al presente è da dare gloria à Iddio Signor Nostro vederli tutti quanti in casa, lavorando, caminando, et finalmente sempre con la sua corona et dicendola quando si puo, et credo che non vi era (ut ipse acceperat) piu d’uno che havessi la corona, adesso padri et madri con tutta la masnata; ni da udire il Verbo divino satiare si possono, et cosi tornati in processione le domeneche et feste si tornano a cantare compiete qualle …, si sona per la dottrina Christiana, intratti adoncha duoi hore avanti il giorno nella chesia salimo 3. 4. hore di notte, certa è anchora in loro la perseverantia in bonis operibus usque in finem, si havessemo lume da lassarli, mà non so che sera quando seremo absenti. Il Signore lo proveda tutto a gloria sua amen.

Se non etiam Christi gratia, fatte 4. o 5. pace demandanli perdone et abrassandosi insieme nella chesia inansi il Santissimo sacramento, et ancho in piaza, coram omnibus circumstantibus et tali che ogni giorno volevono ussire fuora et amassarsi … come cane. Il medessimo è anchora fatto fra le done, che sono quivi robustissime.

Al preti di qui ignorantissimo (et ancho piu) à datto il Padre alcune cosideratione spirituale et  benedetto il Signore venuto in tanta cognitione di suoi grandissimi delitti, di qualli pero poco si na corgeva, ni ancho conto faceva; che come puto scelere … magnitudinem, multitudinemque per singulas noctes amare, piangeva, et essendo tanto Illuminato, si è levato in tanta indignatione contra se stesso, per havere offesso cosi bono et grande Signore come è il Nostro quia nimis princeps pacis per futuri seculi, che al pianto per punire a se traditore agiongeva etiam crudelli descipline, come batersi con ogni genero de flageli, et etiam col lardo arosto et altre chel … gli subministrava.

Hieri habbiamo separato 3. ch’hanno le sue done schiave in barbaria, et si haveano quivi ( sotto tutte sorrotitie dispensatione di cativi vicari qui id prestare nequeunt) preso altre senza constare la morte, o vero recessus a fide ( quod deus advertat) delle prime.

A questi volsi etiam bene il Signore perochè restando per noi publice separati, non restano privi delli Santissimi Sacramenti, anzi nella communita de Christiani fidelibus congionti, quamtunche non senza fare publica penitentia, per il publico dilitto del concubinato, et per exemplum in futurum ut et alij sibi caveant.

Un altro che parimenti havea quivi pigliato la 2a donna, scampando la prima per Christi gratiam delli mani delli infidelli, et accapitando quivi li giorni passati, et … modo repigliarla voleva qualle donna come da bene et discretta, si ritiro a casa del suo padre. Hieri la mandassimo a casa del marito col suo padre et altri duoi homini da bene, qualle lui ( forte timore) cum gratiose actione repiglo, dando alla concubina licentia la qualle hieri etiam lui sono confessati et communicati; ma no restarano senza publica punitione, ut eius est meritum.

Destribueremo etiam, suam aperiente domino manu, una buona qualita di dinaro alli poveri di Christo che vi sonno quivi molti e assai bisognosi, qual dinaro una buona parte faremo pigliare della Compagnia del Santissimo Sacramento, che tiene molto, essendo essa etiam molto bene  fornita delle cose al colto divino apertinenti, et ancho le penne pecuniarie in questi delinquenti exibite.

Hoggi 2° sabbato della nostra quivi residentiam si sono confessati molti da me et dal padre, tutto il giorno insino 2 o 3 hore da notte non ni siamo levati delle confessione, o vero reconsiliatione, pero che sentendo questi poveri la veritate la voglino abrassiare, confessandosi ogni settimana, ma oi me che no vi è pastore si non a mangiare il latte et rapire la lana alle povere pecorelle, idcirco ego in domino obsecro obterstorque a tutti quanti li vostri Signoria che gli provedano pero che senza messa et da ogni bene spirituale restano privi et smarite le povere anime havendo noi privato li preti che, ni legere, ni scrivere, nec quid sit, quotcumque sacramanta sint aut consecrationis verba novit, anzi interrogato da me, quae nam sunt consecrationis verba, respondit primo (his verbis) …, 2° hoc est preceptum meum, et sic de ceteris interrogationibus. Non poterebe dire in pocce parole quanta passione et dolore habbi hauto l’anima mia vendendo cosi perso il preciosissimo tesoro del sangue di Christo, essendo cosi pochi agiutatj di esso per salta de pastori delle Signorie vostre adonche sera remediare ut fieri potent in domino. Il Padre de Silvestro et io ni racomandiamo alle devote oracione di V.S. con tutti li amici nel Signore a qualli V.S. fara questa commune, et primo a Monsignor R.mo vicario et al Magnifico Thomas Spinola, al Magnifico Messer Vincentio et Messer Augusto, Messer Antonio, Messer Andrea, Messer Francesco, et al R.mo Padre Messer Francesco con tutti gli altri Magnifici quorum in libro vitae scripta sunt nomina, quorum etiam in omnibus nostris semper fit memoria, non altro se non che al onipotente Iddio pregiamo ni dia sempre sua Santissima voluntate sentire et quella perfettamente adimpire. Di Capraria 17 de dez.bio 1552.

D.V.S Humillimus in domino servus +Emmanuel demontemaiori

Habbiamo etiam fatta provissione sotto pena de 50 scudi al prete ( o vero sfratato) paulo quivi rettore per li suoi gravissimi delitti quivi constano autentica scriptura che non sia acceptato per via alcuna.

Et alla costa del beneficio reparara S. Maria del porto et S. Nicolao et altre che longo sarebbe dire.   Iterum in domino vale deumque pro nobis ora.”[2]

[1]ASG, San Giorgio, Cancellieri, n. 233, lettera da Capraia del gesuita Silvestro Landini da Sarzana all’Ufficio di San Giorgio del 17 dic. 1552.

[2]ASG, San Giorgio, Cancellieri, n. 233, lettera da Capraia del gesuita Emmanuele da Montemaiori inviata a Genova a Messer Michael nello Hospitaleto del 17 dic. 1552.

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